StacaNEVista

Ieri sera, dopo avere guardato l’ennesimo film, ho spento la tv e mi sono goduta quel silenzio particolare che solo la neve sa creare. Ho spento tutte le luci in casa per godere quel tipico rischiaramento provocato dal riflesso della neve. Mi ricorda un po’ la fosforescenza ottenuta da quegli adesivi a forma di luna e stellina o da quegli appositi pupazzetti che un po’ tutti quanti da bambini abbiamo avuto. Il papà o la mamma ci raccontavano la fiaba, ci davano la buonanotte, spegnevano la luce e noi restavamo nel buio, rischiarato appunto solo dal nostro oggettino fosforescente che ci rassicurava da un angolo della stanza o attaccato alla parete. Con la neve è un po’ così. Luce, silenzio, poesia. Ma nella moderna metropoli del terzo millennio queste parole hanno ancora un senso, si chiede il Saggio? La risposta sta nella pala che dall’una e mezzo di notte alle due e un quarto ha spezzato questo incanto e tormentato le mie orecchie. Sapete quel “delicato” sfregamento di una pala contro strati di ghiaccio e infine contro il cemento? Ecco, disturbata da questo simpatico suono, mi sono accostata alla finestra e da dietro il vetro ho potuto osservare un mio dirimpettaio che, tutto incappucciato e incurante della neve che continuava a scendere, con la pala cercava di liberare dalla neve il cortile del suo condominio, non perché avesse una qualche impellenza di uscire dal garage (collocato appunto dentro il cortile) in quel momento, ma sicuramente per “mettersi avanti” e avere campo libero per andare al lavoro in tempo l’indomani mattina. Ora. Bastava guardare il cielo e la neve che copiosa si ostinava a cadere per capire che era un’operazione del tutto inutile; e infatti stamattina, nonostante tutto quel lavoro, sul cemento del cortile ci sono di nuovo venti centimetri di neve.

Quindi, amico mio, potevi dormire. Potevi stare in casa a guardare la tv o a leggere, se avevi l’insonnia. O a scrivere una lettera d’amore alla tua bella. Ma passare un’ora al gelo impedendo alla sottoscritta – e immagino anche ad altri – di dormire, non è stata la migliore idea della tua vita. Ok, può capitare. Ma spero che la prossima notte resterai a letto. Perché sta ancora nevicando e nevicherà ancora. Tu e la tua pala dovete rassegnarvi. C’è un tempo per spalare (il giorno) e uno per dormire o fare altre cose silenziose (la notte).

Detto ciò… poi mi sono addormentata, e ho avuto un bellissimo sogno. Tornavo a casa ma improvvisamente la strada era cambiata e mi trovavo sul crinale di una montagna (tipo le Dolomiti, mica un semplice Appennino, eh?); a un tratto scivolavo e rotolavo verso lo strapiombo, lo spiaccicamento finale, il Nulla eterno. Ma – come da copione – proprio all’estremo riuscivo ad afferrare l’ultimo fragile spunzone di roccia prima dell’abisso e restavo un po’ lì appesa come un salame finché, con tutte le mie forze, sono riuscita a tirarmi su e mettermi in sicurezza. Solo che ero lì, sola, su un crinale altissimo, e inizialmente restavo paralizzata pensando che era troppo pericoloso muovermi; la sola idea di riscivolare e ritrovarmi a penzoloni sul vuoto – o, peggio, nel vuoto e infine spiaccicata al suolo o trafitta da una roccia – mi atterriva. D’altra parte, non potevo restare lì; e poi si sa: quando si cade da cavallo bisogna subito risalire (sì, la mia me nel sogno ha pensato un detto popolare). Mi sono rialzata e mi sono ritrovata ad arrampicarmi su sentieri scoscesi o direttamente su parete; a percorrere ponticelli pericolanti sospesi nel vuoto e formati da assi mezze marce e distanziate tra loro (e guardavo sotto!); a salire sempre più su vedendo solo il Cielo sopra, davanti e intorno a me. Delle sensazioni bellissime, adrenalina pura. E c’era sempre una figura – una mia amica ma non ricordo chi fosse – che non era proprio lì con me ma mi guardava da lontano. Vegliava su di me, mi accompagnava. Decisamente una notte movimentata, ma di quelle che – pala a parte – ti danno la carica. Buona giornata e buone spalate!


Giornalismo “scaramantico”

Ogni giorno ho sempre più motivi per disprezzare la maggior parte di quella che viene spacciata come “informazione giornalistica”; la giudico spesso inattendibile, sensazionalistica, ideologica e approssimativa, cioè ben poco affidabile. E poi arriva la goccia che fa esplodere (altro che traboccare) il vaso. E dato che possiedo un blog, la voglio proprio segnalare qui. Ieri sera, durante l’edizione del tg 2 delle 20,30, nel bel mezzo dell’inspiegabile tragedia che è accaduta nel nostro mare, è andato in onda questo schifo (se qualcuno ha una definizione migliore la proponga pure) che trovate a questo link (sì, mi sono pure presa la briga di cercarlo); quella che trovo peggiore è la conclusione:

servizio indecente Rai

Mi chiedo: che cos’è questo “servizio”? È un’informazione? È qualcosa di utile? Di sensato? Di logico? Di rispettoso della situazione?
Allora, in un paese del cavolo – quello in cui viviamo – in cui la gente si indebita e va in rovina perché crede nelle maghe (Wanna Marchi docet); in cui l’oroscopo campeggia ovunque; in cui se ti scappa un “Auguri” rivolto in perfetta buona fede a qualcuno che deve affrontare una prova rischi di venire sbranata perché devi pronunciare quella cosa assurda che è “In bocca al lupo”; in cui non puoi mai proferire qualcosa di ottimistico perché se no allo scaramantico di turno (cioè il 90% delle persone che ti circondano) viene una crisi isterica e quindi non puoi dire – per es. in previsione di un evento che stai organizzando – cose tipo: “Vedrai che ci sarà il sole!” o “Non vedo l’ora di festeggiare il nostro successo”, guai!, ma devi sempre intristirti e al massimo sospirare un “Mah… speriamo” andando contro la tua natura che ti porterebbe invece a urlare continuamente ai quattro venti che andrà tutto OK e che la vita è meravigliosa; insomma in un paese popolato da gente piena di fissazioni strane e antiscientifiche vai a proporre nel bel mezzo di una tragedia un servizio che vuole essere “curioso” (e allora è fuori luogo) e che molti invece scambiano per “informazione”, dato il contenitore nel quale viene proposto (è all’interno di un telegiornale, non di Voyager)? A questo punto voglio essere assunta al telegiornale, tanto peggio di questo Gabriele Lo Bello e Irene Greco (autori del “servizio”) non posso fare.
Andiamo pure avanti così, che è proprio un piacere pagare il canone.

P.S.: io torno al mio Gene… e a breve posterò le mie “recensioni ilariesche” sui vari film visti, alcuni veramente strepitosi!


Santa Cunegonda aiutami tu ;-)

E così per questo nuovo anno avrò una compagna di viaggio molto speciale, nientepopodimeno che una santa, dal nome originale e dalla storia che infonde speranza: mi riferisco a santa Cunegonda!

No, non sono completamente impazzita, è solo che sono un’affezionata lettrice del blog di Lucyette, che ha un modo così divertente e accattivante di raccontare – tra le tante cose di cui parla sul suo blog – le vite dei santi che perfino io, che non sono mai stata granché interessata alle biografie di costoro, ho cominciato ad appassionarmi. Perciò quando un paio di sere fa Lucyette ha parlato su facebook della singolare iniziativa di una chiesa di Pavia a proposito di santi estratti a sorte si è trovata praticamente costretta dai suoi cari amici di facebook (me compresa) a realizzare anche sul suo blog un’iniziativa analoga. Rimando al post di Lucyette per la ricostruzione della vicenda e per il senso di tale iniziativa. In quel post troverete il link per estrarre anche voi il santo o la santa che vi accompagnerà in quest’anno e che potrete prendere come modello e punto di riferimento…

A me, dicevo, è capitata santa Cunegonda. Che ha una storia bellissima (se siete curiosi la trovate qui), una storia d’amore come in fondo tutte noi (o, dati i tempi, la maggior parte di noi; o comunque: un buon numero di noi) sogniamo. E così, impegnandomi a essere dolce, simpatica e virtuosa come santa Cunegonda e a invocarla costantemente (Eh, cara Cunegonda, d’altra parte ascoltarci è il tuo mestiere, questo ti tocca!), prendo questo sorteggio come buon auspicio: magari quest’anno troverò finalmente marito! Eh eh… 😉

Se anche voi avete bisogno della compagnia di un santo (o una santa) che vi sopporti vi sostenga, cliccate dunque qui, seguite le istruzioni e… buona e santa fortuna! 🙂


Largo ai vecchi

Quando in autunno ho perso il lavoro, sono diventata un’affezionata lettrice di tutti quei giornaletti gratuiti di annunci di lavoro, nonché di siti internet con la stessa funzione. Tale lettura è servita solo a deprimermi e, ora che ho deciso di mettermi in proprio, una delle cose che mi dà più gioia è proprio non dover più sentire quel senso del dovere che mi imponeva di leggere annunci inutili e perlopiù umilianti. L’altro giorno però la forza dell’abitudine ha fatto sì che ne sfogliassi uno, di questi giornaletti, abbandonato sul bancone del bar. Su due pagine dedicate agli annunci di lavoro, entrambe erano dedicate alle domande di lavoro; c’era un solo annuncio di offerta di lavoro: rivolto a pensionati. Leggendolo, ho provato il consueto nodo alla gola provocatomi da questo specifico tipo di annunci che ultimamente va per la maggiore. L’attuale trend è proprio questo: cercare pensionati, da assumere in genere per lavori di segreteria/amministrazione ma, dato che evidentemente la cosa conviene ai datori di lavoro, ne ho visti per call center come addirittura per volantinaggio. Volantinaggio! Il tipico lavoretto del cavolo, solitamente appannaggio di studenti per raccattare qualche euro, un lavoro (che ho svolto, ai tempi del liceo), che richiede anche di stare in piedi a lungo, muoversi, camminare, insomma un lavoro per gente agile. Macché, ai pensionati pure quello! Non so voi, magari me la prendo troppo, ma davvero questa cosa mi sconvolge: con la crisi che c’è, pur di non dar lavoro ai giovani lo si dà ai pensionati, che una pensione – magari piccola, certo – ce l’hanno già!!! Non è giusto.


La trappola del polpettone romantico

32015È da una settimana che ho un rovello… Dovete sapere che domenica scorsa, mentre ero nel vortice del trasloco, con mezza stanza ancora da inscatolare, a metà mattina mi sono ricordata che dovevo fare colazione. Ho preso il mio yogurt e acceso la tv. Ho l’abitudine di fare colazione di fronte alla tv; di solito all’ora in cui la faccio abitualmente c’è “La storia siamo noi”, che due volte su tre parla di Hitler e dei lager nazisti o di Stalin e delle epurazioni sovietiche o del Vietnam. Non un bel modo di iniziare la giornata.

Quel giorno non c’era Hitler ma un film d’amore, da poco iniziato. Trattavasi de “I ponti di Madison County”, che io non avevo mai visto. Sapete com’è con i film, cominci a guardarne cinque minuti ed ecco che già vuoi sapere come andrà a finire, anche se il film in questione non è esattamente nelle tue corde o se prevedi lo svolgimento della storia già dal primo fotogramma. E così, finita la colazione, ho inserito una videocassetta e fatto partire la registrazione del film, dopodiché sono tornata nel delirio degli scatoloni. Ma mentre ero lì che inscatolavo, nel mio cuore avevo la certezza che di lì a sera, grazie al mio fedele videoregistratore, qualunque cosa stesse succedendo in quel momento tra Robert (alias Clint Eastwood) e Francesca (alias Meryl Streep), io l’avrei saputa.

Così la sera, pronta a immergermi in un’appassionata love story, mi sono piazzata davanti alla tv e ho fatto partire il film. Tutto bene, mi immergo con adeguata sospensione dell’incredulità e comincio ad accettare senza battere ciglio qualunque cosa: il marito della protagonista con i figli parte per la fiera dell’Illinois e due secondi dopo che il furgone ha svoltato l’angolo appare casualmente davanti a casa Robert, fotografo vagabondo, che ha perso la strada; accetto che Francesca, anziché limitarsi a indicargli la direzione da prendere, ritenga più efficace accompagnarlo direttamente sul posto salendo con lui sul furgone (certo, a tutte noi verrebbe spontaneo salire sul furgone di uno sconosciuto per andare con lui nel punto più isolato e meno frequentato di tutto lo Iowa, dovendo poi dipendere da lui per essere riportate a casa); sopporto la recitazione della Streep che interpreta Francesca in modo troppo sguaiato e gesticolante per i miei gusti (forse perché la protagonista ha origini italiane?), metto agevolmente tra parentesi il fatto che sto parteggiando caldamente per un adulterio, mi sorbisco un andamento tremendamente lento del tutto ma finalmente, e grazie a tutto ciò, arrivo con la giusta preparazione per godermi la scena clou: Francesca prepara una bella cenetta romantica e si veste con un vestitino nuovo comprato per l’occasione, Robert la guarda intensamente e le dice con voce suadente che è bellissima, glielo ripete tre volte avvicinandosi pericolosamente, quella a ogni volta è lì sul punto di stramazzare e tra un «Sei bellissima» di qua e un «Oh, Robert…» di là, i due capitombolano nella passione. Che cosa meravigliosa. Solo che dura poco, ed ecco che parte il dramma. Francesca non se la sente di buttare tutto all’aria per lui, lui insiste, tutti sappiamo che in fondo non potrebbe durare e che però è crudele che finisca così, nel frattempo la disperazione accresce la passione fra i due e quindi ecco che comincio a sentire cedimenti emotivi, il cuore si stringe, mi viene la lacrima, parlo a voce alta rivolta alla tv («E dai, deciditi!», o «No, pure la collanina con le iniziali gli regala, a imperitura memoria!» e giù fiumi di lacrime). E in tutto questo, mentre ormai senza ritegno mi scioglievo in pianto all’ultimo suono di clacson del furgone di Robert che disperato abbandonava la scena, la videocassetta si è fermata e ha cominciato a riavviarsi.


Sì.

Avete capito bene.

Proprio al culmine del pathos, mi sono persa il finale.

Avevo inserito una videocassetta da due ore senza sapere che quel dannato melodramma ne durava tre.
Un «NOOOOO!!!» lancinante è risuonato in tutto il palazzo, turbando le digestioni postnatalizie dei vicini. Scavalcando scatoloni e pile di vestiti mi sono fiondata al pc precipitandomi su You Tube. Di solito You tube è la salvezza, in questi casi. Ma non stavolta; quella che su You tube viene spacciata come scena finale del film non è affatto il finale ma solo la scena della separazione tra i due. Dopo, a concludere il film e a dargli un senso, c’è un altro pezzo. Che io non conosco. Sono arrivata al punto in cui Francesca, dopo tipo ventanni e dopo che il marito è morto, riceve da Robert un pacco pieno di oggetti che ricordano il loro amore. Cosa significherà mai? Si riuniscono, ormai vecchi e incanutiti ma liberi di vivere in pace la loro antica passione (questo è il finale che vorrei)? Oppure lui è morto (questo è il finale che purtroppo temo)?

Ora, nell’attesa che riaprano le biblioteche (in cui potrò recuperare il dvd del film e vedere ‘sto agognato finale), la mia mente, involandosi da sé, ha potuto nel frattempo elaborare qualsiasi tipo di finale, dal più lieto al più straziante, dal più semplice al più arzigogolato. Se qualcuno sa qualcosa, me la anticipi pure, che non resisto più. E comunque ricordate di controllare sempre la durata dei film, anziché buttare dentro una videocassetta a caso: potreste pentirvene amaramente. 😉


Amica neve

Sono felice perché è arrivata, puntuale, la prima neve di stagione: è da ieri sera che nevica ininterrottamente ed è stato bellissimo al risveglio vedere attraverso la finestra il mondo di sempre tutto bianco. Poi, col proseguire della stagione, al vedere la neve di solito non si sarà molto contenti, perché in città rallenta il traffico, è difficile spostarsi e, dopo le nevicate, ti ritrovi per giorni e giorni cumuli di ghiaccio sporco ai bordi delle strade. Ma non puoi essere seccato il giorno della prima neve di stagione, quella che cominci ad attendere tra fine novembre e inizio dicembre, e che ti dà l’idea che il signor Inverno sta arrivando e con lui il Natale e le giornate sempre più corte, le dolci serate passate nel calduccio di casa. Evviva! Benvenuta, amica Neve!

Ragazzi/e, non c’entra niente con la poesia della neve, però sapete, sono rimasta turbata dal fatto che in Italia (e sicuramente nel mondo, perché queste cose non succederanno solo da noi) esistano queste migliaia di frustrati, questo esercito di sfigati – diciamolo pure – che, non appena succede un fatto, magari esecrabile tipo quello di ieri contro Berlu, cosa fa? Crea un gruppo su Facebook! Migliaia di persone (che vorrei definire imbecilli, ma non vorrei sembrare troppo violenta), non dieci o dodici, che inneggiano pro o contro questo o quello. È la cifra, che mi manda in tilt. E non è con facebook che me la prendo; è che magari prima questi cretinetti non avevano visibilità, ora ce l’hanno, lì chiusi nelle loro stanzette a pigiare vaneggiamenti sulle loro inutili tastiere.


Brontolo un po’ ma alla fine son contenta…

E così mi sono fatta una lunga fila di un’ora e un quarto per votare, tempo impiegato utilmente a decidere quale candidato scegliere e a orecchiare poi i discorsi dei miei compagni di fila. Inutile dire che trattavasi di anziani, alcuni di un’anzianità sconcertante, come un paio di signore arrivate in carrozzina e parecchi altri che si reggevano a bastoni o stampelle. Il che da un lato ha suscitato sì in me la consueta ammirazione (Che bravi i nostri vecchi, sempre presenti, che senso civico, che esempio!), ma dall’altro anche un’insofferenza. Sono i vecchi che mandano avanti tutto, qui. Anche la politica; guardiamo alle elezioni, alle assemblee politiche e a occasioni come le primarie: vecchi a perdita d’occhio. Chi mette su ogni anno il baraccone delle Feste dell’Unità, chi cucina a tutto spiano negli stand, chi monta tutto? Loro. Non ce l’ho con gli anziani; tra l’altro, se loro spadroneggiano è perché noi giovani dormiamo, o ci disinteressiamo, o stiamo davanti a un computer. Però mi è salita una tristezza. Sarà anche che per mezzora ho ascoltato un gruppetto di vecchi dietro me parlare di pressione, di punture, di malanni vari e stilare un elenco dei compagni morti di recente. E sarà che questi vecchi provengono perlopiù dalle fila dell’ex pci e sono abituati a votare tutti diligentemente come gli è stato detto. Quindi se in sezione si dice che bisogna votare Pinco Pallino, tutti votano Pinco Pallino (in questo caso Bersani) perché è da una vita che sono abituati a seguire le direttive di partito e non riescono ad abituarsi molto bene al fatto che i tempi sono cambiati e non ci sono più direttive (se no a cosa servono le primarie?).

Però come non sorridere di fronte a una coppia di anziani, ognuno arrancante sulla sua stampella, con lei che tutta orgogliosa e con un sorriso dolcissimo, esclamava a ogni piè sospinto, rivolta a noi ancora in fila:

– Siamo stati proprio bravi, proprio bravi, nè? Pur con tre gambe, siam venuti a votare! –.

Un’altra cosa che mi ha colpito è che il tenore dei commenti, in fila, era il seguente:

– Eeh, stavolta proprio non volevo venire, ma poi, insomma, mi sarebbe venuto il rimorso–

– Eh già, se non voti, ti senti in colpa, son qui per questo, se no restavo a casa –

– Almeno così noi abbiamo fatto il nostro dovere, adesso tocca a lorsignori fare il loro, io ho la coscienza a posto! –.

Ecco, siccome anch’io ero lì con le stesse motivazioni, ho avuto come l’impressione di un popolo di votanti spinti dal timore del senso di colpa più che dall’entusiasmo (com’era invece agli inizi). Speriamo che ai vertici capiscano tutto ciò.

E infine, come non ridere di fronte al gadget lasciato ai votanti? Una molletta da bucato verde-Lega con su scritto: “Ci tengo”. Ma non sarebbe stata meglio una spillina, così te la attacchi alla borsa e ci vai in giro, per esempio? Che andare con una molletta per i panni, io l’ho fatto, ma perché ho poco senso del pudore…
Vi prego, voglio conoscere l’autore di tale genialata! Cosa mi significa un ciappino per stendere i panni? A me ha solo fatto venire in mente la fatica di stendere un bucato (odio i lavori di casa). E poi, quel colore… se non vuoi metterci un po’ di rosso, almeno scegli un’altra tonalità di verde. Quasi quasi mi propongo come curatrice della comunicazione del PD, perché come comunicazione non ci siamo mica tanto. Ciò non toglie che mi sono attaccata quel ciappo alla tracolla della borsa e ci sono andata in giro, sperando di non essere scambiata per una fan di Calderoli & C.

E anche questa è andata. Il candidato l’ho scelto; domani vado a scegliere la cucina.