La chiave di Barbablù
Pubblicato: 6 dicembre 2009 Archiviato in: casa nuova, felicità, malanni | Tags: solitudine, spleen 9 commentiFinora andare a vivere da sola si sta rivelando solo una immensa fonte di spese, perdite di tempo, stress e seccature. La casa è come la chiave di Barbablù: non è mai pronta e a volte penso che non lo sarà mai, mentre soldi e tempo in particolare non sono più sotto il mio controllo e questa cosa mi fa impazzire (presente quel fastidioso pizzicorino al cervello?). Sono reduce da una decina di giorni intensi, durante i quali non sono riuscita ad aprire un libro. Credo che l’ultima volta che non ho aperto un libro per così tanto tempo risalga a quando ero ancora analfabeta. E mi è mancato tantissimo. Inguaribilmente ottimista, cerco di dirmi che gli aspetti positivi della vita da single arriveranno più tardi. Ma sinceramente ne dubito. Ne dubito profondamente.
Comunque la bella notizia è la seguente: dopo aver passato un’estenuante domenica a tinteggiare vanamente una casa che non vuole essere tinteggiata, il tutto a digiuno da tre giorni per un esame che dovevo fare, martedì scorso ho fatto il suddetto esame e la diagnosi è che la mia malattia è in remissione! Vi dico solo che la casa mi ha stancata così tanto, fisicamente e mentalmente, che quando martedì sono approdata sul lettino dell’endoscopista, solitamente temuto e aborrito, il mio unico pensiero è stato: “Che bello stare distesi. Adesso mi riposo un po’”. Chi se ne importava se quello intanto mi infilava tubi in organi poco simpatici del corpo: poté più la spossatezza che dieci flebo di valium! E vi assicuro che sentire la parola: remissione; leggere sul referto la parola: remissione; vedere con i miei occhi sul monitor i miei visceri risanati… vale più di cento stupide case da sistemare! Un’isola di felicità in un mare di depressione, ma pur sempre Felicità!
Davanti alla legge
Pubblicato: 6 novembre 2009 Archiviato in: attualità, malanni, umorismo | Tags: vaccino a/h1n1 9 commenti«Tutti tendono verso la legge, come mai in tutti questi anni nessuno ha chiesto di entrare?». Il guardiano si rende conto che l’uomo è giunto alla fine e per farsi intendere ancora da quelle orecchie che stanno per diventare insensibili, grida: «Nessun altro poteva entrare qui perché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo».
Mi ricordo che un tempo ero solita, d’inverno, ammalarmi della classica influenza stagionale, il che mi permetteva di stare felicemente a casa da scuola almeno quattro/cinque giorni, di restare beata tra le coltri a farmi servire e riverire, mentre approfittavo di tanto tempo libero per divorare libri o guardare la tv. Tra un brodino caldo e una bistecchina di pollo con patate lesse (il cibo del malato, a casa mia), mia nonna si premurava di cucinarmi la sua famosa torta Mantovana (una torta giallissima per tutte le uova che ci metteva), utile, secondo lei, a “rimettermi in forze”. Insomma, per una settimana all’anno ero autorizzata a poltrire beata e senza rimorsi. Cosa si poteva desiderare di più? Certo, avevo febbre e raffreddore, ma pazienza, non morivo mica. Ma a spezzare tale beatitudine, è arrivato il Vaccino stagionale. A un certo punto, il mio dottore ha preteso di vaccinarmi ogni novembre onde impedirmi di ammalarmi. Inutili le mie proteste pro-influenza. E siccome ‘sto benedetto vaccino funziona, io è da credo dieci o undici anni che non prendo più l’influenza.
Quest’anno, oltre al solito vaccino antinfluenzale normale, essendo classificata come “soggetto a rischio” dovrei fare anche il vaccino suino. E qui casca il maiale, ehm, no, l’asino. A fronte dell’allarmismo televisivo propinatoci quotidianamente, il vaccino – almeno nella mia regione, che di solito in queste cose è sempre ben preparata – manca. Non manca solo il vaccino, manca proprio l’organizzazione, cioè pare che all’asl non abbiano le idee chiare sulle procedure, oltre a non avere le scorte. Poi, dato che in Italia si vede che i medici hanno la coscienza ipertrofica, c’è il problema dei medici obiettori, quelli cioè che non vogliono somministrare il vaccino A/H1N1 ai loro pazienti perché non lo ritengono sicuro. Il mio medico di famiglia è tra questi, pur non opponendosi a che io lo faccia alla asl, mentre il mio gastroenterologo vuole che io lo faccia, in quanto immunosoppressa.
Io per farlo devo comunque aspettare di ricevere una lettera di convocazione dalla mia asl, come tutti i soggetti a rischio. Solo che, mentre l’epidemia è già in pieno corso (più di ventimila bolognesi ammalati), le lettere non arrivano.
Stamattina ho telefonato di nuovo alla asl, chiedendo informazioni:
– Eh, signorina, deve aspettare la lettera! –
– Sì, ma intanto che aspetto la lettera l’influenza galoppa. Andrà a finire che la lettera arriverà quando sarò già malata o forse deceduta… –
– Eeeehhh… ha ragione, infatti, lo dico anch’io. Ma non ci si può fare niente, qui siamo in alto mare, sa? –.
Allora, premesso che secondo me questa è una normalissima influenza e che mi sta bene non fare il vaccino perché non mi sento per niente fragile e sarò anche immunosoppressa ma è da tre anni che non prendo neanche un raffreddore (adesso che l’ho detto immagino che domani sarò a letto col raffreddore del secolo), un comune mortale si chiede: se i soggetti a rischio devono assolutamente vaccinarsi, perché non ci sono i vaccini? Se c’è questo lassismo allora significa che non c’è poi tutta questa necessità di vaccinarsi anche se si è a rischio? Io penso che sia valida la seconda ipotesi, perché in caso contrario avremmo uno Stato che mette gravemente a rischio la salute di migliaia di suoi cittadini. Dunque perché ci ingannano? Cioè se non è affatto indispensabile, perché ce lo vogliono far fare e non ci lasciano in pace? (mio padre dice che non ci sono abbastanza scorte e non hanno il coraggio di dirlo…).
Inoltre, perché solo un medico su quattro ha deciso di vaccinarsi? Perché solo a Bologna ben il 40% dei medici di base non vuole assumersi la responsabilità di vaccinare i propri pazienti? E perché bisogna firmare un consenso informato per il vaccino A/H1N1, mentre per il vaccino stagionale no? Sinceramente io mi fido molto del mio medico di famiglia, non è certo un complottista o un dietrologo, quindi se lui considera il vaccino più un rischio che un beneficio, un motivo ci sarà.
Perciò, a questo punto, io mi auguro che questa mitica lettera non mi arrivi, così evito il vaccino senza sentirmi responsabile della scelta di non farlo. Invece domani andrò a fare il solito, caro, vecchio vaccino stagionale.
Che poi, sarebbe seccante morire per una roba dal nome così poco nobile (suina…).
Però, per via di questa lettera di cui tutti siamo in attesa e che ancora nessuno ha visto e che forse arriverà ormai troppo tardi, ho avuto il brivido di sentirmi come il protagonista di Davanti alla legge, il racconto di Kafka che descrive l’eterna attesa di un uomo che vuole entrare nella porta che conduce alla Legge ma la cui attesa si rivelerà inutile ed eterna.
Morale della favola: Kafka vs SSN*: 1-0.
*Sistema Sanitario Nazionale
Incolume al traguardo
Pubblicato: 7 marzo 2009 Archiviato in: felicità, malanni 24 commentiLa prima a cadere è stata proprio la prof. relatrice della mia tesi, dieci giorni fa: un braccio rotto. Poi è stata la volta di mio cognato, ricoverato improvvisamente in ospedale a Londra (diagnosi ancora in corso di definizione). Nel frattempo mia mamma si è ritrovata con i legamenti del ginocchio fuori uso. E proprio due notti fa il mio amico del cuore è stato semi-annientato da un virus gastrointestinale così aggressivo da spedirlo in ambulanza al pronto soccorso. Perciò i giorni precedenti alla mia laurea sono stati scanditi da bollettini medici, telefonate angosciate via skype con mia sorella a Londra alle dieci di sera (quando tornava dall’ospedale), messaggi traboccanti d’angoscia con l’amico ricoverato, trepidazione per la mia stessa salute (In questa ecatombe, riuscirò io ad arrivare sana al traguardo? Poi possono anche venirmi dieci virus tutti insieme, mi ripetevo). E così io, che non ero minimamente ansiosa per la laurea, ho passato una settimana ad angosciarmi invece per la salute di tutti; perfino di notte sognavo tutte queste persone (compreso mio cognato che finora ho visto solo in fotografia).
L’unico valido rimedio per alleviare lo stress è quello ormai collaudato: mettere su della musica e cantare. Mi alzavo al mattino e cantavo, cantavo nel pomeriggio e gorgheggiavo la sera prima di addormentarmi (dopo la tragica telefonata serale con ennesimo bollettino medico; per fortuna sembra che il peggio sia scongiurato).
Cantare (muovendosi a ritmo o ballando, a seconda del pezzo) aiuta a regolarizzare il respiro e il ritmo cardiaco, a far circolare un po’ d’allegria in corpo e a distrarre neuroni ingarbugliati su se stessi a forza di concentrarsi sul peggio. Il risultato è stato che finalmente stamattina – 7 marzo 2009 – mi sono presentata in piena forma psicofisica di fronte a una commissione che dopo avermi ascoltata mi ha proclamata ufficialmente “dottoressa”. Ma a questo punto, a forza di cantare, potrei pure presentarmi a un provino per X-Factor!
Il favoloso mondo dell’endoscopia
Pubblicato: 29 ottobre 2008 Archiviato in: calamità ilariesche, malanni, ospedale, uomini al lavoro 14 commentiIn base a una mia personale teoria pseudomatematica (e in matematica non sono mai stata brava, comunque, ma fantasiosa sì, mettiamola così…), se ti capita una disgrazia puoi anche piangere, ma se te ne capitano due o tre tutte insieme (di media entità, non parlo di tragedie), l’unica cosa saggia è riderci su.
Diciamo che sono reduce da due giorni particolarmente intensi in cui tale teoria ha effettivamente retto.
Ecco dunque la mia personale recente tragicommedia.
Ieri mattina era il fatidico giorno della tanto temuta colonscopia; da quando il mio medico aveva fissato la data (circa quattro mesi fa) il pensiero di cosa mi aspettasse il giorno 28 ottobre 2008 (e anche il giorno prima, per via della pesante preparazione che l’esame richiede) non era più uscito dalla mia mente; anche quando ero concentrata su tutt’altro, in un angolino del cervello lampeggiava ininterrottamente l’avviso: 28 ottobre: colonscopia. Ne avevo già fatta una quattro anni fa ma allora ero ricoverata, ero più di là che di qua, un corpo inerte senza quasi più coscienza, quindi quel vago ricordo non era indicativo.
Dieci giorni fa, come forse ricorderete, avevo trascorso una fruttuosa giornata in compagnia di Erik l’idraulico, a causa del mio water ingolfato. Tutto sembrava risolto e Erik l’idraulico era ormai uscito dalla mia vita quand’ecco che, all’improvviso, il problema si è ripresentato uguale esattamente lunedì, il giorno della preparazione: il giorno in cui, completamente a digiuno, il povero candidato alla tortura endoscopica deve ingerire quattro litri (e non un centilitro di meno) di una purga disgustosa al sapore di mandarino marcio. Senza scendere nei dettagli, capirete che il wc diventa a quel punto un bene primario, lo scopo dell’esistenza, oserei dire. Per cui provate solo a immaginare cos’ha provato la sottoscritta quando il suo wc ha deciso di piantarla in asso proprio nel giorno sbagliato, dopo che in teoria era stato riparato appena una settimana prima.
Comunque tesa alla meta e concentrata sull’esame, sono riuscita in qualche modo a tenerlo in vita mentre nel contempo (ricordiamolo: sempre a digiuno e in preda alla purga) telefonavo disperata a Erik l’idraulico affinché corresse in mio aiuto. Ma Erik l’idraulico era fuori Bologna e tutto quello che ha saputo dirmi era che mi avrebbe telefonato la mattina dopo (la mattina della colonscopia…) per mandarmi eventualmente un suo amico idraulico.
Nonostante tutto, dopo una notte in bianco e innervosita dal fatto che l’ansia per la questione del bagno andava ormai di pari passo con quella per l’esame, mi sono recata all’ospedale pronta per la tortura. L’idea originaria era di andarci in bicicletta e tornarmene sempre in bici bel bella dopo l’esame, per non disturbare nessuno… ma dato che non mi reggevo in piedi non mi sembrava il caso di pedalare; del resto ci sarà un motivo se sul foglietto dell’ospedale c’è scritto di recarsi all’esame accompagnati. Perciò sono andata con “uno a caso”: mio padre. Il mio corpo era tutto un brivido e un tremito, per la spossatezza e per l’ansia, ma ero anche serena perché contavo sul fatto che mi avrebbero blandamente sedata, come da prassi. Perciò, quando mi hanno chiamata, sono entrata nell’ambulatorio con fare sereno, mi sono sistemata sul lettino secondo le istruzioni dell’infermiera, e mentre stavo lì in attesa pensavo: Ok, adesso mi fanno l’iniezione di Valium e mi calmo. Che stupida a preoccuparmi! Ma quando il medico, una volta arrivato, mi ha salutato affettuosamente e si è subito messo ad armeggiare con gli strumenti della tortura e con il monitor, la mia sicurezza ha cominciato a vacillare.
– Ehm… – ho buttato lì – Adesso mi date il sedativo, vero? –
– No, no, niente sedazione, tanto tu sei forte. –
Nooo! Non sono forte, sono una pappamollaaa! Voglio il Valium!, ho protestato interiormente, limitandomi però a ribattere:
– Veramente sto tremando dalla paura…–
– Sta’ tranquilla e vedrai che non sentirai niente, stellina –, ha concluso lui carezzandomi sulla guancia, e io mi sono rassegnata (per inciso, sono estremamente sensibile al fascino del mio gastroenterologo, come tutte le altre sue pazienti, del resto. Con quella voce e quello sguardo riesce a farmi digerire parecchie brutte cose. E lui lo sa).
L’esame è cominciato e mentre il medico mi rendeva partecipe della situazione invitandomi a osservare il monitor, mostrandomi passo passo tutto ciò che vi appariva (che poi erano le mie interiora) e che lui commentava con grande maestria, io ero intenta, oltre che a guardare effettivamente il mio colon in diretta televisiva, a stringere i denti e ad aggrapparmi con tutte le mie forze alla sponda del lettino: efficace alternativa naturale alla sedazione chimica, atta a impedirmi di urlare per il dolore che a tratti provavo.
Ebbene, proprio nel momento clou, mentre sul monitor sfilava il mio ileo e quando ormai temevo che mi si sgretolassero i denti da quanto li stringevo e non sentivo più le mani, odo squillare il mio cellulare.
Oh, no!, questo è Erik l’idraulico!, ho pensato. Ma ovviamente non potevo rispondere.
Finita la tortura, con esito ben poco bello (sinceramente non me l’aspettavo, uffi!), invece di rilassarmi ero già impegnata a contattare Erik l’idraulico, mentre divoravo un panino col prosciutto che, dopo tre giorni di digiuno, mi sembrava il cibo più buono del mondo. Ferale notizia da Erik l’idraulico: certamente non era un problema del mio wc ma della colonna condominiale, quindi dovevo rivolgermi all’autospurgo (Eeeh? Esiste una cosa chiamata autospurgo?). E qui è iniziata la seconda, grande avventura della giornata, intitolata Il favoloso mondo dell’autospurgo, che mi ha vista a capo di un’intera squadra di autospurgo nonché dell’intero condominio, sotto la pioggia battente e incurante del mio stato di salute. Ma per non tediarvi troppo, questa seconda avventura sarà argomento del secondo e ultimo capitolo di questa tragicomica saga, il prossimo post.
Grazie a tutti per i vostri commenti e gli incoraggiamenti nel post precedente.
Aggiornamenti
Pubblicato: 23 dicembre 2007 Archiviato in: malanni 18 commentiIn questi giorni di assenza dal blog sono successe tante cose. Intanto, mi sono riposata per bene: studiando sodo, immergendomi in letture di piacere, ascoltando musica, cantando, passeggiando, scrivendo, godendo ogni tanto della compagnia di amici e tenendo il computer rigorosamente spento. Credo che il pc mi ricordi troppo il lavoro, accenderlo anche solo per venire sul blog mi dava la nausea e i crampi allo stomaco (non metaforici). Insomma: assenza giustificata…
La notizia più bella è che giovedì sera, dopo cinque mesi di assenza dal patrio suolo, è tornata la mia sorellina Linda, direttamente dal Kenya. E, notizia ancor più bella, è tornata felice, contenta, soddisfatta come raramente mi è capitato di vederla. Sono stati cinque mesi in cui si è trovata da sola ad affrontare situazioni di tutti i tipi, è riuscita a lavorare presso la redazione di un giornale keniota (ha una rubrica tutta sua che manterrà anche da qui) e soprattutto (squillino le trombe) era partita zitella ed è tornata fidanzata! Con un giornalista africano conosciuto proprio presso il giornale per cui ha lavorato. Ha già conosciuto tutta la sua numerosa famiglia e ha passato gli ultimi tempi ospite a casa sua. Che dire? I due fanno sul serio, lei è già pronta a fare la spola tra Italia e Kenya e siamo tutti felici (compreso mio padre, nonostante un semi-collasso iniziale, a notizia appena ricevuta).
Riguardo a me, dato che peggioravo di giorno in giorno e non riuscivo a contattare il mio medico specialista, ho optato alfine per un blitz in ospedale. Sono riuscita a farmi visitare al volo, a ricevere una giusta sgridata (dovrei fare gli esami del sangue ogni due mesi ed era da quasi un anno che li evitavo, stando bene…) più una terapia d’emergenza in attesa dei risultati degli esami. Mi sento meglio e ho già provveduto a recuperare i chili persi grazie all’aiuto di mia nonna che ha incentivato la sua già notevole produzione di tortellini e dolci (non sopporto quando mi si contano le costole a occhio nudo, grrr!). Ieri mattina sono andata a ordinare la torta per il mio festeggiamento di domani: una meringata con tanta panna e cioccolato.
Ieri non ho resistito e ho scartato in anticipo un regalo: un manuale per imparare a giocare a scacchi. Credo che domani o dopodomani riceverò anche una scacchiera perché è dall’estate scorsa che urlo ai quattro venti che voglio imparare a giocare a scacchi.
In questi giorni però mi sono sentita un po’ egoista; sto così bene a leggere e studiare che non mi dispiacerebbe poter passare tutta la vita così. A volte (anzi, spesso) preferisco restare a godermi la compagnia di un libro anziché uscire con amici. D’altra parte, sento anche il bisogno di condividere con altri ciò che leggo, penso, sono. Che senso avrebbe tenersi tutto dentro? In me c’è un lato solitario e intangibile e un altro amichevole e socievole. È una vera fatica riuscire a integrarli e infatti non credo di riuscirci molto, se non, spesso, forzandomi. Voi come ve la cavate con questo dissidio (se lo vivete)?
Lacrime di coccodrillo
Pubblicato: 15 dicembre 2007 Archiviato in: malanni 21 commentiAlla fine è successo. Quando si tira troppo la corda, è inutile lamentarsi dopo. Tutto questo stupido e inutile stress che ho accumulato per mesi mi ha intossicata per bene e ora mi è esplosa una crisi; dovete sapere che ho una malattia cronica autoimmune che è scoppiata nell’estate 2004: in quell’occasione, ho ricevuto una diagnosi e una terapia dopo oltre un mese di dolori e febbre in seguito al quale ho trascorso tre settimane in ospedale. Dopo questo episodio, ho avuto una remissione completa durante la quale non ho mai avuto sintomi o problemi di alcun tipo ma ora, dopo mesi di ansia incontrollabile, eccomi di nuovo malata. Mi sento stupida. Non dico che sia colpa mia ma insomma, vale la pena di ammalarsi per cose tutto sommato meno importanti della salute? Secondo me no. Secondo me (lacrime di coccodrillo) avrei dovuto avere sempre presente l’abusato ma sempre valido motto: la salute prima di tutto! e avrei dovuto sapere rallentare e calmarmi anziché premere sull’acceleratore sentendomi sempre più nervosa… Chissà se mi servirà da lezione, anche se è difficile controllare l’ansia, quando viene (come si è capito da vari post precedenti a questo, io non ne sono capace e mi lascio proprio corrodere). La cosa più assurda è che ormai intravedevo le vacanze e la pace… proprio la prossima settimana avevo in programma di passare due o tre giorni di relax totale andando a trovare il mio amico e ora salta tutto. Grrr! Vabbe’, il lato positivo è che ora sono costretta a fermarmi e riposare e inoltre quando mi trovo giù invece di deprimermi mi aumenta la forza d’animo perché ho voglia di guarire e di vivere le mie meravigliose giornate (magari con un po’ meno fretta!). Inoltre, sapendo già quel che ho, basterà sottopormi alla cura d’emergenza, spero, senza rifare esami su esami perdendo tempo. E poi quelli che ho ora mi sembrano sintomi minimi rispetto allo choc di tre anni fa. Ora che sto male, forse potrò scrivere di più sul blog o forse di meno (spero non mi ricoverino, mi oppongo!!!), in ogni caso non preoccupatevi perché… una parte di me non è troppo dispiaciuta di essersi ammalata e di potersi fermare. Inoltre proprio ieri, pur con febbre, pallida, smagrita, tremante per i brividi e la debolezza, sono riuscita a discutere una tesina per il seminario che ho frequentato e ne sono stata molto soddisfatta… Ho anche ricevuto tante parole d’amore e conforto e non so come dire: io mi voglio bene, pur malatina.
L’amara pillola
Pubblicato: 25 novembre 2004 Archiviato in: calamità ilariesche, malanni, ospedale, uomini al lavoro 1 CommentoE così ingoierò l’amara pillola. Avere un medico così incredibilmente sexy è una vera sfortuna: potrebbe convincermi a sottopormi a qualunque tortura solo obnubilandomi con quella sua espressione maschia e ipnotizzandomi con quella voce bassa e potente e incredibilmente calda e rassicurante. Peccato che probabilmente io per lui non sia altro che un intestino come tanti (malato, per giunta). E poi è un tipo collerico, un po’ come me. Quasi ogni volta si infuria con la sua segretaria e i suoi collaboratori. Anche oggi, urlando come un forsennato, minacciava di licenziarli tutti (“Entro stasera vi sbatto tutti fuori”) scaraventando sul tavolo pile di cartelle cliniche e percuotendo innocenti ante di mobiletti. Ecco, mi piacerebbe essere la sua segretaria e ricevere tali sfuriate. E così mi sono ritrovata fuori dall’ambulatorio con un sorriso ebete sul volto e una pessima notizia ricevuta, della cui portata mi sono resa conto solo dopo, quando, tornando a casa in bici, numerose sferzate di aria gelida hanno risvegliato la mia mente dal suo torpore da infatuamento. Dovrò prendere una schifosa medicina per qualche ANNO. Un immunosoppressore che, se da un lato mi proteggerà dall’infame morbo che mi ha colpito, dall’altro mi esporrà maggiormente ad altre potenziali malattie. E non ho scelta, non ho alternative, prendere o crepare. La malattia non è pluralista, non è democratica, è palesemente dispotica e totalitaria. Ma con un medico affascinante la si affronta meglio, mettiamola così.
Non tutto il male vien per nuocere
Pubblicato: 16 ottobre 2004 Archiviato in: felicità, malanni, ospedale Lascia un commentoChe bello, sono felice! Non avrei mai pensato di sentirmi così serena e a mio agio in un OSPEDALE, eppure è così! Ieri sono andata per fare la mia periodica flebo, che dura la bellezza di TRE ore, e mentre raggiungevo l’ambulatorio ero felice all’idea di rivedere il mio meraviglioso medico e i suoi due assistenti, che sono non semplicemente gentili, ma affettuosi e amorevoli nei miei confronti. Anche ieri, al mio arrivo, il dottore mi ha dato un bacio sulla fronte, mi ha accarezzato il viso chiedendomi nel frattempo come stavo, e anche il suo assistente, che adoro, ha fatto altrettanto nel vedermi e si è fermato a chiacchierare con me nonostante fosse indaffarato. Mi fanno tanto piacere questi gesti, perché vanno al di là di quella gentilezza formale che ci si aspetta da un medico, sono gesti che non sono richiesti, non sono dovuti, che sicuramente a qualche altro paziente possono dare fastidio, e che a me invece danno una grande gioia e una grande forza, mi piace essergli simpatica e che provino tenerezza per me. Mi piace che tocchino il mio corpo anche per farmi una carezza sul viso, per darmi un bacio e non solo per visitarlo freddamente, mi piace che mi tocchino anche dove non c’è bisogno, perché così viene a cadere quella barriera tra il medico e il paziente, si crea un’intimità che è ciò di cui io personalmente ho bisogno per riuscire ad affrontare serenamente la mia malattia. Ecco perché ogni volta che esco dall’ospedale sono euforica, ho l’adrenalina a mille, è come se assieme a quella flebo mi venisse instillata un’abbondante razione di gioia di vivere! So che può sembrare strano, lo sembra anche a me, e non voglio sembrare irrispettosa nei confronti di chi, forse più malato di me, vive la malattia e l’ospedale con profonda sofferenza e disagio fisico e mentale; quella che racconto è soltanto la mia personale esperienza, quello che vivo nel mio cuore e sulla mia pelle. Ho imparato com’è bello imparare a fidarsi degli altri, a volte a dipendere dagli altri, dai medici, dagli infermieri, dagli amici e parenti che si preoccupano per te, e com’è bello riuscire a ricambiare. E com’è emozionante, e non troppo raro, incontrare medici che si prendono a cuore la vita, e non solo la salute, dei propri pazienti, che mostrano affetto e dolcezza per loro, che non si limitano a curare una malattia, ma si prendono cura della persona. E così mi ritrovo a ringraziare la mia malattia, senza la quale non mi sarei ritrovata a riflettere oggi su come sia bello vivere, su come sia importante amare.
Eccomi
Pubblicato: 4 ottobre 2004 Archiviato in: malanni, ospedale 2 commentiE vabbè, riproviamoci. La prima volta ho lasciato perdere, perché non sono un tipo da blog. Sono riservata perfino con me stessa, dunque l’idea di scrivere parole al vento non mi eccita per niente e pensavo non ci avrei più riprovato… ma ora rieccomi, anche se sicuramente non scriverò tutti i giorni. In fondo, avrò pure ogni tanto qualcosa d’interessante da dire, ma senza obblighi!
Per il momento posso dire di vivere in una condizione di totale euforìa, quasi di ubriachezza, il tutto in seguito a un lungo soggiorno in ospedale durante il quale ho scoperto di avere una malattia autoimmune cronica (anche se in forma molto leggera per cui non dovrebbe crearmi troppi problemi, speriamo!). Può sembrare strano, ma sono felice di avere vissuto questa esperienza, tanto che quasi mi è dispiaciuto essere stata dimessa (non so se si tratti di “sindrome di Pollyanna” o, secondo mio padre, di “sindrome di Stoccolma”, cioè l’affezionarsi ai propri carcerieri; o forse è masochismo puro) perché in questo periodo di sofferenza mi sono trovata ad affrontare sentimenti e situazioni che prima mi spaventavano tantissimo e sinceramente non credevo di avere in me tanta forza d’animo come quella che inspiegabilmente ho tirato fuori. Credevo di essere una “debole” e invece mi sono scoperta davvero forte, resistente, positiva. Prima del ricovero l’ospedale mi terrorizzava, e ancor più mi terrorizzava l’idea di avere una malattia seria; addirittura pensavo che se ciò fosse successo mi sarei completamente lasciata andare. Tutte queste paure si sono realizzate e però non è successo alcun dramma! Ho accettato la cosa, ho scoperto che rispetto alle mie visioni apocalittiche l’ospedale non era poi così tremendo e ho cominciato a provare dentro me una GIOIA profonda, autentica, dirompente. Non certo per l’essermi ammalata, ma… non lo so bene nemmeno io, forse ho scoperto che mi piace vivere. E’ triste pensare che sia stata necessaria la malattia per aiutarmi ad apprezzare cose semplici come riuscire a camminare senza dolore alle articolazioni o semplici cose del genere, però purtroppo è andata così. In ospedale ho spesso pensato a quante volte quando stavo bene mi capitava di lamentarmi, di disprezzare la mia vita… e mi sono ripromessa che non sarò mai più così superficiale, neppure in quelle giornate in cui tutto va storto! Ora sto di nuovo bene, devo solo fare una flebo ogni tanto, e mi godo la vita in un modo incredibile! E mi accorgo anche di avere una felicità contagiosa, riesco a trasmetterla agli altri! Insomma, è cambiato il mio modo di vedere le cose e questo mi fa sentire cresciuta, migliore. Proprio pochi giorni fa sono incappata in questa osservazione di Henry Miller. “La nostra destinazione non è mai un luogo, ma un modo nuovo di vedere le cose”. Be’, chissà, forse anche questo blog mi aiuterà nel mio nuovo cammino!