Tra Weimar e il ’43

Per una qualche coincidenza, tutte le volte che ci sono le Primarie del Pd, dopo avere votato incontro la mia professoressa di lettere delle medie, anche lei di ritorno dal voto. Votiamo in due seggi differenti e non ogni volta allo stesso orario ma ci incontriamo sempre. Anche stamattina è successo così. Dopo la mia mezzoretta di fila tra anziani (o, più che altro, anziane; tant’è che la signora dietro di me se n’è uscita con un: «Ma siam tutte donne! E gli uomini dove sono? Tutti a casa a cucinare?». In realtà stavano di sotto a giocare a bocce e a briscola) me ne sono uscita dal seggio con l’intenzione di godermi una passeggiata nel mio quartiere che in questa stagione dell’anno dà il meglio di sé (è tutto oro, rosso e arancione, grazie alla vegetazione che lo abita) ed ecco che, in fondo al sentiero, vedo da lontano avanzare verso me appunto la mia prof. di lettere delle medie. Rapida occhiata alla mia destra e alla mia sinistra: no way out. E non potevo più tornare indietro perché lei nel frattempo aveva cominciato a salutarmi; incredibile la vista di questa donna ormai anziana; io non ci vedo così neanche con gli occhiali!

Alle medie adoravo questa donna; era il mio modello, la Donna a cui crescendo avrei voluto somigliare, la mamma che non avevo, l’intellettuale che avrei potuto essere, l’integrità e la Virtù fatta persona, insomma sapete come si può idealizzare una persona a 13 anni. Facevo pazzie per farmi notare da lei, ne studiavo i movimenti e durante gli allenamenti di atletica, quando correvo i 100 m, immaginavo che al traguardo ci fosse lei in pericolo e che io l’avrei salvata guadagnandomi la sua eterna ammirazione e gratitudine e anche qualche titolo di giornale. Non so, arrivo a dire che forse in vita mia non ho mai più raggiunto livelli simili di innamoramento per nessun’altra persona. Livelli imbarazzanti, a ripensarci ora.

Be’, il fatto è che – come è normale – man mano che io crescevo lei si è rimpicciolita ai miei occhi. E ciò è cosa buona e giusta. Il fatto è che, però, si è rimpicciolita troppo. Già da alcuni anni, ogni volta che la incontro – e accade abbastanza spesso – mentre, come convenevoli iniziali, la ascolto elencare gli acciacchi suoi e dei suoi familiari per poi ascoltare tutte le lamentazioni sulla degenerazione della società e sull’epoca di decadenza in cui ci tocca vivere, io la scruto chiedendomi dove sia finita – e se ci sia mai stata – tutta quella intelligenza, cultura e saggezza che ammiravo in lei. Perché davvero non può essere solo la vecchiaia ad averla ridotta così: una donnetta tutta casa, supermercato e luoghi comuni (che poi, non è vecchissima; ha sui 70 anni e a vederla gliene si dà anche di meno. Nonostante le sue lamentele, è in forma, sempre in giro, attiva; non immaginatevi una vecchietta coi capelli bianchi, tutt’altro). Forse ci ho visto male fin dall’inizio? Ho dedicato tante energie emotive a una mia fantasia, a una proiezione?

Fatto sta che oggi il nostro inizio di dialogo è stato il seguente:

– Buongiorno, Prof.! Ogni volta che si vota ci incontriamo, eh? Come sta? –

– Eeeehhh… cosa vuoi, alla mia età [elenco di lamentele che vi risparmio]… mio marito [elenco di acciacchi del marito]… Mio nipote [elenco delle traversìe universitarie del nipote in questo mondo ingiusto]… E tu cara come stai? –

– Ah, io sto benissimo, grazie! Pensi che… –

– Insomma, ti difendi. –

– No, non è che mi difendo, Prof., sto proprio BENE! E come le dicevo… –

– Vuoi dire che insomma, sai sopportare gli acciacchi… –

– [Grrrr!!!] Ma quali acciacchi, Prof.! IO GODO DI OTTIMA SALUTE!

Dopo questa mia dichiarazione di guerra di salute, il discorso si è spostato sulla politica. E anche qui, lei, che ricordavo come colei che ci spronava all’impegno, a essere “potenti ma non prepotenti“, a crederci, a lottare, se ne è partita coi soliti sproloqui che da un po’ di tempo fa sull’argomento: che poveri giovani, e che sistema schifoso, e come se ne esce, e qua distruggono tutto ciò che è istruzione e cultura… cose anche condivisibili ma che espresse coi suoi toni disperati e definitivi non portano da nessuna parte se non alla depressione irreversibile. E il peggio è che non ascolta le riposte.

– Sai, cara, attualmente siamo tra Weimar e il ’43… –

– Confidiamo di saltare al ’45, Prof. –, ho ribattuto rassegnata.

Così ci siamo salutate. E l’autunno attorno a me sembrava avere perso improvvisamente quel meraviglioso oro, vedevo solo il grigio.

Cara Prof., continuo a rispettarti e ti voglio bene; ti sono grata perché mi hai dato tanto – compreso l’amore per lo studio (anche se questo non lo devo solo a te) – sono felice di incontrarti e dell’affetto che provi per me. Ma non voglio più diventare come te. Ora sei un modello, sì, ma da evitare.