La ballerina di Charleston

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Il presentatore sul palco si dilunga in un preambolo ampolloso mentre sul fondo del piazzale, alle spalle del pubblico, le tre ballerine fremono nell’attesa: tre gonnelline svolazzano al tamburellare nervoso delle gambe, tre piume oscillano, tre sorrisi si stagliano arditi su tre volti dagli sguardi sfavillanti. Di questi, una gonnellina, una piuma, un sorriso e un paio d’occhi svolazza, oscilla, si staglia e sfavilla una spanna più su.
È il momento: il presentatore si fa da parte, i fari illuminano il palco, la musica attacca: al ritmo vivace del Charleston le tre ballerine, ancheggiando a tempo, avanzano tra le due ali del pubblico indolente (i più sono lì per stare un po’ seduti al fresco, qualunque sia lo spettacolo previsto) e infine salgono sul proscenio.
La scena è tutta loro: sul palco allagato di luce, eseguono la loro complicata coreografia. Due, in perfetta sincronia; la terza, sempre un po’ in anticipo o in ritardo. Risulta goffa perché è alta e grossa: un’Atalanta in mezzo a due silfidi molto convinte.
Sembra uno spettacolo comico e non lo è. Nel pubblico qualcuno ride. A lei però non sembra interessare: il suo sorriso è il più raggiante di tutti e nel suo muoversi scomposto si agita autentico lo spirito del Charleston. Sul palco si esibisce una vera flapper.