Il blush, questo sconosciuto

Una sera di giugno, al telefono con mia mamma:

– E poi tua sorella ha scritto dicendo che ha urgente bisogno di un blüs [pronunciato con la u lombarda di mia mamma e la s di “sogliola”] –

– Cos’è un blüs? Un giubbino? –

– No… un blus! [pronunciato come blues] –

– Non ti capisco, mamma –

– Un… B-L-U-S-H! –

– Aaah! Un blush! –

– …ecco, quello. Cos’è, esattamente? –

– Un blush è un fard –

– E perché lo chiamate in quel modo, se si è sempre chiamato fard? –

– Perché prima non impazzavano le beauty guru americane, mamma. Comunque, possibile che Linda non trovi un blush a Nairobi? È una metropoli! –

– Se è per questo le serve anche un fondotinta. Sembra strano anche a me ma in tutta Nairobi non ha trovato trucchi adatti alla sua carnagione europea. Sembra che abbia setacciato tutta la città alla ricerca di questo… fard. –

Io immaginavo mia sorella – che tra l’altro in quei giorni era alle prese con simpatici quanto aggressivi batteri intestinali kenyani – girare per il traffico disumano di Nairobi alla ricerca di un blush… vanitas vanitatum. A ogni modo, appurato che io in quei giorni lavoravo dieci ore al giorno e non avevo il tempo materiale di andare in profumeria e considerando che mia madre aveva l’influenza, la sua serafica conclusione su chi dovesse acquistare questo blush e il fondotinta fu la solita:

– Ci mandiamo papà. –

Papà. Papà è quella stessa persona che, pur vivendo fra tre donne e avendo passato la maggior parte della vita ad acquistare cose da donne, cade ogni volta dalle nuvole e sbaglia prodotto. Tanto per intenderci, ecco un esempio tra i tanti che potrei fare: eravamo appena arrivati a Riccione per le vacanze e la casa era ovviamente vuota; mio padre si offre di andare al supermercato e io gli chiedo per favore di comprarmi uno shampoo, con la seguente raccomandazione:

– Non importa la marca [non volevo complicargli le cose], basta che sia da donna –

– Perché, che differenza c’è? –

– Gli shampoo da donna hanno un buon profumo, quelli da uomo no. Per non sbagliarti prendi una confezione rosa o color pastello, così vai sicuro. Mi raccomando, eh? –

Ebbene, dopo mezzora mio padre, di ritorno dal supermercato, ha estratto tutto orgoglioso il “mio” shampoo dal sacchetto. Trattavasi di un flacone enorme di colore grigio scuro, sul quale campeggiava una gigantesca scritta a caratteri argentati: FOR MEN, e con la classica profumazione di pino silvestre (che non ho mai capito perché gli uomini debbano andare in giro tutti odorosi di quel pungente pino silvestre).
Inutile dire che quando, subito dopo, mi sono recata di persona presso lo stesso supermercato, ho trovato interi scaffali ricolmi di graziosi flaconi di shampoo di color rosa e di altri tenui colori pastello; scaffali occupati al 99,9% da codesti delicati prodotti femminili e di cui solo il restante 0,1% – un angolino oscuro e seminascosto – ospitava gli shampoo per uomini.

Pertanto, il solo immaginare mio padre entrare in profumeria, chiedere un blush e magari fare pure lo swatch per individuare quello più adatto alla carnagione di mia sorella era un’idea semplicemente esilarante. Aggiungiamoci pure che mio padre queste cose le fa da una vita ma si vergogna sempre tantissimo, per una questione di “virilità”. E, come detto, regolarmente sbaglia.

Per farla breve, il papi si è recato in almeno tre profumerie, dotato di cellulare attraverso il quale consultare mia mamma in tempo reale, ha esasperato le commesse pretendendo di saggiare tutto l’armamentario di blush et similia presente in negozio, ne è uscito con la mano e il polso segnati da strisce di varie tonalità di rosa – mani con le quali si è poi recato in banca e dal benzinaio – e ha infine acquistato ben tre confezioni di blush, per andare sul sicuro, più una di fondotinta, sulle quali ovviamente mia mamma ha trovato da ridire ma che sono state comunque inviate a Nairobi assieme a rossetti, ombretti e cipria. Chi ha portato personalmente a Nairobi tutto questo po’ po’ di make up? Ovviamente un amico (rigorosamente maschio) di mia sorella, che doveva recarsi lì per lavoro e che è partito da Bologna dotato di una trousse di trucchi che qualunque ragazza avrebbe invidiato.


Punti di vista

E comunque, cercando di sorridere un po’, i tragici fatti di questi giorni hanno offerto alla mia famiglia un notevole ribaltamento di punti di vista. Dovete sapere che una decina di giorni fa mia sorella, dopo avere trascorso ben sette mesi qui a Bologna, si è trasferita a Nairobi, dove suo marito si trovava già dallo scorso settembre. Ovviamente, non appena ha prenotato il viaggio, a Nairobi c’è stato un attentato con morti e feriti a una chiesa durante una messa, con approfonditi articoli su quotidiani e tg che ci informavano che in questo periodo grandi quantità di esplosivo dalla Libia stanno raggiungendo Kenya e Nigeria per finire nelle mani dei gruppi integralisti e così via. A quel punto mia sorella è stata subissata di cori e suppliche di non partire da parte di tutta la famiglia, ma lei, testona dura, al grido di: “Se uno deve morire muore anche nel letto di casa mentre se non è il tuo momento possono anche spararti addosso ma sopravviverai!” si è involata decisa verso Nairobi. Bene. Da quando è partita, qui in Italia si sono susseguiti: una gambizzazione a Genova più vari segnali di rinascita del terrorismo sparsi qua e là; un attentato (di qualunque matrice sia) orribile e inaudito a una scuola a Brindisi; la nostra regione squassata dal terremoto. Quando domenica, ancora sconvolti dalla notte insonne, io e i miei genitori ci siamo ritrovati insieme per pranzo, abbiamo scoperto che tutti e tre, durante le scosse notturne, ci eravamo ritrovati a pensare: “Meno male che almeno Linda è al sicuro in Kenya!”. Come cambiano le prospettive…