Viva gli sposi
Pubblicato: 28 Maggio 2017 Archiviato in: felicità, feste | Tags: amore, matrimonio 4 commenti
Marc Chagall, Gli sposi della torre Eiffel
I matrimoni, per chi è invitato, possono essere una gran noia (diciamo una vera e propria gran palla) o un’occasione di profonda gioia, a seconda soprattutto del rapporto che si ha con gli sposi. Io personalmente non sono una grande fan delle cerimonie (sto parlando del contorno di festeggiamenti e banchetti, non del significato dei riti di per sé) quali battesimi, comunioni, cresime e appunto matrimoni. Quando però si sposa una delle tue amiche più care, quando tutto – sia in chiesa che fuori – si svolge all’insegna della semplicità, della spontaneità e della condivisione gioiosa; quando non ci sono trecento invitati ma quelli che veramente conoscono e amano gli sposi; quando il posto prescelto per il pranzo insieme non è distante 60 chilometri rispetto alla chiesa ma lo si raggiunge comodamente a piedi tutti insieme e quando poi ci si mette pure il sole a regalare una splendida giornata e un cielo azzurro che qui a Bologna non è poi così frequente poiché più spesso, anche col sole, è offuscato di umidità e foschia risultando biancastro, tutto congiura verso la perfezione.
Così la sottoscritta, cui ultimamente venivano in mente solo post seri a tema mortifero (perché del tutto casualmente – ma sarà poi davvero un caso? – ho letto dei gran libri intrisi di morte a ogni riga), si trova oggi nello stato d’animo più lontano e avulso da pensieri di stasi, a riprova del fatto che in genere la nostra realtà del momento non coincide con tutta la realtà – o non è una buona, nel senso di unica valida, lente attraverso cui guardare il mondo fuori – e che sani bagni di folla fanno pur bene.
I post mortiferi comunque arriveranno pure quelli… 😉
Intanto lunga vita agli sposi, al loro bambino di nove mesi che nell’occasione è stato battezzato e che, vedendo e sentendo battere le mani, se le è spellate pure lui applaudendo felice in prima fila ai genitori sposi, e ammettiamo che ascoltare tra le letture l’inno alla carità di San Paolo fa solo bene al cuore, considerando il contesto in cui viviamo; perdoniamo anche il prete per il suo guardare evidentemente un po’ troppa televisione, date le citazioni durante l’omelia.
Altre dimensioni
Pubblicato: 3 febbraio 2017 Archiviato in: felicità, libri | Tags: claudio magris, Non luogo a procedere 3 commenti“Comunque lui forse aveva ragione, l’infinito bene c’è, da sempre. Ci avvolge – sì, forse anche me, seduta in mezzo a questo disordine – una soffice nuvola azzurro indaco che accoglie un palloncino sfuggito di mano a un bambino. È la felicità, ma le creature bidimensionali che strisciano sulla sfera di quel palloncino non possono alzare la testa e capire che esiste quell’altra dimensione, quella nuvola che le avvolge, e continuano a strisciare disperate. […] Lui in qualche modo doveva essere riuscito ad alzare la testa, a sentire il vento di spazi, di altezze inimmaginabili per chi ha solo larghezza e lunghezza; aveva aspirato a pieni polmoni quell’aria ignota agli umani, un gas esilarante che dava allegria.”
Da Claudio Magris, Non luogo a procedere, Garzanti
Un romanzo che non ha uno “stile scorrevole”, non “si legge tutto d’un fiato”, come va di moda oggi, porta il peso della Storia ma sa anche aprirsi a squarci di leggerezza e bellezza, insomma un po’ com’è la vita.
Consultazioni
Pubblicato: 27 dicembre 2016 Archiviato in: felicità, riflessioni 9 commentiIn questo periodo devo prendere una decisione importante nella sfera lavorativa; devo scegliere tra una strada comoda e conosciuta e una più dinamica e impegnativa. Niente di drammatico perché resto comunque nell’alveo sicuro di un lavoro dipendente e non credo neanche che la decisione finale spetterà a me; tuttavia io mi attivo per la mia parte e, non temendo di lasciare il comodo ma essendo anche un tipo prudente, ecco che ho dato il via a un giro di consultazioni che neanche il Presidente della Repubblica durante le crisi di governo più nere.
Alla fine, nel momento della scelta si è sempre soli; tuttavia è bello vedere che se si chiede un consiglio si trovano persone disposte – in questo periodo festivo poi! – a prestare ascolto e impegnare del tempo per dare un’opinione pensata.
Mi chiedo come fanno quelle persone che vanno fiere di non chiedere mai aiuto a nessuno.
Così, come sempre avviene, la gioia non sta tanto nel risultato, quanto nel percorso.
Il senso di questo post è: non bisogna avere paura di chiedere.
Vivere strabici
Pubblicato: 3 dicembre 2016 Archiviato in: esercizi spirituali, felicità, impegno 4 commentiMi capita spesso di pensare che probabilmente l’ideale sarebbe vivere un po’ strabici. Lo penso per esempio quando incappo nell’elogio della “felicità nelle piccole cose”, un vero evergreen anche nel mondo dei blog, soprattutto quelli femminili; che è giustissima, di per sé e, tutto sommato, anche se non ne faccio un Manifesto, nella pratica è anche alla base del mio personale modo di vivere. Però, se ci si ferma solo lì, diventa una gabbia, comoda e dorata ma sempre gabbia che ti isola dal mondo, dalla vita, dal tempo storico mentre ti chini solo su te stesso, sulla tua famiglia, nel chiuso del tuo piccolo mondo. Allora bisognerebbe essere strabici, e tenere un occhio ‒ e parte del cuore ‒ sulle piccole cose del presente per le quali essere grati ogni giorno e l’altro occhio ‒ e il resto di noi ‒ teso invece al fuori, all’Altro, a ciò che è grande e spesso anche triste, ingiusto, doloroso e a cui non restare indifferenti. Anche perché in molti modi, più di quanto non si pensi, possiamo fare qualcosa anche per quella Dimensione Grande. La Storia cammina anche sulle nostre gambe.
Alice!
Pubblicato: 10 ottobre 2013 Archiviato in: felicità, libri | Tags: Alice Munro, jonathan franzen, la vista da castle rock, Munro, nobelprize, paolo cognetti, premio Nobel, troppa felicità 14 commentiFelicità, anzi: troppa felicità! Il Premio Nobel per la Letteratura 2013 è stato assegnato ad Alice Munro! Finalmente posso esultare per un Premio Nobel per la Letteratura: stavolta non solo conosco bene l’autore premiato ma è anche una dei miei preferiti! E sono anche molto contenta perché questa fantastica autrice ha scritto soprattutto racconti. Io amo molto la forma racconto, un genere che ha vita un po’ difficile, e quindi sono doppiamente felice.
Quale suo libro consiglierei a chi non la conosce? A me è piaciuto moltissimo La vista da Castle Rock, perché amo le storie familiari percorse attraverso il susseguirsi delle generazioni nel loro intreccio con la Storia e la ricerca delle origini. Oppure, se volete qualcosa di più “contemporaneo” potete provare con Troppa felicità o Nemico, amico, amante… La cosa migliore è fiondarsi in biblioteca (o in libreria), sfogliare i suoi libri e sceglierne uno!
Dato che ora sono troppo emozionata per produrre qualcosa di più intelligente di questo post festoso, vi linko qui alcuni post che mi piacquero molto quando li lessi tempo fa (del resto l’autore di quei post è uno scrittore che apprezzo molto: Paolo Cognetti):
questo su Alice Munro, questo su La vista da Castle Rock. Qui un’intervista ad Alice sul suo rapporto con la scrittura.
E infine qui un estratto da un bel saggio di Jonathan Franzen (contenuto in una raccolta che ho letto proprio in questa estate e che consiglio: Più lontano ancora)
Buona lettura…
Andiamo in centro?
Pubblicato: 6 ottobre 2013 Archiviato in: educazione, felicità, libri, papi | Tags: amore, cioccolata in tazza, crescere, libri, papà 8 commentiAvevo promesso che il mio blogghino avrebbe ricominciato a dispiegare le sue ali argentee in autunno e l’autunno è arrivato; anzi, più che autunno, sembra arrivato direttamente l’inverno. Così, eccomi qui. E non mi interessa di dover scrivere ogni volta chissà quale post elaborato, dato che non ho più il tempo di una volta; scriverò quello che mi viene, ma sempre seguendo la mia regola e cioè che, essendo questo un posto pubblico, quel che scrivo qui, anche quando nasce da spunti autobiografici, deve poter avere almeno un minimo di significato e di interesse per chi legge; per tutto il resto c’è il mio diario personale. E pazienza se non avrò il tempo di limare tutto e scrivere narrazioni mirabolanti; in fondo lo scopo (devo orgogliosamente dire perseguito con successo, nel mio piccolo, in questi anni) del blog è sempre stato quello di donare a chi legge di volta in volta – e, nel migliore dei casi, tutto insieme – un sorriso, un momento sereno, uno spunto di riflessione, una storia in cui immedesimarsi o trovare conforto (dalle statistiche del blog vedo che i miei post più “tragici” – vicissitudini ospedaliere e sentimentali in testa – sono sempre i più gettonati), tutto qui; per i capolavori c’è… Masterpiece! 😛
Fine della premessa.
Voglio cominciare questa nuova stagione con un ricordo tra i più dolci e cari che ho; mi è capitato di rievocarlo un paio di sere fa, durante una specie di cena di lavoro in cui si parlava di letture obbligatorie, imposte ai bambini da insegnanti o genitori; quelle che ti fanno passare la voglia di leggere. E il mio pensiero va al mio meraviglioso padre, a lui che ogni tanto, fin da quando ero molto piccola, prima ancora che sapessi leggere bene da sola, mi diceva: “Andiamo in centro?”. Andare in centro era allora praticamente il Paradiso; significava che io e lui da soli uscivamo mano nella mano e andavamo a prendere un meraviglioso autobus; durante il viaggio – in realtà breve ma che a me sembrava sempre lunghissimo ed emozionante – ci saremmo seduti o collocati accanto al finestrino e avremmo chiacchierato di tante cose nostre mentre il paesaggio noto del quartiere lasciava spazio a quello meno noto che conduceva verso il centro. Ma, soprattutto, andare in centro significava scendere sotto le due torri e tuffarci in libreria, spesso in più di una libreria. Qui, come per la verità sempre e ovunque quando c’era/c’è di mezzo mio padre, venivo educata a diventare una persona libera, col diritto-dovere di sviluppare gusti personali assumendomene le conseguenze: venivo lasciata libera di girovagare da sola tra gli scaffali del settore bambini per scegliere un libro da acquistare, mentre mio padre andava da tutt’altra parte, in genere nel reparto filosofia e teologia, a scegliere i suoi libri. Ecco. Anche se ormai sono passati parecchi anni, ricordo perfettamente com’era liberatoria e inebriante quella sensazione di potenza che provavo: ero una bambina piccola ed ero lasciata completamente sola a sfogliare libri, leggerne la quarta di copertina, perdermi tra tutti quei colori e con la responsabilità di dover scegliere tra tutti un libro che mi sarei portata a casa. Insomma, ci si fidava di me! A volte mi divertivo a esplorare la libreria col rischio di perdermi tra stanze e scaffali. Di altri bambini soli così piccoli non ce n’erano quasi mai; tutti avevano il loro bravo adulto a controllarli.
Quando mio padre tornava, coi suoi libri sotto braccio, mi chiedeva quale libro avessi scelto. A volte avevo scelto, senza saperlo, un libro di valore; altre volte avevo scelto qualche stupidaggine; papà non giudicava. Mi chiedeva se ero sicura, magari lo sfogliava con me, mi invitava a confrontarlo con qualche altro libro; ma quando mi decidevo, la mia scelta veniva rispettata. Lui in più sceglieva per me anche un libro di testa sua, di solito un classico per l’infanzia che ancora non conoscevo; in questo modo, indirizzava comunque le mie letture proponendomi, dall’alto della sua esperienza, libri importanti che io da sola non potevo conoscere.
La soddisfazione di uscire dalla libreria con i nostri sacchetti, ardenti dal desiderio che arrivasse la sera per tuffarci subito nella lettura, era grande. Ma prima di tornare a casa c’era un’altra tappa irrinunciabile: andavamo in un bel bar, ci sedevamo a un tavolino come due gran signori e ordinavamo due calde cioccolate in tazza con panna. Fuori, come ora mentre scrivo, calava la sera, il freddo si faceva sentire. Noi due, i volti allegri illuminati dalla luce elettrica del bar, gustavamo la nostra cioccolata; usciti da lì, se era la stagione, compravamo un sacchetto di caldarroste in uno di quei baracchini per strada, poi tornavamo a casa. Papà, libri, libertà, evasione e cioccolata calda: con associazioni di tal fatta è abbastanza ovvio che la lettura per me abbia sempre rappresentato un momento caldo ed emotivamente ricco, oltre che intellettualmente stimolante. Senza contare il fatto che mio padre, da quando ero neonata fino più o meno ai miei dieci anni (ma, grazie a mia sorella più piccola che stava in camera con me, ho approfittato delle sue letture serali anche ben oltre quell’età), ha passato ogni benedetta sera seduto sul mio letto a raccontarmi fiabe prima e a leggermi – a puntate – romanzi poi… ma questa è un’altra storia.
P.S.: rileggendo questo post, mi è tornato in mente quest’altro episodio raccontato qui. È davvero bello notare come i libri abbiano accompagnato tappe importanti della mia conquista dell’autonomia personale… persino quella degli spostamenti (trasloco compreso)!
L’unione fa la forza
Pubblicato: 3 novembre 2012 Archiviato in: felicità 4 commentiProvengo da un mese di fuoco, ottobre, il mese nel quale ogni anno nella mia città si svolge una manifestazione legata alla storia, promossa dall’Università; io faccio parte del comitato organizzativo (da due anni) e tutto l’anno si lavora alacremente per essa, anche perché in quella settimana clou vengono portate a compimento varie attività – per es. con le scuole – che svolgiamo lungo il corso dell’anno. Siamo pochi, senza grossi budget (sto usando un eufemismo), le istituzioni non sono sempre di grande aiuto e il lavoro è tantissimo; io fortunatamente non sono portata allo stress, dunque reggo bene il carico del lavoro e gli orari disumani senza troppa stanchezza. L’entusiasmo è alto in quei giorni e tutto si trasforma: la casa diventa un “posto” nel quale fare ogni tanto veloci incursioni per mangiare qualcosa (stavolta son stata brava: a settembre ho fatto le scorte, “cucinato” e riempito il freezer di porzioncine monopasto che in tal modo potevo buttare in forno o sui fornelli e ingollare nei brevi momenti in cui toccavo il suolo casalingo, il che mi ha evitato di patire la fame come l’anno scorso), aggiornare il sito e la pagina facebook della manifestazione e magari anche dormire quel tanto che basta (sognando comunque gli eventi del giorno dopo). Amo gli imprevisti, e anche quando non li amo li accetto, pertanto posso dire che tutto è andato bene, anche le piccole “sorpresine” che si sono presentate inevitabilmente in corsa sono state agevolmente rintuzzate e risolte e lo spettacolo che avevo voluto e curato io in special modo, e che concludeva la settimana, è andato più che bene (vogliamo dire un trionfo? Sì, DICIAMOLO!!!). Ora si riprendono ritmi più normali, si (ehm) riordina la casa abbandonata per un mese allo stato brado, si tira un po’ il fiato, benché siamo già in fase organizzativa di qualcos’altro ma è una sorpresa… Quel che resta invariato è quel senso di gioia costante e calda che dura in me sempre, la gioia e la sicurezza dell’essere un gruppo (tra l’altro, intergenerazionale), del lavorare insieme per qualcosa di bello, aiutandosi a vicenda. La maggior parte delle cose belle di questo mondo – quasi tutto, in verità – non sarebbero possibili se le persone non lavorassero insieme; spesso degli altri, e della convivenza con loro, vediamo il lato più fastidioso, noioso, frustrante, e questi aspetti ci sono (oh, se ci sono!), tuttavia per me conta di più il bello, l’utile e la necessità dello stare insieme e dell’interdipendenza, questo non lo dimentico mai, anche quando vorrei dare una botta in testa a qualcuno che mi sta innervosendo particolarmente! E più vado avanti nella vita più mi accorgo di quanto valore hanno i rapporti umani. Quando ero più giovane, arrivo a dire che a volte invece li ho perfino disprezzati e talvolta rifuggiti (me tapina! E infatti languivo infelice). Basta, oggi volevo dire solo questo perché ho ondate di idee in testa da riordinare meglio.
Però ora sarà bello passare un dolce weekend casalingo a leggere in tranquilla e meditativa solitudine… dopo tanto tempo!
A New Year’s Eve Carol
Pubblicato: 2 gennaio 2012 Archiviato in: felicità 9 commentiDalla mia localizzazione, l’anno 2012 è cominciato in un tripudio di fuochi d’artificio, petardi e musica araba a palla (quest’ultima non si è ben capito da dove provenisse e soprattutto perché, dato che mi risulta che il calendario arabo segua una datazione diversa dalla nostra). Roba che poi, dopo mezzora e più di questo fracasso, se uno per caso avesse voluto andare a dormire – tanto per iniziare l’anno nuovo da riposato e non da zombie – non avrebbe comunque potuto farlo. Svegli a oltranza, festeggianti per costrizione, ma va bene così, e allora via con un’altra partita a Trivial Pursuit (acculturiamoci!) mentre là fuori la città non pensa a dormire e chi ci pensa è perché sta male.
E come ogni Capodanno, allo scoccare della mezzanotte parte quel pizzico di nostalgia; nel mio personale New Year’s Eve Carol, mi vengono a trovare tutti (più o meno) i Fantasmi dei Capodanni Passati e così mi rivedo bambina annoiata durante gli interminabili veglioni a Piacenza pieni di parenti e amici di parenti ora per la maggior parte – purtroppo – passati ad altra vita o quelli più piacevoli sempre a Piacenza ma con solo la mia famigliola più nonna e prozia, e mio padre che voleva giocare sempre a tombola senza riscuotere grandi consensi; mi rivedo adolescente fanaticamente festaiola, con quei Capodanni vissuti permanentemente in micro-minigonna e scarpe strette, in giro per la città da una festa all’altra, ovviamente congelata e coi piedi rattrappiti e non particolarmente divertita (ma non l’avrei mai ammesso, neanche sotto tortura!); un paio di Capodanni malata a casa, a mangiare arachidi e pistacchi coi miei genitori davanti alla tv (e vabbe’) e pure i Capodanni in solitudine, ché nel mio periodo esistenzialista mi sentivo ganza a stare da sola tappata in casa a spararmi un cineforum tutto per me (tipo “maratona Woody Allen”) mentre “tutti gli altri”, accecati dal velo di Maya, festeggiavano il nulla (ma quanto si può essere insopportabilmente snob a 20 anni?).
[Uhm… cominciano a essere un po’ tanti questi Capodanni.]
E poi la notte passa e arriva il giorno, quel giorno silenzioso e sospeso che non sembra un tempo vero, che vivi piano perché hai quasi paura di disturbare.
Ma dal 2, si comincia a fare sul serio. 2 gennaio 2012: ci siamo!!! Pronti, partenza, VIA! Stessa giostra, altro giro! E il mio ricomincia da una bella capatina in biblioteca e poi in libreria (questa non è una novità però!).
E voi? Cominciato bene l’anno?
Alla faccia dello Spread!
Pubblicato: 31 dicembre 2011 Archiviato in: felicità 4 commentiLo confesso: mi sento un po’ sfasata (tanto per cambiare!) rispetto al trend generale. Nel senso che sì, ok, questo 2011 è stato l’anno della crisi, del rischio di default, recessione, della manovrona (o “suppostona” per dirla à la Littizzetto) e io la crisi la patisco tutta, non sono certo a posto. Ma non m’importa perché per me questo 2011 che se ne sta andando è stato un anno semplicemente meraviglioso, sconvolgentemente emozionante in ogni suo singolo giorno, pieno di novità, avventure che mai avrei immaginato di vivere, nuovi orizzonti. È stato l’anno in cui ho trovato la mia strada nella vita, in cui non mi sono più sentita costantemente fuori posto, in cui ho seminato e contemporaneamente raccolto, in cui finalmente ho potuto esternare tutto il mio amore e ne ho ricevuto e ne ricevo così tanto che, be’, il mio cuore canta tutto il giorno! E la cosa bella è che con queste premesse non vedo l’ora di buttarmi a capofitto nel 2012! Non può che essere anch’esso un anno da godere giorno per giorno, qualunque cosa succeda, perché in questo 2011 non mi sono successe solo cose belle ma il fatto è che quando non ci si sente soli tutto si affronta meglio. E – come dice “il mio amato Prof.” (il prof. col quale collaboro e del cui gruppo sono entrata a fare parte) – “l’ansia viene quando ci si sente soli ad affrontare le cose, ma tu non sei sola”. E, cari amici, per questo 2012 auguro lo stesso a tutti voi… di non sentirvi soli. E di avere un anno ricco di avventure ed emozioni come spero sia ancora anche per me!
AUGURI!!!!
P.S.: comunque sto cominciando a dare ragione a Giacobbo e ai “suoi” Maya. Insomma, qualcosa di strano c’è: non solo questo 2011 è stato il primo anno in cui sono riuscita a rispettare i buoni propositi fatti a Capodanno – cosa che non sono MAI riuscita a fare in tutti i trenta e passa anni precedenti – ma addirittura mi sono goduta e mi sto godendo appieno ogni giorno di queste feste natalizie, cosa per me quasi incredibile poiché io nei periodi di vacanza mi deprimo sempre (chi mi segue da tempo sa che io amo “i lunedì”) e quindi… boh, come minimo si sarà spostato l’asse terrestre, qualche rivoluzione in corso c’è! 😉
Il dono
Pubblicato: 14 marzo 2010 Archiviato in: educazione, felicità 9 commentiCamminavamo lentamente, affiancati, sotto al portico, diretti verso le nostre fermate d’autobus, scambiando qualche parola sulla fine della scuola e l’esame di maturità alle porte.
A un certo punto, sempre camminando, lui mi passò un braccio attorno alle spalle e mi tenne così, stringendomi con delicatezza. Io voltai il viso verso di lui, guardandolo incuriosita; anche lui mi guardava negli occhi e a un tratto si commosse; vedendolo commuoversi, il mio cuore cominciò a battere forte. Non camminavamo più, ora, mi teneva entrambe le mani sulle spalle. Sorridendo si schiarì la voce e mi disse:
«Ilaria, per tutti questi tre anni, quando entravo in classe e vedevo il tuo sorriso e il tuo entusiasmo, poteva anche essere stata fino allora una giornataccia, ma improvvisamente ritornavo sereno. Anche solo pensarti mi fa stare bene; e poi sei un’allieva fantastica». Tacque un momento e, siccome io lo fissavo già con gli occhi lucidi (un’allieva fantastica!), mi diede una carezza sul viso, cosa che mi spezzò ulteriormente il cuore. Poi fece un sospiro e riprese:
«Tu hai una qualità meravigliosa: la tua gioia e la tua spontaneità. Mi prometti che, qualunque cosa succeda, non permetterai mai alla vita di toglierti il tuo sorriso così puro? Ti prego, non lasciare mai che si spenga, non lasciare che questo brutto mondo ti rovini il carattere!».
Nel dirlo, mi guardava con un misto di tenerezza e preoccupazione. Solo ora capisco quella sua paura; allora avevo diciottanni e non capivo cosa ci fosse da preoccuparsi e rattristarsi tanto: il mondo mi sembrava bellissimo. Mi diede un bacio sulla fronte tenendomi il viso con entrambe le mani; profumava di tabacco e dopobarba, come sempre, un odore buono che non dimenticherò mai. Non resistetti all’emozione e lo abbracciai stretto, non volevo che mi vedesse piangere, così schiacciai il viso contro il suo petto; ero parecchio sconvolta da tutto quel melodramma improvviso in un uomo solitamente riservato e poco incline agli scambi fisici. Ma ero felice. Capivo che mi aveva aperto il cuore, che teneva a me e che ero importante per lui. Mi faceva piacere soprattutto avere saputo di produrre quell’effetto rasserenante su di lui, perché lui mi aveva dato tanto e ora sapevo di avergli dato qualcosa anch’io. Saremo rimasti abbracciati mezzo minuto, ma a me sembrò la classica eternità; tremavo e mi piaceva sentirmi avvolta in quell’abbraccio protettivo, mentre gli promettevo che niente e nessuno mi avrebbe tolto il mio sorriso. Poi ci sciogliemmo dall’abbraccio e allora ritornammo in noi; la magia era finita e sorridendo imbarazzati riprendemmo a camminare. Arrivati in fondo al portico ci salutammo e ognuno si diresse verso la sua fermata; io in realtà ero troppo agitata e così mi misi a correre a perdifiato fino a due fermate dopo, ero la personificazione vivente di quanto la gioia possa essere violenta e sconvolgente.
Ora, passati più di dieci anni, mi chiedo: ho mantenuto la promessa? Sì! Mi rispondo veramente con fierezza di sì. La qui presente Ilaria, pur essendosi accorta che in effetti il mondo non è poi proprio sempre bellissimo e pur essendosi già imbattuta in alcune delle varie prove, patimenti, ingiustizie e fatiche che costellano la vita di un tipico essere umano, ormai si sente fuori pericolo: magari resterò un po’ ingenua, ma non diventerò una cinica. Il mio sorriso me lo tengo stretto e niente me lo cancellerà. E sapete perché? Sì, forse in parte grazie al carattere con cui sono nata, ma perlopiù – ne sono convinta – grazie all’immagine di me che alcune persone preziose, tra cui appunto il mio amato prof. di filosofia del liceo, mi hanno regalato. Nei momenti tristi, nella depressione che mi ha colta a vent’anni, nell’angoscia che ho potuto talvolta provare, a soccorrermi sono sempre state e saranno le parole affettuose e magnanime di qualche persona incontrata lungo il cammino; come posso credere di sentirmi infelice se il mio prof. ha detto che io sono l’immagine della felicità?
Ricordo le parole di un altro uomo molto importante per me; si chiamava don Giuliano. Un giorno, in un periodo in cui ero veramente allo sbando, ho sentito per caso una conversazione tra lui e mio padre (lui era venuto a casa per la benedizione pasquale): mio padre gli diceva, con un tono sofferente e rassegnato che non dimenticherò mai, che io ormai ero «un’egoista e una squinternata» e che non ero più l’Ilaria che don Giuliano ricordava. Lui lo contraddisse con vigore, dicendo che forse attraversavo un periodo difficile data l’età, ma era convinto che io non sarei mai potuta diventare un’egoista e una squinternata, e ricordò con tenerezza di quando lui era stato male e io ero andata a trovarlo tutti i giorni in ospedale, anche se all’epoca ero già atea. Io avevo origliato questo dialogo dal pianerottolo della porta di casa; dopodiché, anziché entrare, anche allora mi sono messa a correre come il vento; disperata perché mio padre, il mio modello e mito, era così deluso e indurito nei miei confronti; grata perché al mondo esisteva una persona che, contro ogni evidenza, credeva in me perfino più del mio stesso padre e di me stessa. E lì ho deciso che io volevo dare ragione a questa persona; così queste parole di fiducia («Ilaria ha un cuore buono, non diventerà mai un’egoista») mi hanno salvata; io in quel periodo stavo veramente male, e solo aggrapparmi a quell’immagine positiva di me ascoltata di nascosto (e poi dicono che non si deve origliare!) mi ha aiutata a riprendere in mano la mia vita e uscire dalla palude. Quando ho cominciato a stare meglio, la prima persona da cui sono andata è stato lui, don Giuliano; anche lui mi ha abbracciata, e mi ha detto: “Io non ho mai dubitato di te”.
Cosa sarei io senza i tanti episodi di amore gratuito di questo tipo che ho ricevuto? Senza persone che, quando io ero la prima a non vedere il bello in me stessa, mi presentavano un’immagine di me bella, buona e luminosa? È una lezione che non ho mai dimenticato e che pratico anche verso gli altri; tutti noi abbiamo grosse responsabilità verso chi entra in relazione con noi: sottolineare gli aspetti positivi di una persona, restituirle un’immagine positiva di sé, non lesinare elogi e gratificazioni quando è il caso, non sottovalutare le qualità altrui, ascoltare quello che dice, sorridere quando la si guarda, è uno dei doni più grandi, più duraturi e più preziosi che si possano fare.