Il punto della situazione
Pubblicato: 14 giugno 2008 Archiviato in: fumetti, musica 14 commentiChe giorni intensi sono stati questi ultimi per me!
Tralasciando le cose più tragiche e realmente serie, ecco un piccolo resoconto.
- per cercare di placare lo stress che mi stava letteralmente torcendo le budella (scusate la raffinatezza), ci sono ricascata: mi sono recata in erboristeria e ne sono uscita con un boccettino di “erbe della notte”, un mix di sette erbe calmanti (biancospino, valeriana, escolzia – questa mai sentita – e altre). Aggiunte alla camomilla serale e all’ascolto compulsivo di Mozart (che sembra avere poteri rilassanti, calmanti e nel contempo stimolanti l’intelligenza), il risultato è stato che alla fine ero così rilassata da sfiorare l’intontimento spinto. Non riuscivo più a studiare e rischiavo di addormentarmi sul testo che dovevo adattare…
- Un altro efficace metodo anti-stress (e senza effetti collaterali) è la lettura dei Peanuts. Sto acquistando, man mano che escono, i volumi della raccolta definitiva delle storie dei Peanuts (contengono tutte le strisce dalla prima uscita – nel 1950 – all’ultima). Ve la consiglio, è un’edizione un po’ costosa ma curatissima – sia a livello grafico che di contenuti (c’è un apparato redazionale molto ricco) – curata da Seth (un fumettista americano che amo molto e la cui poetica è in piena linea con Charlie Brown & C., pur proponendo storie diverse). L’edizione italiana è la riproposizione fedele in tutto e per tutto (anche nel formato) dell’edizione americana. È davvero bello leggerli in ordine cronologico perché permette di seguire i personaggi dalla loro nascita, a volte restandone stupiti: Lucy, per esempio, da piccola mi è simpaticissima mentre “da grande” è effettivamente un po’ troppo autoritaria, scorbutica e pignola… Tutti i personaggi hanno subìto delle evoluzioni nel corso dei 50 anni ed è proprio coinvolgente poterli seguire passo passo!
- Alle ore 4,30 del mattino, nella notte tra mercoledì e giovedì, ho capito Il disagio della civiltà di Freud (che fino a poche ore prima mi risultava incomprensibile in tutta la seconda parte). Ciò mi è servito per l’esame del giorno dopo ma forse era meglio se continuavo a non capirlo.
- Ieri, mentre cercavo di passeggiare assieme a un amico sotto la pioggia in stile autunnale che ci allieta nelle ultime settimane, ho capito che io, le cose che mi succedono, ho proprio tanto bisogno di raccontarle, ma non è sempre facile trovare qualcuno che sia interessato ad ascoltarle (ecco perché ho un blog, ha detto lui)
- Nei giorni scorsi ho anche conosciuto due persone molto simpatiche e ho avuto un brutto litigio con l’amico di cui sopra. Litigare è una cosa che mi capita molto raramente, ma sapete una cosa? Fare la pace, dopo, è stupendo! Ogni tanto un litigio ci vuole proprio!
- E infine, gli Europei. Non per fare la disfattista, ma vi confesso che, da anni, ho un debole per l’Olanda (intesa come squadra di calcio), mi piace come gioca. I goal di ieri contro la Francia sono stati bellissimi! Che partita (soprattutto dopo quella “palla” di Italia-Romania)! Ho un unico appunto da fare a quella squadra: ma come si fa a mettere quei calzettoni azzurrini con una maglia arancione?! È un accostamento inguardabile!! Chi è il sarto che li manda in campo conciati in quel modo?? A parte questo, martedì ci sarà da divertirsi (speriamo) e invidio un po’ mia sorella che sarà a Napoli, dove sanno come festeggiare (o disperarsi) per queste cose (era lì anche durante i mondiali di due anni fa…).
Se proprio devi uccidere, almeno non parlare
Pubblicato: 2 giugno 2008 Archiviato in: cinema, fumetti, uomini al lavoro 11 commentiNon ho mai sopportato quelle scene cinematografiche in cui, dopo che per tutto il film un certo tipo ne ha inseguito un altro per ucciderlo, quando finalmente i due si trovano uno di fronte all’altro e il nostro uomo potrebbe finalmente fare secco in due secondi il suo nemico (di solito ha già la pistola sfoderata mentre l’altro è disarmato, o l’ha già incastrato e deve solo affondare un maledetto colpo), invece di mandarlo per l’appunto dritto al Creatore si lancia in un monologo minaccioso e interminabile, alla fine del quale – inevitabilmente – non riuscirà a fare ciò che sarebbe riuscito a fare se solo avesse tenuto la bocca chiusa.
Mentre questo tontolone si abbandona alla sua fastidiosa logorrea, infatti, noi spettatori sappiamo che, prima che lui finisca di parlare, arriveranno i soccorsi/la polizia/i complici del suo nemico e lo salveranno (nei casi più spudorati può anche darsi che ciò porti a un ribaltamento totale della situazione e che a lasciarci le penne sia alla fine proprio il chiacchierone stesso) o il suo bersaglio, approfittando del tempo che il monologo gli concede, riuscirà a coglierlo di sorpresa e a disarmarlo. Eccetera.
Potete dunque immaginare il mio stato nervoso dopo che ho trascorso due giorni ad adattare un fumett(accio) nel quale questa fastidiosa situazione si protrae per più di una cinquantina di pagine. 50 pagine in cui due esseri (di cui uno è una specie di zombie intelligente che si è ulteriormente trasformato in mostro, tipo un Golia postmoderno e mooolto più brutto e potente) si fronteggiano e il più forte, invece di ammazzare subito l’altro (cosa che potrebbe fare facilmente), comincia a tirarla per le lunghe con frasi di questo tipo (più qualunque loro variante):
Finalmente ti ho sotto tiro, adesso ti uccido!
La vedi questa pistola ultrapotente? È puntata contro di te! [specifico che il tipo contro cui la pistola è puntata non è cieco]
Adesso ti sparo un colpo che ti spappola il cervello!
Sei pronto a morire? Come ci si sente, eh?, grand’uomo dei miei stivali!
Credevi di scapparmi e invece guarda qui: sto per ucciderti!
Lo vedi questo cannone? Dentro c’è una pallottola che aspetta solo di fracassare quel tuo cervellino (sempre che tu ne abbia uno) e ora lo farà.
Cos’è? Non fai più il gradasso? Hai fifa, eh? Fai bene perché stai per crepare.
Sai che sto per ucciderti?
Be’, dopo oltre cinquanta pagine così (con io che, ormai con la bava alla bocca e in preda a istinti omicidi, invoco e urlo – tra una pagina e l’altra – amenità come: Ma uccidilo, su! E falla finita! Sparaaa! Spiaccicalo! Distruggilo! Chiudi la bocca, idiota! eccetera, bramando di entrare nella pagina, massacrare entrambi e riuscirne purificata) come credete che finisca?
Una provocazione postuma
Pubblicato: 20 marzo 2007 Archiviato in: curiosità, fumetti, persone 13 commentiAdesso vi riferisco questa cosa che a me è molto piaciuta e che è stata raccontata da Vittorio Giardino al convegno su Magnus.
Ha detto, Giardino, che lui e Magnus una volta stavano scherzando sul fatto (che penso avremo tutti ben presente) che finché un artista è vivo e vegeto in molti lo snobbano, ma appena muore o poco dopo, ecco che chi in vita non lo considerava proprio o, peggio, lo ha anche ostacolato, si slancia in generose commemorazioni: pubblica un languido coccodrillo, rilascia commossi ricordi a solleciti intervistatori, partecipa a convegni vantando antiche amicizie e così via.
E Magnus, scherzando, propose la tal cosa: nel caso uno tema queste sgradite appropriazioni postume della sua persona, potrebbe stilare una bella lista di nomi, metterla in una busta assieme a una certa sommetta di denaro e consegnarla a un notaio dandogli le dovute istruzioni.
A tempo debito, deceduto l’artista, il notaio aguzzerà la vista: ogni qual volta leggerà su un giornale, per esempio, un commosso necrologio o una nostalgica commemorazione del defunto, controllerà la lista: se il nome dell’autore del necrologio vi appare, il notaio provvederà, tramite la sommetta di cui dispone, a far pubblicare su quello stesso giornale un paginone in cui l’artista, dal sepolcro, smentisce la sua presunta amicizia col profittatore Coccodrillone di turno, svergognandolo per bene. E vendetta sia fatta (chi l’ha detto che i morti son tutti buoni?)!
Ovviamente era uno scherzo, una piccola provocazione. Ma devo dire che, dato che anche a me questi fenomeni di sciacallaggio fanno davvero un po’ ribrezzo, mi è rimasta impressa, e non mi dispiacerebbe vederla realizzata, una volta tanto…
L’autore, l’opera, il lettore [Manteniamo le distanze, please…]
Pubblicato: 18 marzo 2007 Archiviato in: fumetti, libri, persone 27 commentiIn questi giorni si è rafforzata in me un’opinione che mi accompagna già da tempo. Vorrei sapere cosa ne pensate voi.
Secondo me gli incontri con gli autori non servono a niente e non arricchiscono in nulla il lettore. Per me, una volta che un libro è in circolazione, ha una vita propria e separata da chi lo ha scritto. Nell’annosa disputa, sono di quelli che separano la vita dell’autore dall’opera. Non m’interessa il gossip sull’autore di un romanzo che amo. E neppure m’interessa incontrarlo in un’occasione pubblica in cui lui dovrà parlare del suo libro. Infatti a questo tipo di incontri, che trovo inutili e noiosi, non vado mai. L’autore arriva, viene presentato, gli vengono poste alcune domande, legge qualche pagina della sua opera; stringe qualche mano, firma qualche autografo e se ne va.
Ieri per esempio ho dovuto presenziare (per lavoro) a un incontro con Frederik Peeters, un autore svizzero di graphic novel. Mi piacciono molto i suoi lavori, li conosco bene; anche la mostra a lui dedicata è molto bella, con tavole originali e poco conosciute. Ma l’incontro di ieri non mi ha dato niente in più: lui è stato simpaticissimo, molto disponibile e generoso: ha parlato tanto, risposto a ogni domanda, svelato retroscena, curiosità e piccoli trucchi del mestiere. Ma io ne sono uscita uguale a prima; quello che penso delle sue opere e l‘interpretazione che ne do non ha subito alcuna modificazione.
A volte incontrare l’autore può essere una grande delusione, come mi è accaduto anni fa con Bianca Pitzorno, la più affermata scrittrice per ragazzi del nostro Paese (ma molti dei suoi romanzi possono essere tranquillamente apprezzati dal pubblico adulto; La bambinaia francese, per esempio, è una riscrittura di Jane Eyre dalla prospettiva della piccola Adèle, e oltre a essere un romanzo in sé avvincente, è poi molto intrigante divertirsi a scoprire tutti i riferimenti e le citazioni presenti nel testo – da Dickens a Sue all’onnipresente Balzac e così via -). Mentre il suo modo di scrivere è vivace, scintillante, coraggioso, dal vivo mi è parsa spenta, impacciata e molto scontrosa (impressione ripetutasi in più occasioni).
Io amo a dismisura Ugo Cornia. Nonostante le occasioni di ascoltarlo leggere brani dai suoi romanzi siano state tante, non ne ho mai approfittato. Preferisco leggermeli tra me e me, o leggerli agli amici, parlarne con loro.
Per me il senso del romanzo sta nelle interpretazioni che ne danno i lettori, nel dialogo silenzioso e intenso che avviene tra il lettore e l’autore implicito (cioè quello che parla nel romanzo); non (paradossalmente) nelle spiegazioni di chi il libro lo ha scritto.
Preferisco insomma il lector in fabula all’auctor ex cathedra.
Conosco invece persone che non si perderebbero mai un incontro con un autore, perfino quando non hanno letto i suoi libri… E voi che ne pensate? Ci andate? Non ci andate? Ne uscite arricchiti? Indifferenti? Disgustati?
P.S. doveroso: per “incontri” intendo occasioni ufficiali come presentazioni di libri e simili. Sono ben felice di conoscere gli scrittori che ho conosciuto tramite blog – Paolo, Laura e Lory, Davide – e di leggere i loro romanzi. 😉
Aggiornamento: MariaStrofa aveva trattato lo stesso argomento nel suo modo colto e surreale in questo suo post di qualche tempo fa. Vi consiglio di leggerlo perché è spassosissimo!
Viaggio su un altro pianeta e ritorno
Pubblicato: 15 marzo 2007 Archiviato in: felicità, fumetti 11 commentiStamattina ho provato una grande emozione, una mezza sindrome di Stendhal.
Un’onda emotiva dritta dritta dal Seicento mi ha colpito in pieno nel cuore e nella mente, disorientandomi per un attimo.
E uno dei miei piccoli sogni si è realizzato.
E tutto ciò perché finalmente al lavoro si sono accorti che non ho il physique du rôle dell’uomo di fatica. Non ci si improvvisa Hulk in pochi giorni e io poi non riesco a portare grossi pesi a meno di non coinvolgere mezza cittadinanza. Vi dico solo che ieri perfino un punk-a-bestia dall’aspetto poco rassicurante ma dal cuore compassionevole, vedendomi in difficoltà col malefico carrello, si è offerto spontaneamente di aiutarmi a portarlo. E non è che la punta di diamante di una sfilza di volonterosi di cui ho abusato in questi giorni. Non si poteva mica continuare così, no? Perciò stamattina mi è stato affidato un compito più consono alla mia incapacità muscolare: occuparmi degli ospiti del convegno, che si apriva appunto oggi: salutarli con un bel sorriso al loro apparire, invitarli a firmare, dare loro la cartellina col programma, fornire indicazioni e informazioni e servire caffè e pasticcini durante il coffee-break (trasformandomi anche in Spot promozionale dal vivo: ebbene sì, ho mangiato e gustato anch’io i dolcetti intanto che servivo, sempre sorridendo però).
Per fare questo, sono andata in pinacoteca, ancora una volta col famigerato carrello, alle otto del mattino (il convegno iniziava alle 9,30). Io e il carrello siamo saliti su un ascensore meraviglioso, esterno, con le pareti tutte di vetro. Mi sono poi diretta verso l’aula del convegno seguendo le indicazioni e qui… la sorpresa. Ero così concentrata sui disegni di Magnus (argomento del convegno) che avevo dimenticato di essere in una pinacoteca. Svoltato l’angolo mi sono ritrovata in una grande sala; un enorme quadro di Guido Reni alla parete mi ha dato il benvenuto. Ovunque mi girassi, opere meravigliose si offrivano al mio sguardo. Facevano quasi a gara, perché ero sola.
Ma avevo ancora molte cose da fare. Ho sistemato tutto. Poi sono andata a controllare dove fossero i bagni, perché ho notato che un sacco di persone quando arrivano nei vari posti, devono andare in bagno anche se si presume che ci siano già stati a casa loro, e spesso gli addetti alle informazioni non sanno dove sia questo agognato bagno (se non l’hanno già dovuto cercare per esigenze loro) e così si crea sempre un certo imbarazzo. Perciò è bene premunirsi. E infatti anche oggi una delle prime domande che mi è stata rivolta, ancor prima che il convegno iniziasse, è stata questa:
«Ehm… scusi, signorina, sa dove sono i servizi igienici?»
«Ma certo, signore! Il bagno è laggiù, superati i Carracci e prima del Domenichino!».
(Non vi pare un modo elegante per indicare dov’è un bagno?).
Quando poi tutti gli ospiti si sono sistemati sulle loro poltroncine e il convegno è iniziato, ho potuto accoccolarmi su un gradino dell’aula, vicino alla porta in modo da non perdere di vista la mia postazione, e da lì mi sono goduta buona parte delle relazioni, tra cui quella del professor Faeti.
Ma poi quella scintilla che mi si era accesa in cuore poco prima, all’ingresso, mi pizzicava dentro. Ho pensato che tutte le persone presenti in pinacoteca erano sedute in quella sala. Tutto il resto era deserto. Niente custodi né visitatori. Ho sempre sognato di trovarmi completamente sola in un museo. Quale occasione migliore? Sono sgattaiolata fuori dalla sala, ho fatto qualche passo; un labirinto di sale piene di quadri occhieggianti o al contrario placidamente addormentati in se stessi mi tentavano. E così finalmente, dopo giorni di fatica, mi sono trovata immersa nel Bello, in un Bello così lontano, rispetto a quello di cui ci siamo alacremente occupati nell’allestire le nostre mostre in questi giorni, e così seducente. Ero nel reparto del Seicento e del Settecento, il più ricco; toni morbidi ma colori vivaci, forme tonde e dolci anche quando è rappresentato un martirio; una luce che vive solo nel quadro eppure sembra così intensa. Sarà stato il silenzio, il fatto che ero sola; mi è sembrato che si instaurasse una comunicazione tra me e quegli artisti di un pianeta distante, che avessero ancora da dirmi qualcosa. Mi sono seduta su una poltroncina al centro della sala e chissà quanto ci sarò rimasta. Dopo son tornata in aula che mi sentivo come se arrivassi da un’altra galassia. Ma una galassia strepitosamente beata, a giudicare dal sorriso estatico che per ore ha galleggiato sulla mia faccia.
Madama Ironia
Pubblicato: 14 marzo 2007 Archiviato in: fumetti, la mia città 6 commentiSono stanchissima, ma oggi la signora Ironia mi si è manifestata in tutto il suo splendore e non posso non parlarvene.
Come ormai saprete, oggi è iniziato questo benedetto Festival internazionale del fumetto, organizzato dall’associazione presso cui sto facendo uno stage. Il festival comprende un convegno e una mostra su Magnus più mostre, incontri ed eventi vari dedicati a svariati autori italiani e stranieri (con la presenza degli stessi).
Ora, penso che tutti noi ogni tanto visitiamo mostre, partecipiamo a convegni, assistiamo a incontri con autori amati. Ma quanti di noi pensano a quello che c’è dietro? Cioè a tutto il faticoso lavoro di organizzazione di tali eventi? Io confesso di avere sempre sottovalutato questi aspetti. Li ho rivalutati però negli ultimi tempi, dato che da almeno due settimane pedalo per tutto il centro di Bologna, da un ente all’altro, da un museo a una libreria per consegnare manifesti, locandine, inviti eccetera. E quando non pedalo, piego manifesti, svuoto o riempio scatoloni, prendo misure e così via.
Oggi poi, dalle nove del mattino fino a sera abbiamo dovuto allestire le mostre, che saranno inaugurate venerdì mattina. L’emozione di trovarmi tra le mani i disegni originali di un autore amato o di vedere in anteprima le tavole inedite di un altro è stata messa a dura prova dalla fatica fisica dovuta al posizionamento dei quadri (con tutte le complicazioni e i piccoli imprevisti del caso) ma non è stata certo sconfitta: sono felice della fatica che abbiamo fatto e dei risultati ottenuti. È bello vedere come dal niente (o quasi) si riesca a creare qualcosa di bello e finora soltanto sognato. Anche le mani sanguinanti ti sembrano belle, dopo tutto.
Un’altra cosa che ho notato è come certe occasioni siano particolarmente propizie alla materializzazione del Qualunquista spocchioso (e un po’ reazionario) che c’è in noi. Non so se vi capita a volte, quando siete parecchio indaffarati, di guardarvi intorno con l’impressione che gli altri non abbiano niente da fare dalla mattina alla sera. Questo pensiero mi ha colto mentre, con un carrello a due ruote di quelli da facchino, portavo dei pesanti scatoloni alla libreria Feltrinelli (e io non sono propriamente un tipo muscoloso) e intanto incrociavo lungo il percorso, venendone ostacolata: una manifestazione di studenti fuori sede (a Bologna c’è quasi una manifestazione al giorno, dei più disparati soggetti sociali); un corteo di gente in festa che attorniava un tipo chiaramente ubriaco con una corona d’alloro in testa (un novello laureato) cantando una nota canzone molto volgare; varie persone sedute ai tavolini dei bar o a passeggiare per strada. E borbottavo dentro me che mi sembrava di essere l’unica o quasi a lavorare. Dopo mi sono accorta della grettezza di tale pensiero e mi è tornato il sorriso nonostante il peso degli scatoloni.
Però questo pensiero che a Bologna viviamo in modo molto rilassato rispetto ad altre città non ce l’ho mica solo quando sono alterata; un po’ lo penso davvero…
E infine, l’ultima ironia della giornata: è da giorni che aspettavo le 18 di oggi per assistere all’incontro con Antonio Faeti.
Antonio Faeti è il mio idolo. Il mio teen-idol e anche adult-idol. È da quando andavo alle medie che amo e venero quell’uomo, professore per tanti anni di Letteratura per l’infanzia all’università e ora di Grammatiche della Fantasia all’Accademia di Belle Arti. Ho divorato e divoro tutti i suoi saggi, i suoi articoli, i suoi romanzi (be’, i romanzi solo per amore perché sono obiettivamente orrendi). C’è tanto di lui nel mio modo di pensare e anche di scrivere.
Insomma, all’epoca in cui le mie amiche si appendevano in camera il poster dei Take That, io mi appendevo nella testa e nelle pareti collose del cuore l’immagine del mio grande Ispiratore.
Ogni occasione che ho per ascoltarlo parlare (e comunque ne ho molte, ma mai abbastanza) mi dà vita.
E oggi invece mi ha dato sonno.
Dopo aver passato otto ore a lavorare sono arrivata all’incontro con forte ritardo (disperavo ormai di riuscirci). Mi sono finalmente trovata in posizione seduta e praticamente mi sono addormentata.
Domani poi non potremo ascoltare il convegno perché dobbiamo finire di allestire le mostre.
Morale ironica della storia: gli organizzatori di un Festival sono gli unici che non avranno il bene di assistere a quel meraviglioso evento che hanno creato con tanta fatica.
Io però Venerdì, crolli il mondo, all’incontro con Toffolo ci vado.
[Amici, se fossi in condizione di intendere e volere questo post sarebbe stato più sintetico e scritto meglio. Ma da qui fino a domenica credo che la qualità della scrittura sarà l’ultima cosa esistente su questo blog. Spero almeno ci sarà qualche pensiero decente]
Noi Ilarie [Pirandellianamente parlando]
Pubblicato: 12 marzo 2007 Archiviato in: fumetti 16 commentiCon tutte le cose che devo fare di questi tempi, dovrei/vorrei sdoppiarmi, triplicarmi, moltiplicarmi insomma.
A ogni Ilaria un ruolo, un compito da svolgere. Poi la sera ci ritroveremmo tutte insieme, noi Ilarie, otto nove dieci, quante siamo, e ci aggiorneremmo sulle varie novità raccontandoci le rispettive giornate.
Esempio:
Io ho letto il tal libro ed è così e così.
Io ho partecipato all’incontro con le classi del liceo da cui è emerso questo e quest’altro.
Io ho corretto le tali bozze.
Io ho scritto la poesia quotidiana per la zia Nena.
Io ho spedito gli inviti per il Festival.
Io ho dormito, poi mi son fatta un tè e sono andata al cinema.
Io ho scritto un post.
Io ho scritto un capitolo della tesi.
Cose così, insomma.
Dite che sarebbe troppo caotico? Ma lo è certamente di più adesso, con tutte le Ilarie che mi litigano nella testa reclamando ognuna maggiore attenzione, e io che nel frastuono divento così piccola fino a non trovarmi più.
Comunque, da domani, noi, tutte quante, saremo qui, al Festival internazionale del fumetto, a cui ho dato (e darò) anch’io il mio piccolo contributo organizzativo!
Marty
Pubblicato: 4 gennaio 2007 Archiviato in: fumetti 2 commenti
Eh, no, non si può fare una cosa così, non si può fare star male la gente a questo modo!
Insomma, forse perché dopo tanti anni non c’ero più abituata, forse perché invecchiando divento più vulnerabile, ma una storia come Marty Tiziano Sclavi poteva anche evitarmela! Potevano almeno mettere sulla copertina un bollino tipo il famigerato “parental advisory”, che mettesse però in guardia gli emotivi o i tendenzialmente malinconici dal leggere questa storia (“Contenuti emotivamente espliciti. Astenersi depressi, da somministrare con cautela ai Sensibili”). Qualcosa del genere insomma.
E invece no. Oddio, effettivamente la copertina lasciava presagire che questo albo fosse particolarmente sclaviano nel senso più malinconico del termine… e in fondo, nonostante le lamentele di cui sopra, è proprio per questo che dopo anni che non lo compravo più ho ricominciato ad acquistare Dylan Dog, ma solo ed esclusivamente gli albi sceneggiati da Sclavi (la Barbato non riesco proprio a farmela piacere. In realtà l’unico altro autore che mi piacesse leggere su Dylan Dog era Chiaverotti, che invece su Brendon purtroppo non mi dice niente). Ma tornando a Marty, io lo consiglio a tutti quelli che storcono il naso di fronte ai fumetti (Non ho visto però il film cui è ispirato, spero che Sclavi non si sia troppo ispirato, come a volte in Bonelli accade, perché in tal caso non dico che apprezzerei meno l’albo, però tanta emozione sarebbe forse meno giustificata) .
In ogni caso Sclavi tocca il classico nervo scoperto, e dato che questo gli accade (è accaduto) così spesso, forse il merito è proprio della sua malinconia, del suo sguardo sconsolato ma non disincantato sul mondo. Non disincantato perché lui, attraverso le sue storie e i suoi personaggi sofferti, non dà risposte, evoca solo domande, dubbi, insinua inquietudini anche lì dove non le vediamo, ci mette in crisi, insomma.
Le domande in questo caso sono quelle che si pone Dylan e che probabilmente capita spesso di porsi a molti di noi…
Questa folla, fatta di tante singole persone, ognuna diversa e unica, anche se sembrano così anonime… e io lì in mezzo. Tante storie che mi sfiorano.
“Cosa fa tutta questa gente? Si muove, lavora… ma vive?”
Perché spesso sono i prepotenti e gli arroganti ad avere successo?
Come possiamo affrontare la brutalità, o semplicemente, la frustrazione che può riservarci la vita?
Perché vivere aspettando di morire, aspettando l’angelo che spezzerà le nostre catene? (E intanto i nostri desideri repressi si sfogano nelle fantasie sadiche in cui a rappresentarci non è comunque neanche lì il nostro vero Io, neanche lì possiamo essere noi stessi, al nostro posto un simulacro –in quel caso un Io con l’aspetto di Jude Law-. Vivere perennemente espropriati di noi stessi, eterni perdenti succubi di desideri preconfezionati).
Queste fantasie-avvoltoi, che costituiscono una vita parallela in sostituzione di quella reale. Queste consolazioni inutili.
E la malattia, il corpo che ti tradisce, il gergo efficientista del medico che ti annuncia la morte, una formalità come tante nella sua vita così lontana dalla tua.
E però anche lo spiraglio: un’amicizia, di un cagnolino, di un essere umano che si accorge di noi, ci guarda, squarcia anche se per poco l’abituale indifferenza da cui siamo circondati.
Mi son venuti gli occhi lucidi verso la fine, ho pianto (forse anche a causa della situazione che sto vivendo con mia nonna e mia zia –stessa malattia), ecco perché ho iniziato questo post con quelle frasi agguerrite.
Ma in realtà spero semplicemente di continuare ancora a lungo a emozionarmi così, lettura dopo lettura.
Anche se c’è qualcosa di ingiusto nel fatto che spesso sia la sofferenza a donarci quello sguardo speciale grazie al quale possono esistere storie così profonde.
Fumetti e fiori
Pubblicato: 9 dicembre 2004 Archiviato in: fumetti Lascia un commentoCorre voce che in fumetteria si facciano incontri interessanti ma a me non risulta, benché frequenti regolarmente le due fumetterie famose della mia città. Forse perché sono vecchia. Gli unici che socializzano mi sembra siano i ragazzini delle medie che ci passano i pomeriggi a giocare a carte e a leggere a scrocco. Gli altri frequentatori sono più vicini ai 30 che ai 20, come me, e hanno il muso lungo e l’atteggiamento concentrato e scontroso, come me. E spesso anche con un sottofondo di perplessità, come me. Sì perché ormai ogni volta che esco da quel luogo di perdizione, col portafoglio incredibilmente alleggerito, mi chiedo se davvero ne valga la pena e mi rispondo che sì, i fumetti sono una mia passione (sono anche un lavoro, ma spendo più di quanto guadagno), e che i libri ormai li prendo quasi solo in biblioteca, quindi non spendo più cifre astronomiche in quel settore, e che per il resto non vado in discoteca, non prendo aperitivi, non frequento locali-in, esco poco la sera, non compro vestiti, le scarpe finché non mi si crepa la suola non le sostituisco, fumare neanche pensarlo… e allora sì, il vizio del fumetto posso anche permettermelo… non si vive solo per negarsi dei piaceri, però a volte mi chiedo se sia davvero un mio piacere o se non me lo sia forzatamente imposto solo perché adoro il prof. Faeti, che è il mio unico mito a partire da quando ero preadolescente, e lui neanche lo sa né può sapere di avermi plasmato parte del cervello con le sue parole da me avidamente ascoltate e lette. Ma poi insomma, indotto o autentico, ormai questo piacere è mio e me lo devo godere senza sensi di colpa, che poi forse anche quelli fanno parte del piacere. Il piacere di ritenere che ci siano aspetti fioriti della vita, quelli che alcuni considerano superflui ma senza i quali vivere non avrebbe senso, sarebbe solo un vuoto dovere, uno strascicare inutile, cosa che purtroppo a volte accade, e allora coltivare i “fiori”, ognuno a modo suo, equivale a resistere.