In tendopoli

Mercoledì sono andata in uno dei paesi colpiti dal terremoto, che chiamerò Paesino, per rispetto delle persone di cui descriverò la condizioni in questo o in altri post.
L’intero paese è attualmente zona rossa, non ci si può entrare.
In periferia – fuori dunque dalla zona rossa – vi sono le classiche villette monofamiliari, ognuna col suo giardino; e in ogni giardino, o quasi, vi è una tenda. Anche se queste case sono agibili, i loro abitanti si sentono più sicuri a dormire in giardino.
Dopo la periferia, c’è la tendopoli.

Una tendopoli, un conto è vederla al tg, ben diverso è starci dentro, respirare la calura umida della bassa tra le tende, l’erba e il cemento; osservare bambini piccoli e di ogni età vagare da soli o a gruppetti in spazi non pensati per essere abitati e trovarsi a toccare con mano la precarietà pressoché assoluta di una vita del genere. La maggior parte degli abitanti di quel campo (i 2/3) sono persone immigrate, di diverse nazionalità. Infatti una delle cose che saltano subito all’occhio sono i cartelli scritti in arabo. Questo perché, come ci ha spiegato la neuropsichiatra, la maggior parte degli italiani ha parenti che può ospitarli o seconde case al mare o in montagna, mentre chi finisce in tendopoli (soprattutto se per restarci a lungo), italiani o stranieri che siano sono i veri “diseredati”, quelli che non hanno qui niente e nessuno, se non appunto una piccola tenda offerta dallo stato in mezzo al nulla.

La neuropsichiatra con la quale avevamo appuntamento ha approntato lì, dal primo momento, un piccolo “punto di ascolto” (cioè un piccolo gazebo bianco), poiché tra bambini e adulti sono davvero tante le persone rimaste traumatizzate dal terremoto, quindi con ansia, depressione e difficoltà a dormire. Come attività per bambini, al momento non c’è quasi niente: nel pomeriggio arriva il prete dell’oratorio del paese (giovanissimo, simpatico e si chiama don Matteo…) con qualche ragazzo della parrocchia e fanno giocare un po’ i bambini. I bambini sono tanti e in molti di loro si sono spontaneamente avvicinati a noi: chi facendo domande, chi volendo giocare, chi cercando coccole. Abbiamo proposto (io ero in rappresentanza dell’università ma anche assieme alla cooperativa culturale con cui collaboro) un’idea di progetto rivolto soprattutto ai bambini del campo, che prevede letture partecipate, drammatizzazioni, musica in coro e giochi di orientamento (con mappa del territorio e bussola) per aiutarli a prendere possesso di quello spazio a loro estraneo – attualmente un vero e proprio non luogo – in modo divertente e giocoso, accompagnati da noi educatori (volontari).
Il progetto deve ora essere valutato e approvato da una commissione composta da: ASL, Protezione civile e sindaci del territorio. Ma alla neuropsichiatra (che rappresenta la ASL) è piaciuto molto, quindi direi che vi sono buone possibilità che venga approvato.
Lo spero con tutto il cuore, perché ho visto bambini bisognosi di cure educative e di giocare, sognare e sperare, e vedo che c’è bisogno di educatori e di affetto.

È in occasioni come queste che, incrociando lo sguardo altrui, capisci cosa significa quello strano concetto che va sotto la dicitura “il prossimo tuo”. Oh, lo capisci benissimo. Non ci vogliono tante parole o teorie. Basta uno scambio di sguardi in mezzo a una fila di squallide tende. E tra zanzare, umidità e solleone, sai che passerai una delle estati più significative della tua vita, perché dove la terra distrugge, l’uomo (e la donna) ricostruisce.


Happy Birthday, Clint!

Oggi Clint Eastwood, uno dei miei attori e registi preferiti in assoluto, compie 82 anni. Sta girando un nuovo film, auguriamoci di invecchiare come lui! Questo è lo spot per la Chrysler che il nostro Clint girò a febbraio scorso per la finale del Super Bowl. Fu chiacchierato ma a me già allora piacque moltissimo. E ora… lo posto come incoraggiamento per noi:

It’s our second half, Emilia Romagna (sì perché il terremoto ha colpito le province dell’Emilia ma ricordo al resto d’Italia che noi ci chiamiamo Emilia Romagna tutto insieme!!!) 🙂

Auguri Clint e GRAZIE per le emozioni, per la profondità, per come sei e per quella pistola che magari bastasse a difenderci da questo “sudicio mondo che ci sta crollando addosso”. *

* citazione da Sudden impact (“Coraggio… fatti ammazzare” in versione italiana).


Non finisce più

Non finisce più. Alle nove stamattina di nuovo la casa che sobbalza, cose che cadono, ancora il panico, ancora come topi in trappola. Le linee telefoniche non funzionano e quindi non si riesce ad avere notizie gli uni degli altri se non tramite internet. Questo rende il tutto ancora più angosciante rispetto alla volta scorsa. Non riuscire a comunicare e non avere notizie da persone che abitano nelle zone più colpite è tremendo, ed è attualmente il mio caso. Nuovi morti, nuovi crolli, nuovi sfollati. Si stava cercando di riorganizzarsi. E ora è tutto da rifare. Mi sento demoralizzata. L’unica cosa che dà coraggio è la solidarietà che si respira tra le persone comuni.


Punti di vista

E comunque, cercando di sorridere un po’, i tragici fatti di questi giorni hanno offerto alla mia famiglia un notevole ribaltamento di punti di vista. Dovete sapere che una decina di giorni fa mia sorella, dopo avere trascorso ben sette mesi qui a Bologna, si è trasferita a Nairobi, dove suo marito si trovava già dallo scorso settembre. Ovviamente, non appena ha prenotato il viaggio, a Nairobi c’è stato un attentato con morti e feriti a una chiesa durante una messa, con approfonditi articoli su quotidiani e tg che ci informavano che in questo periodo grandi quantità di esplosivo dalla Libia stanno raggiungendo Kenya e Nigeria per finire nelle mani dei gruppi integralisti e così via. A quel punto mia sorella è stata subissata di cori e suppliche di non partire da parte di tutta la famiglia, ma lei, testona dura, al grido di: “Se uno deve morire muore anche nel letto di casa mentre se non è il tuo momento possono anche spararti addosso ma sopravviverai!” si è involata decisa verso Nairobi. Bene. Da quando è partita, qui in Italia si sono susseguiti: una gambizzazione a Genova più vari segnali di rinascita del terrorismo sparsi qua e là; un attentato (di qualunque matrice sia) orribile e inaudito a una scuola a Brindisi; la nostra regione squassata dal terremoto. Quando domenica, ancora sconvolti dalla notte insonne, io e i miei genitori ci siamo ritrovati insieme per pranzo, abbiamo scoperto che tutti e tre, durante le scosse notturne, ci eravamo ritrovati a pensare: “Meno male che almeno Linda è al sicuro in Kenya!”. Come cambiano le prospettive…


Quando la terra trema

Ieri sera – alla faccia di tutti i forzati del “divertimento del sabato sera” – ero orgogliosamente a letto alle 23,30 in punto e avevo regolato la sveglia alle ore 8 di questa mattina. Non mi sembrava vero: finalmente avevo davanti a me otto ore e mezzo di meraviglioso sonno. Davvero un tesoro per me, di questi tempi.

Di ore ne ho dormite quattro e mezzo. Alle ore 4,04 infatti, sono stata svegliata di soprassalto e ho aperto gli occhi in un letto che sobbalzava, con un rumore vibrante di mobili che si spostavano, lo stenditoio che sbatteva contro l’armadio dentro il quale tutti gli attaccapanni tintinnavano scontrandosi tra loro. Era il terremoto; la scossa più forte e lunga che abbia mai sentito in tutta la mia vita. In quegli interminabili secondi che mi sono sembrati lunghissimi, ho avuto il tempo di: svegliarmi e realizzare che c’era il terremoto, chiedermi cosa fare, decidere di restare lì dov’ero fidandomi di chi, cinquant’anni fa, ha costruito il condominio nel quale abito (all’ultimo piano). A dirla tutta, se non sono scappata è stato anche perché a causa della scossa i miei occhiali sono caduti dal comodino; l’idea di cercarli per terra col pavimento sobbalzante mi ha indotto a restarmene più dignitosamente a letto finché la scossa non fosse passata. Per la prima volta ho sperimentato direttamente l’angoscia che un terremoto può provocare: improvvisamente ti senti un animalino spaurito, impotente e in balìa di una forza che non puoi controllare né prevedere. Avevo paura che il soffitto mi crollasse addosso e di non potere scappare (anche se razionalmente mi ritenevo al sicuro); una sensazione bruttissima.
E pensavo alla mia prof. di scienze del liceo: una volta ci disse che noi a Bologna possiamo stare tranquilli, riguardo al terremoto; perché, essendo la pianura padana una zona alluvionale, noi emiliani e lombardi non corriamo grossi rischi. Questa sua affermazione è entrata allora nella mia testa e vi si è appuntata come un dogma: nel corso degli ultimi anni in realtà ci sono stati ogni tanto dei piccoli terremoti (in effetti nessuno grave) ma questo dogma in me è rimasto, più radicato di tanti altri; e infatti tutte le volte che ho sentito delle scosse non mi sono spaventata; ma nessuna è mai stata forte come quella di stanotte. Perciò stanotte, subito dopo la scossa più forte, sono corsa in salotto e ho acceso la tv con la paura che da qualche parte in Italia si stesse verificando una tragedia, una nuova “L’Aquila”. Se la pianura padana non può essere l’epicentro di un terremoto, allora la scossa che sentiamo è il risentimento di qualche grosso terremoto altrove? Lo ha detto la Prof.! Ecco qual era la mia paura. Del resto, ricordo che mio padre mi ha sempre raccontato che quando nel 1976 c’è stato il terremoto in Friuli, anche a Bologna lo si sentì distintamente. In tv dicevano che l’epicentro era proprio qui, invece, tra Bologna e Ferrara. I miei amici erano tutti su twitter e facebook, lo sapevo. Ma sapevo anche che se avessi acceso il pc avrei passato tutto il resto della notte lì. Sono tornata a letto, ma non ho più dormito. Ho sentito altre scosse, più deboli, di “assestamento”, ma sempre abbastanza forti da far vibrare il letto e l’armadio. Ok, la gente normale in caso di scosse guarda il lampadario, io l’armadio! Ogni scossa mi faceva tornare l’ansia, non perché mi sentissi in un reale pericolo, ma come un qualcosa di atavico che si svegliava dentro me. Inoltre pensavo di nuovo agli abitanti de L’Aquila, ai loro racconti sullo stress che provavano prima del terremoto del 6 aprile, quando per mesi si svegliavano la notte a causa delle scosse. Solo adesso comprendo pienamente a quale stress si riferivano; l’idea di poter sentire scosse del genere ogni notte sarebbe davvero uno stress assoluto. Solo ora ho compreso pienamente quale angoscia un terremoto può indurre nelle persone.

Al mattino sono cominciate le telefonate e gli sms con amici e parenti. Tutti bene. A Ferrara e provincia un po’ meno. Alcune vittime, purtroppo. Anche alcuni monumenti storici rimasti danneggiati. Che dire… tra ieri (l’orribile attentato alla scuola di Brindisi) e oggi, questo weekend è fatto solo di angoscia e tensione. Bleah.

P.S.: devo dire che, come già notato in altre circostanze, in caso di disgrazie e calamità i social network come twitter e facebook sono utilissimi: ti danno la possibilità di capire subito cosa sta succedendo e se le persone che conosci stanno bene! Ecco, lo abbiamo constatato già più volte… non c’è bisogno di insistere con le disgrazie!!! 😉