Sensi di colpa
Pubblicato: 13 Maggio 2017 Archiviato in: calamità ilariesche, umorismo, uomini al lavoro 19 commentiNonostante sia una ciclista non commetto quasi mai infrazioni: rispetto il rosso anche se devo svoltare a destra, non vado contromano né sotto i portici e così via. Ieri, avendo fretta, ho osato passare col rosso perché avevo la strada libera da un lato ma non calcolando che potevano arrivare automobilisti anche da un’altra direzione, come infatti è accaduto. L’autista del furgoncino che stava per investirmi è riuscito a inchiodare in tempo; notando che poi, anziché tirare dritto, accostava e si preparava a scendere arrabbiato (chissà che spavento gli ho fatto prendere) mi sono fermata anch’io e l’ho aspettato. Mentre, sceso lui dal furgoncino, mi si avvicinava baldanzoso, ho alzato le mani esclamando: “Ha ragione, ha ragione, scusi scusi scusi, ho sbagliato!”, guardandolo dritto con – credo – quelli che il mio prof. di lettere del ginnasio definiva “occhi da cerbiatto”. Mancava solo che mi prostrassi ai suoi piedi coprendomi il capo di cenere. Alla fine il risultato è stato che il senso di colpa è venuto a lui.
Il che, per analogia, mi ha fatto tornare in mente il seguente buffo episodio capitatomi parecchi anni fa: stavo attraversando un centro commerciale quando mi sono resa conto che probabilmente, rimettendolo dentro, mi era caduto il portafoglio dalla borsa; sono quelle situazioni in cui si verifica quel leggero scarto di pochi secondi tra quando una cosa succede e il momento in cui realizzi il fatto. Pochi secondi che in quel caso sono bastati perché il mio portafoglio sparisse. Voltandomi per tornare indietro e raccoglierlo ho visto un uomo che raccoglieva qualcosa da terra e la metteva in tasca, ma non potevo dire con certezza che fosse il mio portafoglio e non potevo accusarlo di avermelo rubato, anche se ero sicura lo avesse preso lui. Nel portafoglio avevo solo 10 euro e pazienza, ma avevo anche tutti i documenti, carta d’identità, badge dell’università, tessera sanitaria e chi più ne ha più ne metta. La sola idea di doverli rifare tutti ha sbaragliato in me qualunque esitazione e timidezza. Mi sono avvicinata all’uomo col mio sguardo più candido chiedendogli se per caso avesse trovato un portafoglio che mi era caduto e, avendo lui ovviamente risposto di no, ho cominciato a fargli una testa così sul fatto che era davvero una disdetta, che non era tanto per i soldi quanto per i documenti, che ero anche affezionata al portafoglio in sé perché era un regalo di mia nonna; sono stata tanto convincente che la sera, tornata a casa, ho trovato nella buchetta della posta il mio portafoglio corredato di tutti i miei preziosi documenti. Mancavano solo i 10 euro, che saranno equivalsi al buon uomo per la benzina consumata per arrivare fino a casa mia. Anche i ladri hanno un cuore.
I conti non tornano
Pubblicato: 1 Maggio 2017 Archiviato in: calamità ilariesche, desperate housewife, umorismo | Tags: primo maggio 17 commenti
Sì, lo so, non è il tempo a non tornare ma io che non sono una campionessa di organizzazione… Mi consolo con questo orologio Art Déco che ben rappresenta la mia lotta contro le Ore.
Leggo che con lo slogan Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire, “coniato in Australia nel 1855 e condiviso da gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento” i lavoratori cominciarono a lottare per vedere riconosciuti i loro diritti, e mi piace ricordare tale motto oggi, primo maggio. Tuttavia, in cuor mio, mi sono sempre domandata e tuttora mi chiedo dove siano in realtà queste otto ore per lo svago (per tacere delle OTTO ore di sonno). Le otto ore che dovrebbero essere dedicate allo svago sono divorate da tutte le incombenze legate al vivere (cura di sé, della casa e della famiglia) ‒ alcune delle quali parecchio noiose ‒, agli spostamenti casa-lavoro e ritorno e agli imprevisti quotidiani che si aggiungono alle suddette incombenze.
Certo, ci spiegano le Maestrine del Saper Vivere, tutte queste cose se fatte con amore e intenzione riempiono di significato e sostanza la nostra vita; ma resta il fatto che per godermi un buon romanzo, scrivere, dedicarmi insomma alle mie passioni o concedermi quel po’ di vita sociale finisco spesso e volentieri per togliere ore al sonno, e allora le ore guadagnate allo svago vengono rubate a quelle del sonno. Insomma: i conti non tornano.
L’amara verità.
Pubblicato: 21 aprile 2017 Archiviato in: calamità ilariesche, evoluzioni tecnologiche, umorismo | Tags: gil elvgren, smartphone 6 commenti
(illustrazione di Gil Elvgren)
Il cellulare serve per essere chiamati quando si è fuori casa. Purtroppo io, quando sono in giro, se il telefono suona, sette volte su dieci non lo sento. Due volte su dieci lo sento ma non posso rispondere perché sono in bici in prossimità di una rotonda con un autobus che mi supera a sinistra e uno scooter che mi sorpassa a destra. Quell’unica volta che odo la suoneria e riesco a rispondere farò comunque fatica a sentire il mio interlocutore perché il mio smartphone naviga su internet anche nei sotterranei della biblioteca Salaborsa ma il volume delle telefonate è bassissimo. Quindi niente, al cellulare mi si trova di sicuro quando sono a casa e mi si potrebbe tranquillamente chiamare sul fisso.
Il dramma di un barista
Pubblicato: 23 marzo 2017 Archiviato in: calamità ilariesche, umorismo, uomini al lavoro 15 commentiIl mio barista qualche tempo fa, per voler essere alla moda, ha deciso anche lui di servire il cappuccino con un disegnino creato con la schiuma; in particolare, per le clienti, un cuore. Solo che non gli riusciva mai bene. Prova e riprova, un giorno che gli è uscito un cuore decente io che, un po’ per carattere un po’ per deformazione professionale, sono sempre portata a incoraggiare i progressi nell’apprendimento, gli ho detto sorridendo che il suo cappuccino era bello e buono (kalòs kai agathòs). Così ora si è convinto che a me interessi davvero questo disegnino e non si dà pace: anziché servirmi il mio cappuccino o caffè macchiato rapidamente, si ingegna e si incaponisce nel creare e cesellare cuori comunque asimmetrici e fiori sbilenchi. Inutile ripetergli che a me interessa solo che ci sia tanta buona schiuma… ormai il danno è fatto.
Inquietanti teorie
Pubblicato: 15 gennaio 2017 Archiviato in: curiosità, desperate housewife, guerra civile familiare, papi, umorismo, uomini al lavoro | Tags: animali domestici, umarells 6 commentiL’inquietante teoria di mio padre riguardo a tutti questi pensionati in giro col cane è che il suddetto animale sia stato comprato appositamente dalle mogli per “togliersi dai piedi i mariti e tenerli il più possibile fuori di casa”. Se no non si spiega, dice lui, osservando come in genere il pensionato maschio strattoni perlopiù il cane con nervosismo e malagrazia mista a un ché di rassegnato.
Nostalgie 2.0
Pubblicato: 8 gennaio 2017 Archiviato in: calamità ilariesche, evoluzioni tecnologiche, tempus fugit, umorismo | Tags: acer aspire, computer portatile 5 commenti(Sembra incredibile ma gli ho scritto una lettera e non gli ho scattato una fotografia!)
Ho trovato questa lettera scherzosa ma non troppo che qualche anno fa avevo scritto al mio vecchio portatile quando ho dovuto sostituirlo e niente, basta leggerla per capire per quale motivo non sono consumista. Perché mi affeziono! La posto qui intanto perché fa sorridere, poi perché tra le righe è condensata la nostra storia recente, in cui molti possono rispecchiarsi: da quando il computer era grosso, fisso e da condividere col resto della famiglia a quando è diventato uno strumento più agile, leggero e realmente personale, e soprattutto del quale non si può più fare a meno. Erano ancora tempi in cui per comprare un elettrodomestico si andava direttamente in negozio e non su Google a cercare opinioni! E infine ci siamo dentro anche noi blogger qui, con la nostra evoluzione. Tutto ciò mi fa sentire tanto una vecchia nonna. Di quelle 2.0, però.
In effetti, però, più che una lettera a un computer è una lettera alla Me che in quei nove anni era nel frattempo cresciuta.
“Caro Acer Aspire,
sei entrato nella mia vita nel lontano dicembre di nove anni fa e l’hai – almeno in parte – cambiata. Fino allora l’unico computer presente in casa era collocato nello studio di mio padre (all’epoca vivevo ancora coi miei) e lo utilizzava principalmente lui, per quasi tutto il giorno. Tranne quando mi serviva per studio o per lavoro, mi riducevo a poterlo usare per svago solo alcune sere, dovendolo dividere anche con mia sorella. Questo mi impediva di tenere un blog, per esempio. Lo desideravo e ci avevo provato, ma l’impossibilità di poterlo aggiornare quando mi era più comodo o quando mi sentivo ispirata era un grosso ostacolo. Ora sembra strano ma all’epoca scrivevo ancora prevalentemente a mano su quaderni e taccuini. Quando fu chiaro che, per esigenze di studio e lavoro, non potevo più fare a meno di un pc personale, arrivò il momento del nostro incontro. All’epoca non ero dipendente da google e dalle ricerche di mercato pre-acquisto-di-qualsiasi-cosa, pertanto io e mio padre un pomeriggio ci limitammo a salire in macchina e andare da Mediaworld con l’obiettivo di acquistare un pc portatile. Ci trovammo circondati da innumerevoli opzioni, persi in questo mondo per lo più ignoto. Al contrario di oggi non sapevo niente di marche, modelli, requisiti tecnici. Trovammo un commesso preparato e gentile che impiegò una buona mezzora del suo tempo per illustrarci le caratteristiche dei vari modelli e per suggerire l’acquisto migliore in base alle mie esigenze. Alla fine la scelta ricadde su di te. Eri allora l’ultimo modello, appena uscito, e costavi parecchio più della maggior parte degli altri ma mio padre, considerandolo un investimento, acconsentì a regalarmi proprio te. Tornati a casa, con timore quasi reverenziale ti ho appoggiato, ancora nella tua scatola, sul tavolo della sala. Il giorno dopo è arrivato il Tecnico del Computer, di cui oggi sono amica ma che allora mi sembrava depositario di sacri misteri, e col suo aiuto ti ho configurato. Windows mi ha chiesto di darti un nome e ti ho chiamato Emeraldas, come l’eroina di un manga di Leiji Matsumoto. Finalmente ti ho portato in camera mia e lì è iniziata la nostra avventura insieme, anche se in realtà la prima cosa che feci fu prendere il mio diario cartaceo e scrivere che avevo un pc tutto mio. La seconda cosa fu scrivere un post sul mio blog* che, per i motivi detti prima, esisteva già ma non era più aggiornato da quasi un anno. Da allora e per parecchio tempo, ho scritto un post al giorno e, potendo finalmente navigare quando e come mi pareva, ho conosciuto i miei blog-amici, con parecchi dei quali sono tuttora in contatto e con alcuni dei quali sono passata dall’amicizia virtuale a quella fisica.
Caro Acer, il blog mi ha aiutata tantissimo ed è stato possibile grazie a te. Ma non solo. Su di te ho scritto la mia tesi di laurea, nonché i miei primi articoli e tutti i testi di lavoro. Hai vissuto tutti i patemi della novellina alle prime armi nel mondo del lavoro. Inoltre contieni preziosi e romantici carteggi sentimentali, racconti e testi di diario che non avevo voglia di scrivere a mano, per non parlare delle fotografie che si sono accumulate nel tempo e che registrano fedelmente i cambiamenti intercorsi in questi lunghi anni. Per tutto questo tempo non mi hai mai dato un problema: mai un virus, una malattia, un inceppamento. Sei stato un compagno così fedele e leale che, quando nonostante tutto è giunta la tua ora, anziché morire all’improvviso come fanno molti tuoi colleghi, lasciando nel panico i loro proprietari che si trovano – non avendo improvvidamente salvato i dati – ad avere perso tutto, tu mi hai dato chiari segnali della tua prossima dipartita e ciò mi ha consentito di mettere al sicuro con tutta calma tutto ciò che negli anni avevo riposto in te e che intendevo conservare, nonché ovviamente di salvare i testi cui sto lavorando attualmente. E ora dobbiamo lasciarci. Ho tergiversato tanto ma alla fine ho ceduto; tu, ormai lento, rantolante e rumoroso, non riuscivi più a starmi dietro. A volte dovevo prenderti a pugni per zittire temporaneamente il lamento del tuo motore ormai stremato. Ora ho qui sulla mia scrivania il tuo successore: un Asus, abbastanza simile a te nell’aspetto, ma al quale devo ancora affezionarmi.
Ma non temere perché tu mi resterai nel cuore, caro vecchio Acer. Le emozioni collegate a te sono quelle di tante Prime Volte… e in queste prime volte c’eri sempre tu.
Grazie e addio, fedele compagno del mio passaggio dalla giovinezza all’età adulta.
La tua affezionata e devota
Ilaria”
* Una prima versione di Ali d’Argento (non ricordo neanche più come si chiamasse) dalle cui ceneri è poi nato l’attuale “Ali”.
Regole elementari
Pubblicato: 29 dicembre 2016 Archiviato in: guerra civile familiare, riflessioni, umorismo 6 commentiQuando uno è nervoso per i fatti suoi, va bene mostrargli qualche sollecitudine ma se costui non risponde bene neanche a queste è buona norma lasciarlo cuocere in santa pace nel suo brodo senza preoccuparsi o rimanerci male. La cosa peggiore da dirgli, poi, è di stare tranquillo, a meno che non lo si voglia proprio esasperare costringendolo a un aperto litigio.
Veementi saluti
Pubblicato: 9 dicembre 2016 Archiviato in: libri, riflessioni, umorismo, uomini al lavoro | Tags: buona educazione, buzzati, grosz, il segreto del bosco vecchio 2 commentiStasera, durante un aperitivo, si commentava un certo comportamento (il non voler salutare una collega che va in pensione, solo perché non ci vai d’accordo).
E allora mi è venuto in mente questo passo:
“Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poiché difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta che egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore, in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò d’interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza.”
Il brano è tratto da “Il segreto del bosco vecchio” ed è un esempio di come Dino Buzzati fosse anche un fine umorista, come d’altronde non può non essere chi scruta la realtà attraverso la lente del mistero, dell’assurdo e del disincanto.
I comunisti contro le Poste
Pubblicato: 5 dicembre 2016 Archiviato in: occasioni mancate, umorismo 2 commentiDalle ampie vetrate dei nostri uffici notavamo, dalla mattina presto, spiegamenti ingenti di poliziotti occupare tutta la zona circostante; le divise nere spiccavano tra il verde del prato e il grigio del marciapiede. Scendendo in pausa pranzo, mi facevo largo tra tutte queste divise e relative volanti e camionette per guadagnare il bar e il mio panino e intanto sentivo nell’aria la Spiegazione, pronunciata con tono definitivo: “La polizia è qui perché è prevista una manifestazione dei Comunisti contro le Poste”. I comunisti contro le poste? Tornata in ufficio avvertivo le mie colleghe che stavamo per assistere in diretta a tale fatidico scontro.
Poco dopo, sono arrivati i presunti Comunisti, ossia un non ben definito gruppuscolo di ragazzi e ragazze che si sono pacificamente posizionati davanti al piccolo ufficio postale accanto al nostro edificio suonando musica rap americana a tutto volume. Difficile intravederli tra tutti quei poliziotti, ben più numerosi dei “manifestanti”. Una ragazza ha pronunciato col megafono un discorso nel quale ho riconosciuto la parola Lampedusa. Poi i “comunisti” se ne sono andati, qualche poliziotto ha tergiversato ancora un po’. Cose surreali che accadono di questi tempi.