Il rocker che non ti aspetti
Pubblicato: 26 febbraio 2017 Archiviato in: amarcord, camminando, musica | Tags: Acme, Jon Spencer Blues Explosion, momenti clou 9 commentiCuriosando tra i miei cd mi sono imbattuta nel vecchio “Acme” dei Jon Spencer Blues Explosion, l’ho inserito nello stereo ed è partito il ricordo di un mio momento clou. Io a Reggio Emilia per il loro concerto che si sarebbe tenuto proprio quella sera; nel primo pomeriggio ero lì che camminavo per le stradine del centro ‒ deserte perché allora non si chiamava Caronte ma faceva caldo lo stesso e tutti stavano tappati in casa, stile “Mezzogiorno di fuoco” ‒, volto l’angolo e mi trovo davanti Jon Spencer in persona, solo soletto, che aveva avuto la mia stessa idea (era vestito come in questa foto, salvo per il giubbino di jeans che era più scuro). Nel cuore mi è partito un battito in più ma, quando mi è passato accanto, gli ho solo sorriso, neanche fosse un amico di quelli che incontri ogni giorno. All’epoca non c’erano smartphone né diavolerie varie (e se anche fossero esistiti non li avrei usati) ma l’immagine è rimasta nitida nella mia memoria, non tanto per l’avere incontrato il “personaggio”, che non mi cambia niente, ma così, perché il fatto di voltare l’angolo di una stradina di Reggio Emilia e incrociare Jon Spencer mi è sembrato così surreale da risultare simpaticissimo.
Sarà strano pensare Bologna senza di te
Pubblicato: 1 marzo 2012 Archiviato in: morte, musica, paura 11 commentiCerte persone, ti sembra che non moriranno mai, o solo in un tempo molto lontano, distante dal tempo vero di tutti i giorni. Forse perché le vedi sempre cariche di vita, di progetti e di pensieri nuovi. Forse perché hanno l’età di tuo padre. Forse perché sono così vive che accostare loro la parola “morte” risulta davvero stridente. Forse perché te le trovi sempre davanti, e nelle orecchie, fin da prima che nascessi. E invece. Puoi morire anche se sei Lucio Dalla. Anche se dieci giorni fa eri a Sanremo, e poi a passeggiare come sempre nella tua città, e poi a tenere un concerto. È strano pensare Bologna senza di lui. Non dico altro perché dovrei dire troppo… sono un po’ sotto shock anche per come l’ho appreso, ho solo tutto un ammasso emergente di ricordi, di emozioni belle, di tristezza. E poi ci penserà la tv a straparlare.
Quindi niente, ciao Lucio, come si suol dire in questi casi. E GRAZIE. E speriamo che ci sia davvero un Paradiso, là.
Lo shock del sabato pomeriggio
Pubblicato: 22 novembre 2011 Archiviato in: arte e bellezza, calamità ilariesche, la mia città, musica | Tags: shopville gran reno 7 commentiSabato pomeriggio sono salita su un “trenino” della ferrovia suburbana, gestita dalla FER-Ferrovie dell’Emilia Romagna – precisamente il Bologna-Vignola – e ne sono rimasta entusiasta. Piccolo, modernissimo e pulito, ben riscaldato e con l’altoparlante che avvisava in anticipo a ogni fermata, questo trenino fendeva con andatura rapida e silenziosa la fitta nebbia padana in quella fredda giornata di novembre, e io un po’ guardavo fuori un po’ mi guardavo nel mio specchietto per vedere una faccia sorridente. Ero infatti tutta in fibrillazione per l’evento al quale mi stavo recando.
Questo trenino mi è piaciuto così tanto che prevedo di esplorare prossimamente tutte le tratte percorribili; sì, mi ha suggerito un nuovo modo di passare il tempo libero – quando avrò del tempo libero – e cioè battere la bassa padana a bordo del suddetto trenino armata di taccuino e macchina fotografica, onde lasciarmi ispirare. C’è infatti un trenino per ogni direzione (Modena, Ferrara, Verona…) che copre tutti i paesi grandi e piccoli lungo ogni traiettoria. Puoi raggiungere ogni posto, in quel modo, e senza bisogno di dover guidare.
Ma torniamo a sabato. Cullata dal ritmo dolce e dal calduccio del treno semivuoto e quindi silenzioso, non potevo immaginare lo shock cognitivo che avrei subìto di lì a poco.
È arrivata la mia fermata: Casalecchio Palasport. Sono scesa dal treno, trovandomi tutta sola in questo binarietto immerso nella nebbia, e mi sono incamminata verso la strada. Ero diretta verso un grande centro commerciale e al telefono mi avevano detto che, uscita dal binario, lo avrei visto davanti a me. E infatti, scese le scale e giunta sul ciglio della strada Statale (classica strada da pirati della strada), oltre i fumi della nebbia ho intravisto delle luci appannate in lontananza, che delineavano in modo non troppo nitido ma percepibile un’immensa struttura scura che sembrava incombere in quel nulla: il centro commerciale.
Traversata la strada, ho cominciato a camminare in quella direzione. Seguivo un percorso in cemento, che lambisce il Palasport e conduce direttamente verso lo Shopville Gran Reno e l’Ikea. L’aria che respiravo odorava di hot dog e patatine fritte, cucinati e venduti nei numerosi baracchini con le ruote che costeggiavano lo stradino.
Ok, sono sulla strada giusta, mi son detta.
Un ponte in cemento e ferro sovrastava un parcheggio vastissimo. Ho percorso tutto il ponte ed ecco stagliarsi davanti a me sulla destra l’insegna dell’Ikea e sulla sinistra quella del centro commerciale.
Varcato l’ingresso del centro commerciale, i miei sensi sono stati travolti da un’ondata di molteplici stimoli non del tutto gradevoli: un frastuono assordante composto da voci, suoni di giostre e marchingegni vari; l’odore unto del Mac Donald’s e della pizzeria al taglio accanto; le luci potenti, innaturali, aggressive; i colori accesi delle vetrine e un calore esagerato. Ma soprattutto: la folla. Che flashback: quando a scuola studiavo la Divina Commedia, me le immaginavo così le bolgie dell’inferno: fiumane di gente che avanzano compatte in più direzioni senza una vera meta. E lì ho realizzato che fino a quel momento ero stata una persona spensierata che non aveva idea di come fosse un centro commerciale durante il weekend. Io quando devo andare in un centro commerciale ci vado sempre solo nei giorni feriali e preferibilmente di mattina e possibilmente nella prima parte della settimana, proprio per evitare la mitologica “ressa del weekend”, ma non immaginavo che tale ressa fosse così fatta! Consideriamo anche che io vado in centri commerciali raggiungibili in bicicletta, quindi grandi ma bene o male collocati nel tessuto cittadino o poco distanti dalla zona abitata. Diciamo: a misura umana. Invece sabato sono stata in questo centro poco umano. Insomma, mi sono sentita disorientata, stordita… mi son sentita quasi male.
Ma soprattutto mi sono chiesta: ma come fa molta gente a trovare rilassante passare il fine settimana dentro un enorme centro commerciale sperduto nel nulla – all’esatta confluenza di: una pericolosa strada statale, la tangenziale e un casello autostradale –, puzzolente, assordante, caotico e dove non puoi neanche fermarti a guardare una vetrina perché rischi di essere investita dal flusso inarrestabile di corpi in movimento? Né tantomeno riesci a parlare con i tuoi amici o il tuo compagno?
Bello comunque vedere che a questo mondo siamo tutti diversi. Ogni tanto, nel caso dimenticassi questa ovvietà, la Realtà provvede a ricordarmelo in modo lampante.
P.S. ma cosa ci facevo io in quel non-luogo di perdizione per eccellenza? Qualcosa di meraviglioso. Partecipare alla presentazione di questo libro, una presentazione atipica: musicata dagli autori stessi e ballata da due ottimi ballerini. Sì, ultimamente sono diventata un’appassionata della Filuzzi e di Leonildo Marcheselli. Ma questa è un’altra, bellissima, storia.
Hai toppato
Pubblicato: 29 settembre 2009 Archiviato in: musica, occasioni mancate, tv | Tags: radiohead 15 commentiChi mi conosce sa che seguo Gad Lerner da quando ero ragazzina e lui era ancora alla Rai, non solo lo considero uno dei pochi giornalisti decenti nel nostro Paese ma mi piace perfino fisicamente, che ci posso fare, non ho mai appeso poster di sex symbol nella mia stanza ma se dovessi appenderne uno appenderei il suo!
Però, caro Gad, mi spiace ma ieri sera hai toppato!
Non so se avete visto la puntata de L’infedele di ieri sera, io sì e mi è venuta una depressione istantanea ma anche uno sgomento. Anche un pochino di “rabbia”, ma su due fronti:
1. il fronte “oche decerebrate” ospiti della trasmissione: una parlamentare del pdl (che ha esordito informandoci con sdegno che Friedrich Engels ebbe a dire nel lontano 1840 che se avesse avuto tanti soldi li avrebbe spesi tutti in prostitute francesi e ha proseguito difendendo la virilità del nostro pres. del cons. al grido – non sto inventando – di: “E meno male che esercita la sua virilità, è un uomo sano!”) e una militante dei circoli “politici” (che non sapevo neanche esistessero) che si chiamano: “Meno male che Silvio c’è”, il cui contributo alla trasmissione è consistito nel suggerire a Gad di tingersi i capelli e farsi un trapianto perché è pur sempre un “personaggio televisivo” e così sembra più vecchio di Berlusconi che invece sembra giovanissimo (evviva la gioventù).
2. il fronte autori della trasmissione (è con loro che ce l’ho, più che con le oche): dai, lo sappiamo tutti che votare a destra non significa essere cretini, quindi perché invitare due cretine in trasmissione? Dato che il tema della puntata (l’uso che si fa del corpo delle donne in tv e nell’immaginario collettivo) voleva essere affrontato sul piano culturale e simbolico, perché non chiamare persone competenti (per esempio la pur citata politologa “di destra” – se proprio volevano fare delle distinzioni politiche che secondo me non c’entravano invece un bel niente – Sofia Ventura) o per lo meno dotate di cervello in funzione? In tal modo invece, a causa delle due isteriche presenti in trasmissione, si è finiti come al solito a parlare di Berlusconi. Possibile che in Italia qualunque dibattito debba sfociare nel pro o contro questo uomo? Poi lo credo che gli vengono le manie di grandezza, verrebbero anche a me per molto meno.
Perciò sono andata a letto meditando sull’attuale nichilismo televisivo ed epocale, poi mi sono svegliata, ho acceso la radio e cosa sento: il nuovo singolo del buon Vasco, la cover di Creep, dei Radiohead. Mi ha preso malissimo, mi è risceso l’umore sotto i tacchi. No, Vasco, io non ci casco! Anche tu… hai toppato!
Lo sai che mi piaci, ho i tuoi dischi, canto le tue canzoni, sono pure venuta ai tuoi concerti, in certi momenti sei stato il mio guru. Ma come si fa a rovinare una splendida canzone di malessere/rivolta esistenziale come Creep con i soliti triti italici versi: “Ma sono qui/amo dirtelo/voglio restare insieme a te” laddove l’etereo Thom Yorke intonava con voce lirica e spezzata dall’angoscia e dalla rabbia: “But I’m a creep, I’m a weirdo/What the hell am I doing here?/I don’t belong here”?! Per di più tale cover ha anche evidenti problemi di metrica oltre che di contenuto, quel brano non è fatto per ospitare abusate frasi d’amore all’italiana.
E vabbe’, capita a tutti di sbagliare, ce ne faremo una ragione. Ma per rimediare, chi non l’abbia ancora visto può guardare lo choccante documentario “Il corpo delle donne” qui. Io l’ho visto la prima volta l’anno scorso e da allora non mi sono più tolta dalla testa il corpo di una ragazza seminuda penzolante come prosciutto tra prosciutti – veri – apparsa su “Scherzi a parte”. Invece per i Radiohead: andate sul loro sito, attaccatevi a You tube, scaricateli o acquistate il cd in negozio, ne vale la pena!
Orecchiando qua e là
Pubblicato: 29 marzo 2009 Archiviato in: musica 13 commentiGiovedì ero a Forlì dal mio super amico (già che c’eravamo, ne abbiamo anche approfittato per visitare la mostra dedicata ad Antonio Canova) e in pizzeria, mentre pranzavamo, un ragazzo si è seduto al tavolo vicino al nostro, ha chiamato un amico al cellulare e si è messo a parlare con grande entusiasmo. Be’, naturalmente non potevo non sentire… e così questo ragazzo, dai capelli corti e dal marcato accento romanesco, si è rivelato essere uno dei numerosi “pellegrini” che si recano con devozione nella vicina Predappio (paese natale di Mussolini) facendone la sua fortuna economica; costui per esempio era tutto su di giri per avere acquistato, oltre a numerosi braccialetti tricolori per sé e per gli amici rimasti a casa, un bel busto del Duce (brrr! Che paura pensare di voltarmi, per esempio, nel salotto di casa, e trovarmi a tu per tu con quel mascellone dallo sguardo cattivo! Cioè, se anche fossi una sua tardiva seguace, mi inquieterebbe lo stesso perché, diciamocelo, era proprio brutto e s’imbruttiva ulteriormente con quell’espressione ridicolmente feroce!). Bene, comunque avete capito il tipo. Dopo un po’, parlando col mio amico, stavo commentando il testo di questa canzone di Arisa, che nei commenti a questo post è stata criticata da alcune signore (e un paio di signori) snob come esempio di proposta retriva e stereotipata sul ruolo della donna eccetera (cioè, è una canzonetta che racconta una storia, non un manifesto, vorrei sottolineare). Be’, io dicevo al mio amico che non capisco perché, per essere donna emancipata, dovrei desiderare di vivere in una stamberga, sola, depressa e senza uno straccio d’uomo e di calore familiare anziché vivere serena col mio lavoro, la mia casetta con angolo cottura, una bella famigliola e magari un giardinetto fiorito. Questo m’impedirebbe forse di essere sensibile – chessò – ai problemi della donna nel mercato del lavoro o alla condizione degli immigrati nei cosiddetti CPT sparsi nel nostro Bel Paese? Ma no, direi anzi che se fossi una donna ferocemente in carriera sarei sensibile più che altro a me stessa e ben poco incline a considerare tutto il resto, proprio come chiunque sia ferocemente in carriera, per esempio. Mi dà un gran fastidio che, ancora nel 2009, se una donna dice che sogna di avere una famiglia e una casetta (il che non esclude che sogni anche qualcos’altro) c’è sempre la cinquantenne di turno (se non lo è anagraficamente lo è mentalmente) che col dito puntato accusa l’umile sognatrice di essere una frustrata repressa donnetta da poco. Fatto sta che al termine del mio discorso, il giovane fascista del tavolino accanto ha esclamato: “Parole sante!”. Ci son quasi rimasta un po’ male, anche se mi scappava da ridere…
Comunque, il discorso su Arisa era partito dalla canzone “Sincerità”, trasmessa dalla tv del ristorante, e da questa mia afflitta constatazione: allora, ascolto musica di qualità, cantautori stratosferici le cui canzoni canto a tutto spiano quando le ascolto allo stereo, ma basta che alle mie orecchie giungano casualmente le semplici, banali, filastroccose note di “Sincerità” (trasmessa ovunque) ed ecco che per tutta la giornata mi ritroverò a canticchiare senza neanche accorgermene e senza riuscire a fermarmi questa stregata canzonetta! Come può essere? Aiuto!!!
Ugole d’oro
Pubblicato: 4 settembre 2008 Archiviato in: musica 7 commentiSento il bisogno di segnalare che da circa un’ora sotto la mia finestra c’è un coro improvvisato di baldi giovani che cantano a squarciagola e con grande trasporto (vibrato a go go) interi album (a tutto volume) di cantanti neomelodici napoletani, più qualche innesto di Anna Tatangelo. Si tratta di clienti del baretto sotto casa. Mi auguro che la cosa non diventi un’abitudine… però, che impeto travolgente!
Il punto della situazione
Pubblicato: 14 giugno 2008 Archiviato in: fumetti, musica 14 commentiChe giorni intensi sono stati questi ultimi per me!
Tralasciando le cose più tragiche e realmente serie, ecco un piccolo resoconto.
- per cercare di placare lo stress che mi stava letteralmente torcendo le budella (scusate la raffinatezza), ci sono ricascata: mi sono recata in erboristeria e ne sono uscita con un boccettino di “erbe della notte”, un mix di sette erbe calmanti (biancospino, valeriana, escolzia – questa mai sentita – e altre). Aggiunte alla camomilla serale e all’ascolto compulsivo di Mozart (che sembra avere poteri rilassanti, calmanti e nel contempo stimolanti l’intelligenza), il risultato è stato che alla fine ero così rilassata da sfiorare l’intontimento spinto. Non riuscivo più a studiare e rischiavo di addormentarmi sul testo che dovevo adattare…
- Un altro efficace metodo anti-stress (e senza effetti collaterali) è la lettura dei Peanuts. Sto acquistando, man mano che escono, i volumi della raccolta definitiva delle storie dei Peanuts (contengono tutte le strisce dalla prima uscita – nel 1950 – all’ultima). Ve la consiglio, è un’edizione un po’ costosa ma curatissima – sia a livello grafico che di contenuti (c’è un apparato redazionale molto ricco) – curata da Seth (un fumettista americano che amo molto e la cui poetica è in piena linea con Charlie Brown & C., pur proponendo storie diverse). L’edizione italiana è la riproposizione fedele in tutto e per tutto (anche nel formato) dell’edizione americana. È davvero bello leggerli in ordine cronologico perché permette di seguire i personaggi dalla loro nascita, a volte restandone stupiti: Lucy, per esempio, da piccola mi è simpaticissima mentre “da grande” è effettivamente un po’ troppo autoritaria, scorbutica e pignola… Tutti i personaggi hanno subìto delle evoluzioni nel corso dei 50 anni ed è proprio coinvolgente poterli seguire passo passo!
- Alle ore 4,30 del mattino, nella notte tra mercoledì e giovedì, ho capito Il disagio della civiltà di Freud (che fino a poche ore prima mi risultava incomprensibile in tutta la seconda parte). Ciò mi è servito per l’esame del giorno dopo ma forse era meglio se continuavo a non capirlo.
- Ieri, mentre cercavo di passeggiare assieme a un amico sotto la pioggia in stile autunnale che ci allieta nelle ultime settimane, ho capito che io, le cose che mi succedono, ho proprio tanto bisogno di raccontarle, ma non è sempre facile trovare qualcuno che sia interessato ad ascoltarle (ecco perché ho un blog, ha detto lui)
- Nei giorni scorsi ho anche conosciuto due persone molto simpatiche e ho avuto un brutto litigio con l’amico di cui sopra. Litigare è una cosa che mi capita molto raramente, ma sapete una cosa? Fare la pace, dopo, è stupendo! Ogni tanto un litigio ci vuole proprio!
- E infine, gli Europei. Non per fare la disfattista, ma vi confesso che, da anni, ho un debole per l’Olanda (intesa come squadra di calcio), mi piace come gioca. I goal di ieri contro la Francia sono stati bellissimi! Che partita (soprattutto dopo quella “palla” di Italia-Romania)! Ho un unico appunto da fare a quella squadra: ma come si fa a mettere quei calzettoni azzurrini con una maglia arancione?! È un accostamento inguardabile!! Chi è il sarto che li manda in campo conciati in quel modo?? A parte questo, martedì ci sarà da divertirsi (speriamo) e invidio un po’ mia sorella che sarà a Napoli, dove sanno come festeggiare (o disperarsi) per queste cose (era lì anche durante i mondiali di due anni fa…).
Dio, ti ringrazio per avere creato B.B. King
Pubblicato: 25 Maggio 2008 Archiviato in: musica 16 commentiQuesta è l’ispirata preghiera che mi sale dal cuore, dal corpo e dalla mente ogni volta che ascolto, ballo, canto, vivo la musica del mio amato B.B. King.
Ascolto e amo tutto ciò che è blues, da quello più tradizionale (direttamente dai campi di cotone di cent’anni fa…) a quello contemporaneo. Il blues è la mia musica del cuore, il Delta del Mississippi il mio locus amoenus emotivo.
E in tutto ciò, B.B. è sempre e comunque una spanna più su di tutti gli altri.
Mi emoziono con Mozart, “soffro” con i Radiohead, mi consolo con i Mercury Rev, ascolto classica, rock, pop, qualche italiano. Ascolto pure il canto gregoriano, la musica medioevale e quella rinascimentale.
Ma B.B. è l’unico che mi prende, mi solleva e mi fa volare.
Quando sono felice amplifica la mia gioia e la trasforma in giubilo. Quando sono triste o stritolata dall’ansia (come oggi, che non so perché mi è venuta un’ansia generalizzata strizzabudella) mi toglie il peso dal cuore e lo scioglie in leggera ebbrezza.
Ascoltare B.B. King è la mia piccola grande benedizione a portata di mano.
The King of the Blues quando canta e suona con la sua Lucille (la sua amata chitarra) è gioia pura, si sente proprio la felicità di vivere che ha nel cuore, me la sento scorrere nel corpo, mi sento esplodere i sensi, le emozioni e lo spirito tutti insieme. Vicina alla terra e vicina al Cielo. Per me è il massimo. Grazie B.B., che Dio ti benedica sempre.
Questa è una pura, esaltata, appassionata dichiarazione d’amore. Quando ci vuole ci vuole!
Gentlemen canterini
Pubblicato: 15 gennaio 2008 Archiviato in: musica 16 commentiOggi ho pensato che se anche, per caso, ne avessi l’opportunità, non sposerei mai un cantautore, per un milione di buoni motivi ma soprattutto perché, in caso di tradimento da parte sua (atto già in sé terribile, atroce, ferale e umiliante – non so se mi sono spiegata! – ) non vorrei poi vedermi anche svergognata davanti a tutto il Paese; perché non so se avete notato l’esistenza di questa curiosa regola: ogni comune marito è pronto a negare fino all’inverosimile l’avvenuto tradimento, e di certo non lo pubblicizza; il cantautore invece ci scrive su una canzone, ufficialmente per chiedere perdono ma nella quale, tra le righe, si giustifica e si glorifica, presentandosi alla fine come uomo sensibile, romantico e innamorato. Il cantautore sente questo incoercibile bisogno di informare il mondo della sua spregevole azione, facendola passare per il contrario di ciò che è, e così facendo si sente anche particolarmente buono e meritevole in automatico di perdono, se non di santificazione. Che la povera moglie venga in tal modo ulteriormente tradita e umiliata non gli passa neanche per la testa; del resto lui sarà troppo occupato a rilasciare interviste sull’argomento e scalare posizioni in classifica (di solito questo tipo di canzone piace tantissimo, soprattutto alle donne – vai a capire perché – e quindi stravende). Alla fine pretenderà pure di essere ringraziato…
Walking to New Orleans
Pubblicato: 29 agosto 2007 Archiviato in: musica 19 commentiIl 28 agosto di due anni fa, mio padre e io scendemmo in cortile per scattare delle fotografie. Dovevamo finire un rullino; mio padre fotografò me sulla mia bici azzurra e io fotografai lui, diritto, tra l’erba, fiero di indossare la sua maglietta preferita.
– Fa’ in modo che si veda bene la maglietta! -, insisteva.
Due giorni dopo, tutta la famiglia osservava impotente alla televisione le immagini di New Orleans distrutta non tanto da un uragano quanto dall’indifferenza di chi avrebbe dovuto provvedere a costruire argini adatti a proteggere la città e, in seguito, a garantire un’assistenza dignitosa agli sfollati.
Mentre mia sorella si attaccava invano al telefono per rintracciare la famiglia che l’aveva ospitata per due mesi l’anno prima (riuscì a comunicare con loro solo mesi dopo, erano finiti in Texas, avevano perso TUTTO); mentre mia mamma pregava spolverando i regali un po’ pacchiani che avevano suscitato le nostre risa quando Linda ce li aveva portati dalla Louisiana, e che ora sembravano così preziosi; mentre io e mio padre cercavamo notizie dei nostri bluesman e jazzisti preferiti per sapere se almeno loro si erano salvati (e per casa risuonavano le note di Fats Domino, di Professor Longhair, Son House e così via), andai a ritirare le foto che avevamo scattato due giorni prima: la maglietta di mio padre si vedeva benissimo: il disegno di un sassofono giallo con tante note colorate e la scritta New Orleans campeggiavano sul tessuto nero, ben teso sul petto di papà.
Solo alcuni dati: milleseicento vittime; la gente che non aveva potuto abbandonare la città per giorni e giorni reclusa in uno stadio senza servizi igienici, cibo e medicine; cadaveri lasciati a galleggiare o abbandonati in strada per giorni; i superstiti separati gli uni dagli altri e dispersi – vorrei dire deportati – in stati diversi; le compagnie di assicurazione che non risarciscono un solo dollaro; ricostruzione lentissima, con offerte che fioccano da parte di chi vuole comprare a poco i terreni dei quartieri più distrutti (i distretti più poveri) per trasformarli in ricche aree residenziali… e così via.
Se al governo statunitense ci fosse stato qualcun altro, le cose sarebbero state diverse? Forse sì, forse anche no (sinceramente, non credo che Bush sia l’unico a disinteressarsi dei suoi cittadini più poveri e colorati). Fatto sta che purtroppo tanto l’11 settembre quanto Katrina sono arrivati sotto il signor Bush.
Mi dispiace tanto… ma come insegna il funerale jazz: dopo il triste compianto, la gioia e la rinascita scoppiano giuste e inarrestabili, e nessun uomo può fermare questo. Io ci credo.