Il giorno più bello della mia pre-vita
Pubblicato: 1 novembre 2015 Archiviato in: feste, storie di famiglia | Tags: anniversario, crescere, famiglia, matrimonio, vita nuova 9 commentiNel primo pomeriggio di quarant’anni fa, una Fiat 126 verde oliva affrontava per la prima volta l’autostrada, diretta da Bologna a Piacenza. Trasportava un giovane professore, nelle vesti di prossimo sposo; l’abito era stato scelto da sua mamma e sua zia, intenditrici indiscusse di stoffe e vestiti; soppesando e palpando i diversi tessuti, avevano infine scelto un abito elegante sì ma che potesse essere utilizzato anche in seguito al giorno del matrimonio, nella vita normale. Molto più in ansia del solito, il quasi sposo era stato dal barbiere il giorno prima e inspiegabilmente anche quella mattina stessa ‒ benché di capelli in testa non ne avesse poi tanti, a parte un ciuffetto svolazzante sulla fronte ‒ e ora si recava all’appuntamento più importante della sua vita.
Nel frattempo a Piacenza la futura sposa, calma e serena, si vestiva, pettinava e truccava da sola nella sua cameretta di ragazza; osservandosi allo specchio nel semplice abito bianco, infilava un fiore tra i capelli, unica concessione alla vanità.
In chiesa, i parenti raccolti erano tutti sorridenti; soprattutto erano raggianti le madri degli sposi, che senza saperlo erano state a lungo accomunate dal terrore che i rispettivi figli restassero nubile e scapolo. L’unico che per tutta la cerimonia pianse a dirotto per la commozione fu il nonno della sposa, anziano ufficiale di cavalleria pluridecorato e reduce della Grande Guerra ma dal cuore tenero.
Dopo il matrimonio, uno snello ma elegante rinfresco al Circolo Ufficiali ‒ con repentina ricomposizione del suddetto nonno, che lì era di casa ‒ e poi di corsa alla 126, per salirci stavolta in due, diretti all’inizio della vita insieme. Nel cuore della sposa, romanticamente, sono ancora nitide le sensazioni provate nel salutare la famiglia e lasciare la sua città: iniziava una vita completamente nuova. Lo sposo ricorda invece l’ansia di riuscire a riportare se stesso, la sposa e l’automobile sani e salvi a casa, a Bologna.
La mattina dopo la coppia partiva per Taormina in viaggio di nozze; avrebbero trovato gli unici dieci giorni di freddo, pioggia e financo nebbia di quel mese, con sbigottimento dei siciliani stessi che assicuravano loro che solitamente in quella stagione si faceva ancora il bagno in mare. Nasceva così la mia famiglia.
Andiamo in centro?
Pubblicato: 6 ottobre 2013 Archiviato in: educazione, felicità, libri, papi | Tags: amore, cioccolata in tazza, crescere, libri, papà 8 commentiAvevo promesso che il mio blogghino avrebbe ricominciato a dispiegare le sue ali argentee in autunno e l’autunno è arrivato; anzi, più che autunno, sembra arrivato direttamente l’inverno. Così, eccomi qui. E non mi interessa di dover scrivere ogni volta chissà quale post elaborato, dato che non ho più il tempo di una volta; scriverò quello che mi viene, ma sempre seguendo la mia regola e cioè che, essendo questo un posto pubblico, quel che scrivo qui, anche quando nasce da spunti autobiografici, deve poter avere almeno un minimo di significato e di interesse per chi legge; per tutto il resto c’è il mio diario personale. E pazienza se non avrò il tempo di limare tutto e scrivere narrazioni mirabolanti; in fondo lo scopo (devo orgogliosamente dire perseguito con successo, nel mio piccolo, in questi anni) del blog è sempre stato quello di donare a chi legge di volta in volta – e, nel migliore dei casi, tutto insieme – un sorriso, un momento sereno, uno spunto di riflessione, una storia in cui immedesimarsi o trovare conforto (dalle statistiche del blog vedo che i miei post più “tragici” – vicissitudini ospedaliere e sentimentali in testa – sono sempre i più gettonati), tutto qui; per i capolavori c’è… Masterpiece! 😛
Fine della premessa.
Voglio cominciare questa nuova stagione con un ricordo tra i più dolci e cari che ho; mi è capitato di rievocarlo un paio di sere fa, durante una specie di cena di lavoro in cui si parlava di letture obbligatorie, imposte ai bambini da insegnanti o genitori; quelle che ti fanno passare la voglia di leggere. E il mio pensiero va al mio meraviglioso padre, a lui che ogni tanto, fin da quando ero molto piccola, prima ancora che sapessi leggere bene da sola, mi diceva: “Andiamo in centro?”. Andare in centro era allora praticamente il Paradiso; significava che io e lui da soli uscivamo mano nella mano e andavamo a prendere un meraviglioso autobus; durante il viaggio – in realtà breve ma che a me sembrava sempre lunghissimo ed emozionante – ci saremmo seduti o collocati accanto al finestrino e avremmo chiacchierato di tante cose nostre mentre il paesaggio noto del quartiere lasciava spazio a quello meno noto che conduceva verso il centro. Ma, soprattutto, andare in centro significava scendere sotto le due torri e tuffarci in libreria, spesso in più di una libreria. Qui, come per la verità sempre e ovunque quando c’era/c’è di mezzo mio padre, venivo educata a diventare una persona libera, col diritto-dovere di sviluppare gusti personali assumendomene le conseguenze: venivo lasciata libera di girovagare da sola tra gli scaffali del settore bambini per scegliere un libro da acquistare, mentre mio padre andava da tutt’altra parte, in genere nel reparto filosofia e teologia, a scegliere i suoi libri. Ecco. Anche se ormai sono passati parecchi anni, ricordo perfettamente com’era liberatoria e inebriante quella sensazione di potenza che provavo: ero una bambina piccola ed ero lasciata completamente sola a sfogliare libri, leggerne la quarta di copertina, perdermi tra tutti quei colori e con la responsabilità di dover scegliere tra tutti un libro che mi sarei portata a casa. Insomma, ci si fidava di me! A volte mi divertivo a esplorare la libreria col rischio di perdermi tra stanze e scaffali. Di altri bambini soli così piccoli non ce n’erano quasi mai; tutti avevano il loro bravo adulto a controllarli.
Quando mio padre tornava, coi suoi libri sotto braccio, mi chiedeva quale libro avessi scelto. A volte avevo scelto, senza saperlo, un libro di valore; altre volte avevo scelto qualche stupidaggine; papà non giudicava. Mi chiedeva se ero sicura, magari lo sfogliava con me, mi invitava a confrontarlo con qualche altro libro; ma quando mi decidevo, la mia scelta veniva rispettata. Lui in più sceglieva per me anche un libro di testa sua, di solito un classico per l’infanzia che ancora non conoscevo; in questo modo, indirizzava comunque le mie letture proponendomi, dall’alto della sua esperienza, libri importanti che io da sola non potevo conoscere.
La soddisfazione di uscire dalla libreria con i nostri sacchetti, ardenti dal desiderio che arrivasse la sera per tuffarci subito nella lettura, era grande. Ma prima di tornare a casa c’era un’altra tappa irrinunciabile: andavamo in un bel bar, ci sedevamo a un tavolino come due gran signori e ordinavamo due calde cioccolate in tazza con panna. Fuori, come ora mentre scrivo, calava la sera, il freddo si faceva sentire. Noi due, i volti allegri illuminati dalla luce elettrica del bar, gustavamo la nostra cioccolata; usciti da lì, se era la stagione, compravamo un sacchetto di caldarroste in uno di quei baracchini per strada, poi tornavamo a casa. Papà, libri, libertà, evasione e cioccolata calda: con associazioni di tal fatta è abbastanza ovvio che la lettura per me abbia sempre rappresentato un momento caldo ed emotivamente ricco, oltre che intellettualmente stimolante. Senza contare il fatto che mio padre, da quando ero neonata fino più o meno ai miei dieci anni (ma, grazie a mia sorella più piccola che stava in camera con me, ho approfittato delle sue letture serali anche ben oltre quell’età), ha passato ogni benedetta sera seduto sul mio letto a raccontarmi fiabe prima e a leggermi – a puntate – romanzi poi… ma questa è un’altra storia.
P.S.: rileggendo questo post, mi è tornato in mente quest’altro episodio raccontato qui. È davvero bello notare come i libri abbiano accompagnato tappe importanti della mia conquista dell’autonomia personale… persino quella degli spostamenti (trasloco compreso)!