La bassa moda
Pubblicato: 24 giugno 2007 Archiviato in: moda 21 commentiVenerdì sono andata a comprarmi dei vestiti. Avevo in mente cosa volevo, dovevo solo trovarlo. Naturalmente le mie idee sul vestiario non corrispondono alle idee correnti e per trovare una semplice gonnellina bianca del tipo che piaceva a me ho dovuto rovistare i negozi di mezza Bologna (alla fine ce l’ho fatta).
In queste occasioni (rare) mi chiedo sempre come molte donne possano trovare riposante e divertente fare shopping. Per me non solo è una noia mortale ma è anche terribilmente stancante, mentalmente e fisicamente.
Ed è, in un certo senso, umiliante. Ecco un piccolo esempio: nelle mie peregrinazioni passo davanti a una vetrina di un negozio di alta moda: tirerei dritta se non fosse che con la coda dell’occhio colgo qualcosa degno di attenzione per la sua bellezza: un semplice vestito indosso a un manichino. Un vestito bianco con una raffinata fantasia color verde, poco appariscente, delicata; di un tessuto leggero di ottima qualità, e dal taglio perfetto: stretto in vita, leggermente svasato sotto, arriva appena sopra il ginocchio. Semplicissimo ed elegantissimo; un vestito che, indossato, parla da solo, innalzando (esteticamente parlando) chi lo porta di tre spanne sopra le altre. Ecco, vorrei questo, penso. Ma non ho neanche bisogno di controllare il prezzo (cosa che comunque faccio) per sapere che costa troppo. Non solo non me lo posso permettere, ma anche potendomelo permettere non sono certa che sarei disposta a spendere tanti soldi per un vestito. Sta di fatto che quel vestito è sublime.
E naturalmente volto le spalle al vestito sublime per entrare nel negozio a fianco, che fa parte di una di queste catene di negozi alla moda sempre brulicanti di ragazzine e donne voraci. Entro e mi deprimo perché vedo tutta una serie di vestiti che passano per vestiti di moda e all’ultimo grido, e invece sono tutti fatti in serie, poi spesso tagliati male, con dei tessutacci da due soldi e delle fantasie o dei colori grossolani. E però poi se guardo per strada vedo che tutte le donne giovani, volenti o nolenti, sono conciate così. È la moda; la bassa moda, però.
Mi è venuto in mente un articolo del prof. Faeti che avevo letto anni fa; tornata a casa l’ho rintracciato, ve ne trascrivo un pezzo significativo, a mio parere:
Uscivo dal cinema e ho visto, in via Indipendenza, a Bologna, tre ragazzine vestite con la struggente povertà straccionesca di questi nostri anni, in cui l’inganno fa coincidere la Moda con la Miseria, ma solo per i subalterni.
Le ragazzine, fasciate negli orpelli da bancone da fiera, guardavano una vetrina che conteneva quattro «Filippo Alpi», ovvero abiti addirittura opulenti pur nella levigatissima proposta visiva di cui erano protagonisti. Da dietro gli abiti una commessa inviava sguardi gelidamente minacciosi alle ragazzine, come in una sequenza del film Pretty woman, al quale va rivolto un particolare omaggio perché esso ci dice quanto e come le differenze di classe siano non solo presenti ma anche orribilmente visibili, anche in un mondo che ha sottratto ai subalterni proprio gli strumenti per riconoscere davvero l’evidenza dell’oppressione.
Capite cosa voglio dire?
Ci sono i vestiti di Super-moda, che sono quelli, spesso stravaganti e ridicoli, ad effetto (e pertanto, almeno alcuni, importabili), che vediamo per es. al tg2 costume e società sulle grandi passerelle parigine o milanesi.
Ci sono i vestiti di Alta moda, che sono quelli veramente belli, eleganti, raffinati, che troveremo indosso alle ricche signore dell’Alta società.
Ci sono poi i vestiti di Bassa moda, che sono quelli appetiti e sfoggiati dalle masse di ragazzine/ragazze/donne che vediamo per strada, assurdamente orgogliose di incedere tutte vestite uguali con dei bermuda striminziti e strascicando ciabattine con paillettes, per esempio. E non si rendono conto che non sono “alla moda”, sono solo povere e illuse.
Qualcuno si chiede perché io consideri il libro “Cuore” ancora, in parte, molto attuale.
Lunedì e martedì saro fuori Bologna, perciò se lascerete commenti in quei giorni non potrò rispondervi subito! Buon inizio settimana a tutti!
Spleen domenicale
Pubblicato: 20 Maggio 2007 Archiviato in: camminando, moda | Tags: spleen 21 commentiChi legge questo blogghettino ormai sa che io sono un essere umano felice e addirittura entusiasta sei giorni su sette. Il settimo giorno, cioè la domenica, mi viene lo spleen.
Stamattina, nel tentativo (fallito) di prevenirlo, sono uscita presto di casa, con un libro in mano, diretta al parco. Ho benedetto il clima pseudo-estivo che spinge molti miei concittadini a salire in macchina il sabato per andare a imbottigliarsi sull’autostrada per il mare; trovo meraviglioso passeggiare per le strade pressoché deserte e insolitamente silenziose. Anche adesso, mentre scrivo, c’è un silenzio totale attorno a me.
A dispetto della giornata calda e luminosa indossavo pantaloni neri, scarpe nere e maglietta nera; non che intendessi con questo dichiarare qualcosa al mondo; erano solo le prime cose che avevo pescato dall’armadio. Ma avendo la carnagione chiara e il passo leggero, credo somigliassi molto alla cosiddetta Morte in vacanza.
Seduta su una panchina, ho osservato le persone che si riposavano al parco: due donne dell’Est chiacchieravano tra loro prendendo il sole senza curarsi dell’anziana assistita di una delle due, a cui il sole dava chiaramente fastidio; accartocciata su una carrozzina e piegata dall’artrosi, con una gobba aguzza, si contorceva lamentandosi; mi sono così immedesimata in lei che mi sentivo friggere sulla panchina. Non volevo sembrare scortese con la badante ma al tempo stesso avrei voluto spostare la signora all’ombra. Nel frattempo accanto a me una bambina cicciona molestava un’altra bambinetta impedendole l’accesso a qualunque gioco lei di volta in volta mirasse. La mamma della bambina, cicciona anche lei, la guardava compiaciuta. E una gazza gracchiante evoluiva (cioè: faceva evoluzioni; scusate, ma dovevo scriverlo) solitaria al di sopra della mia testa.
Quando ho capito che l’anziana artritica era anche un po’ fuori di testa, mi sono avvicinata, l’ho salutata con calore fingendo di conoscerla, ho salutato la badante, detto due stupidaggini sul clima e trascinato finalmente la vecchia all’ombra, due metri più in là (in qualità di “conoscente” potevo farlo senza che nessuno si sentisse offeso, no?).
Poi, più sollevata, sono tornata a sedere sulla mia panchina e ho passato un po’ di tempo a scrutare le scarpe indossate dalle donne che passavano, non perché sia una feticista ma perché sono alla disperata quanto inutile ricerca di capire quale modello di scarpa possa andarmi bene. Non me ne piace nessuna, di quelle che vanno di moda. In più ho uno stranissimo senso del pudore per cui non riesco a girare col piede troppo scoperto, tranne al mare. E tutte invece, nonostante tra l’altro i nostri portici siano spalmati di escrementi canini, sentono questo bisogno insopprimibile di tenere tra il proprio piede e il selciato una suola di carta velina (dopo avere girato tutto l’inverno con orribili stivaloni da ufficiale a cavallo).
Ho aperto il mio libro e letto, in un dialogo, questa frase: Disegnare ti aiuta a vedere il mondo più da vicino, lo sapevi?
Credo valga anche per lo scrivere e mi è piaciuta moltissimo. Non credo sia così bello vedere sempre il mondo da vicino (sono una miope che non voleva mettere gli occhiali proprio perché preferivo vedere sfocato), ma penso non se ne possa fare a meno. Di colpo la vecchia, la bambina cicciona, la gazza evoluente e me con la mia inopportuna divisa nera, mi sono sembrati tutti elementi degni di essere lì. Avrei solo voluto ci fosse un gigante pittore a dipingerci da qualche parte. Forse c’è, in un certo senso. È consolante, a volte, sentirsi personaggi di qualche opera che non capisci.
E così io, me, e il mio libro ce ne siamo tornati a casa, sempre un po’ malinconici ma insomma un po’ più sollevati. E così, anche questa struggente domenica è quasi finita… Buon lunedì a tutti!
E caddi come corpo morto cade [La sindrome di Odradek]
Pubblicato: 10 febbraio 2007 Archiviato in: camminando, esperimenti, figuracce, moda 37 commentiUna volta lessi su “Repubblica” un articolo di Natalia Aspesi in cui lei sosteneva, commentando un fatto di cronaca, che le donne hanno un’arma infallibile quando si tratta di trarsi fuori d’impaccio da situazioni insopportabili tipo, come in quel caso, un interrogatorio in un processo: svenire.
Sì, posarsi delicatamente il dorso della mano sulla fronte e abbandonarsi con un leggero sospiro a uno stato di assenza che ci garantirà un po’ di pace nel riaffermare tra l’altro quel misto irresistibile di fragilità e forza che ci rende donne.
Non è che questa spiegazione mi convincesse molto, a dire il vero, ma aveva svegliato in me il desiderio di svenire. Sì, una volta soltanto, per vedere che cosa si prova, per fare scena, per partecipare anch’io di questo insondabile mistero femminino.
Con mia somma invidia avevo tra l’altro appreso che mia madre in passato era svenuta non una ma parecchie volte, soprattutto quando era incinta di me. Ed era stata sempre soccorsa da uomini galanti: mio padre, il passeggero di un autobus, il fruttivendolo…
Svenire non è una cosa che si possa fare a comando, e comunque non varrebbe.
Nel frattempo leggevo i romanzi dell’Ottocento. Lì c’è sempre qualche pallida fanciulla che sviene e in certi casi le viene addirittura una alquanto misteriosa febbre cerebrale: non si sa se passerà la notte. Non mi auguravo la febbre cerebrale ma lo svenimento sì.
Ebbene, ieri ce l’ho fatta!
Sono svenuta, anche se per pochi secondi (o forse quasi un minuto)!
E forse Natalia Aspesi aveva ragione: infatti sono svenuta in un negozio d’abbigliamento femminile. Perché? Cosa ci facevo lì proprio io che dilapido i miei soldi esclusivamente in libri, cd e qualche film?
Be’, dovete sapere che nei giorni scorsi ho ottenuto un’importante promozione sul lavoro: mi sono state assegnate mansioni più impegnative e più cose da fare; in più la prossima settimana il super-mega-direttore (cioè non il referente bolognese, ma il Grande Capo di Milano) vuole vedermi. Gioia e tripudio! Ma cotanto tripudio ha presto lasciato spazio alla disperazione quando ho aperto il mio armadio e ho constatato che vi sono solo pochi vestiti decenti tra tanti ormai usurati e informi. Senza contare quelli adolescenziali, che quando li indosso incontro regolarmente qualche vecchietto che mi fa la predica perché «ho saltato la scuola».
Insomma, mi sono detta, è ora di rinnovare un po’ il cosiddetto look!
Ecco perché ieri mi trovavo per le vie del centro a guardare vetrine e soprattutto ad addentrarmi nei negozi, sgomitando tra la fauna femminile che li popolava, fauna rabbiosa e aggressiva, pronta a calpestarti pur di arrivare prima di te all’agognata gonnetta adocchiata da lontano (ma come fanno? Io sono miope, ok, ma neanche coi superpoteri si riescono a vedere certe cose).
Ora, io sarò fanatica o anche ossessiva o perfino paranoica, ma odio gli intruppamenti, odio questi negozi fatti in serie, con corsie strettissime in cui ti trovi incolonnata giocoforza, con la classica cicciona dietro che ti pesta i talloni con foga mentre davanti due aspiranti sosia di Paris Hilton bloccano il traffico provandosi canottierine in pieno inverno (va be’ che fa caldo, però…). E poi regolarmente quando vedo qualcosa che potrebbe piacermi e allungo il braccio per prenderla, qualche mano rapace me la toglie di sotto al naso ed è inutile protestare, non c’è tempo e la fila incalza e poi Se ti piace tanto tientela, Avvoltoio, penso ma non dico.
Ed è così che comincio a pensare cose come: Cosa ci faccio qui?, Cosa me ne faccio di una gonna nuova?, Ho davvero bisogno di una camicetta?, e divento Odradek, un coso inutile composto da roba sfilacciata, un affare che certe volte è iperattivo e dopo si chiude in lunghi silenzi, una cosa sgangherata e fuori posto, insomma, nel mondo in cui gli è capitato di vivere, poveretto.
A me questa sindrome qui mi viene in questi posti tipo i centri commerciali o luoghi comunque pieni di gente-che-spinge.
E ieri, un po’ questo, un po’ che mi mancava l’aria e respiravo solo anidride carbonica satura di profumi e sudori femminili emanati dall’orda infernale, un po’ che non avevo fatto in tempo a mangiare… a un tratto ho cominciato a sudare freddo, mi tremavano le gambe, con un palpito del cuore ho pensato: Che stia, finalmente, per svenire? Però mi vergognavo, sono timida e non volevo svenire lì in mezzo (ma forse non se ne sarebbero neanche accorte e sarei morta calpestata); con un residuo di forza mi sono sfilata di lato e ho fatto un cenno all’amico che era con me e che in teoria doveva farmi da consulente, ma come avrete capito si era defilato e fingeva di interessarsi a una collezione di cinture. Comunque, vedendomi pallida come un morto (parole sue) è accorso e mentre mi chiedeva cos’avessi a me è venuto tutto un buio davanti che mi sembrava di aver gli occhi chiusi ma sapevo che li avevo aperti, e dopo aver sospirato un: «Portami via» (ho detto proprio così!), sono crollata, svenuta, kaputt!!!
Mi sono svegliata pochissimo dopo e davanti a me c’era una commessa isterica che voleva a tutti i costi chiamare l’ambulanza mentre il mio amico la tratteneva e io vedevo e sentivo la scena come da dietro un vetro ed ero in uno stato che oserei definire di beatitudine.
Poi il mio amico mi ha portata al McDonald’s lì vicino e dopo avere mangiato un toast dal sapore di videocassetta fusa mi sono sentita bene.
Adesso anch’io ho nel mio curricolo di donna questa interessante esperienza.
È durata poco ma è stata bella. Forse penserete che io sia sciocca; be’, un po’, effettivamente, sì.
L’unico problema è che non ho comprato alcun vestito. Ritenterò.
[Scusate l’eccessiva lunghezza ma in fondo questo post vale anche per domani. Buon weekend! Io lo passerò immersa in certi libroni deprimenti che mi servono per la tesi…]