I conti non tornano
Pubblicato: 1 Maggio 2017 Archiviato in: calamità ilariesche, desperate housewife, umorismo | Tags: primo maggio 17 commenti
Sì, lo so, non è il tempo a non tornare ma io che non sono una campionessa di organizzazione… Mi consolo con questo orologio Art Déco che ben rappresenta la mia lotta contro le Ore.
Leggo che con lo slogan Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire, “coniato in Australia nel 1855 e condiviso da gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento” i lavoratori cominciarono a lottare per vedere riconosciuti i loro diritti, e mi piace ricordare tale motto oggi, primo maggio. Tuttavia, in cuor mio, mi sono sempre domandata e tuttora mi chiedo dove siano in realtà queste otto ore per lo svago (per tacere delle OTTO ore di sonno). Le otto ore che dovrebbero essere dedicate allo svago sono divorate da tutte le incombenze legate al vivere (cura di sé, della casa e della famiglia) ‒ alcune delle quali parecchio noiose ‒, agli spostamenti casa-lavoro e ritorno e agli imprevisti quotidiani che si aggiungono alle suddette incombenze.
Certo, ci spiegano le Maestrine del Saper Vivere, tutte queste cose se fatte con amore e intenzione riempiono di significato e sostanza la nostra vita; ma resta il fatto che per godermi un buon romanzo, scrivere, dedicarmi insomma alle mie passioni o concedermi quel po’ di vita sociale finisco spesso e volentieri per togliere ore al sonno, e allora le ore guadagnate allo svago vengono rubate a quelle del sonno. Insomma: i conti non tornano.
Inquietanti teorie
Pubblicato: 15 gennaio 2017 Archiviato in: curiosità, desperate housewife, guerra civile familiare, papi, umorismo, uomini al lavoro | Tags: animali domestici, umarells 6 commentiL’inquietante teoria di mio padre riguardo a tutti questi pensionati in giro col cane è che il suddetto animale sia stato comprato appositamente dalle mogli per “togliersi dai piedi i mariti e tenerli il più possibile fuori di casa”. Se no non si spiega, dice lui, osservando come in genere il pensionato maschio strattoni perlopiù il cane con nervosismo e malagrazia mista a un ché di rassegnato.
Modi di sprecare il tempo
Pubblicato: 15 febbraio 2012 Archiviato in: desperate housewife, tempus fugit | Tags: spreco 9 commentiIeri, verso metà mattina, ero immersa in un testo sul Cinquecento quando ho sentito un vociare dalle scale. A volte i miei vicini scambiano quattro chiacchiere incrociandosi tra un pianerottolo e l’altro. Tuttavia quello non mi sembrava proprio il tono da “quattro chiacchiere”. Passato del tempo, arrivata l’ora di preparare il pranzo scaldarmi una scaloppina avanzata, le voci erano ancora lì; decisamente non era una amabile conversazione, ma mi son ben guardata dal prestare orecchio, non volevo saperne nulla. Ho acceso invece lo stereo e fatto partire i Rolling Stones. Nei giorni scorsi avevo messo su questa raccolta di hits degli Stones riesumata tra i miei cd e il risultato è che da circa quattro giorni ascolto solo loro e li ballo pure; una bella botta d’energia in questo assedio bianco. Ritornata alla mia scrivania, il litigio sulle scale, sospeso durante l’ora del pranzo, era già ripreso. Mentre poi mi preparavo per uscire, ho iniziato a temere che per quando fossi stata pronta quelli non avrebbero ancora finito; insomma si faceva sempre più probabile la prospettiva di dovere affrontare il nugolo di vicini litiganti e venire interpellata. Inutilmente ho temporeggiato sulla soglia del mio appartamento, sperando in una “pausa merenda” durante la quale poter sfrecciare giù dalle scale indisturbata. Macché merenda, quelli continuavano e io non potevo più aspettare, avevo una riunione importante e dovevo raggiungere il dipartimento in bici nella città ancora in molti punti ghiacciata. Così, scese le scale, sono arrivata al fatidico primo piano, dove i litiganti erano raccolti. Divisi su due fronti, al mio apparire, hanno voltato tutti il viso verso me (aiuto!). Io ho cercato di cavarmela con un Buonasera, ci vediamo!, ma è stato inutile. La Vicina Rognosa del secondo piano – quella che, ho scoperto poi, ha provocato tutta la discussione – mi si è parata di fronte chiedendomi, col tono del tipo “qualunque cosa tu risponda potrà essere rivolta contro di te”:
«Hai visto o non hai visto l’uomo delle pulizie venire a pulire le scale negli ultimi martedì?»
Oddio, cosa rispondo adesso? Dove vorrà andare a parare, questa?, mi sono chiesta in quei tragici secondi cercando disperatamente con lo sguardo la Signora Gentile del primo piano e il Vicino Tuttofare Buono per capire loro da che parte stessero. [Il Vicino Tuttofare Buono è stato da me identificato così fin dal primo momento in cui ho messo piede nel mio condominio; ho questa spontanea attitudine, tutte le volte che mi inserisco in un nuovo gruppo, a individuare subito la persona di riferimento nei casi di difficoltà. E il Vicino Tuttofare Buono è la salda roccia cui riparare in caso per es. di allagamento casa, ragni grossi o imprevisti casalinghi vari. Ho già avuto modo di testarlo nel corso di questo anno e mezzo, restandone enormemente soddisfatta. Ovviamente anch’io cerco di essere una Brava Vicina, nell’ambito delle mie competenze, sia chiaro!]. Alla fine mi sono pronunciata; un po’ mentendo:
«Il signore delle pulizie? Be’, è venuto tutti i martedì. Forse forse – ma potrei sbagliare – può darsi che non sia venuto martedì scorso, ma era il martedì della neve, nessuno è andato al lavoro…».
La Rognosa, che ovviamente sostiene che il tale signore ogni tanto faccia il furbo e salti dei martedì, si è messa a sbraitare sul “difendere i fannulloni pagati coi nostri soldi” e via dicendo. Secondo lei bisognerebbe denunciarlo subito all’amministratrice di condominio affinché venga licenziato. Sembrava di essere alle elementari, quando il perfettino di turno minacciava ogni secondo di “dirlo alla maestra”.
Il Salomone (o il Centrista) che c’è in me ha affermato che non è giusto che paghiamo un fannullone ma che magari, visto che non siamo sicuri di queste presunte assenze ingiustificate, prima di chiamare in causa l’amministratrice sarebbe meglio parlare direttamente con lui, chiedergli se ha fatto delle assenze o no e, se sì, perché (può avere avuto dei motivi diversi dalla pigrizia, nel caso), facendogli così capire che è osservato e vedere come si comporta. Mi sembra una cosa normale, no? Ma ciò non ha placato il litigio; io però ho salutato e mentre pedalavo verso il dipartimento pensavo all’assurdità di perdere tutto un pomeriggio per un litigio del genere. Per me il tempo è prezioso; a volte mi capita di ripromettermi di fare un giro per il web di “un quarto d’ora” e dopo poco mi accorgo che invece è già passata un’ora; e mi sento in colpa, perché di certo in quell’ora potevo fare qualcosa di più costruttivo. Ebbene, confronto allo sprecare quasi un’intera giornata a dare aria alla bocca sulle scale, mi sono sentita un po’ meno in colpa per i miei sprechi. Almeno io, tempo per litigare, non ne perdo mai!
Le magagne dell’uomo maturo ;-)
Pubblicato: 11 febbraio 2012 Archiviato in: cinema, desperate housewife, mia mamma, riflessioni, umorismo | Tags: alec baldwin, è complicato, donne tuttofare 17 commentiOggi ho voglia di scrivere un post ma non ho mezza voglia di stare a ragionare e a strutturare il testo, quindi attenzione – allarme rosso! – perché mi sto accingendo a scrivere un post a ruota libera, che di solito, quando ne leggo nei blog altrui, trovo un genere di post potenzialmente noiosissimo; quindi se vi annoiate smettete pure di leggere e io non ve ne vorrò, anche perché insomma, alla fine questo è il mio blog e non posso stare sempre a preoccuparmi di non annoiare gli altri, giusto? 😉 Oggi voglio scrivere così, senza limiti di battute e per me stessa, perché questo posto, questo blog, era nato prima di tutto per contenere i miei pensieri; il renderli pubblici è solo perché boh, non si sa mai che possano tornare utili a qualcuno.
Bene. Cominciamo. Il fatto è che negli ultimi due giorni e mezzo sono stata aggredita da un leggero raffreddore e mal di gola e io, pur essendo – ve lo assicuro! – incontestabilmente femmina, quando mi ammalo sono come la maggior parte dei maschi: una vera palla! Non sono come quelle donne che, seppur malate, continuano a vivere le loro giornate come carri armati tenendo dietro a tutto e tutti e senza neanche un lamento; no, io sono come quegli uomini che se appena hanno una gola un po’ arrossata o due linee di febbre vanno in stato comatoso, si lagnano a oltranza e non sono in grado di muovere un dito. Che poi, in realtà, io non sono una donna-carro armato praticamente mai! Io non sono la tipica donna di cui si favella tanto al giorno d’oggi, la donna multitasking, quella che riesce a trasformare ogni giornata da 24 ore in una giornata da 50 ore, quella che fa dieci cose alla volta e poi se ne vanta sui blog o coi colleghi e va in depressione se si accorge che qualcuna è più multitasking di lei; no, io a queste donne di oggi in competizione per chi è più fessa efficiente dico: «Ok, prego, fate pure!». In realtà, se voglio o se sono costretta, riesco anch’io a trasformarmi in questi mezzi robot, come credo possa fare, peraltro, qualunque pirla, maschio o femmina che sia, all’occorrenza: per esempio, in situazioni di emergenza lavorativa mi trasformo – se ce n’è bisogno – in Super Ilaria, non mangio, non dormo e faccio tremila cose alla volta, come periodicamente succede, e ok. Poi però torno in modalità ordinaria e mi raccolgo nella mia modesta condizione. E appunto in tale modesta condizione versavo in questi giorni, mentre accoccolata sul divano mi dolevo dei miei mali di stagione. E devo dire che in questo intontimento da raffreddore, mi venivano a flash, come accade nel dormiveglia, delle bellissime idee per dei post, solo che, stando così male, mi costava troppa fatica scriverli, questi post; ma le idee me le sono tutte appuntate nel mio quadernino degli appunti e nei prossimi giorni saranno tradotte in altrettanti post. Leggi il seguito di questo post »
Cooking for dummies
Pubblicato: 6 agosto 2010 Archiviato in: calamità ilariesche, desperate housewife 17 commentiNel caso qualcuno si chiedesse se e come procedono i miei progressi culinari, vi dirò che in effetti sono progredita nel bruciare pranzi e cene; ormai brucio tutto il bruciabile, e forse anche l’imbruciabile. Nel qual caso, vado di scatolame. Scatolette, le migliori amiche di un’incapace. Sento che così facendo mi sto accorciando la vita. Comunque il mese di agosto doveva essere dedicato – tra le altre cose – a migliorare (migliorare è una parola grossa, diciamo pure: imparare) a cucinare e così sarà; del resto, posso solo fare progressi. Di una cosa sono certa: o mi trovo un marito cuoco, oppure non appena avrò i soldi assumerò non una colf ma una cuoca: è il mio sogno, davvero, una cuoca che non mi cucini niente di speciale, solo un pranzetto sano, gustoso e non cancerogeno, ogni santo giorno!
(nell’illustrazione: il mio marito ideale)
Il mio punto debole
Pubblicato: 31 Maggio 2010 Archiviato in: calamità ilariesche, casa nuova, desperate housewife, figuracce 12 commentiAmici, li vedete questi splendidi fiori (li ho fotografati stamattina, ieri erano ancora più belli!)? Belli, vero? Sono i primi fiori che hanno allietato la mia nuova casa; che emozione ho provato quando ho aperto la porta e ho visto l’amico che aspettavo con quel mazzo di fiori in mano. E sapete come l’ho ricambiato? Con un pranzo carbonizzato! Ma procediamo con ordine: per mia mamma invitare persone in casa è sempre stato uno stress e una preoccupazione, perché anche se si tratta di amici lei deve per forza avere la casa perfetta (e basta una goccia sul pavimento per non renderla più tale), avere preparato cibi raffinati da servire in servizi preziosi e così via; la forma domina sulla sostanza (la bellezza di accogliere una persona cara) e di conseguenza in casa nostra non è mai venuto nessuno se non eccezionalmente. Ciò non toglie che io e mia sorella potessimo invitare gli amici, certo, ma a che prezzo? Il clima di “ansia da ospite” si creava lo stesso [“Devi offrire la merenda!”, “In sala c’è disordine! Poi lo vanno a raccontare in giro” (sì, sicuramente!)], e il risultato è che fin da piccola ho sempre invitato pochissime persone, e stando sempre sulle spine. Quando invece ho vissuto fuori casa, ho sempre invitato con gran piacere, e ora che ho definitivamente un nido mio – e considerando anche che stare sempre sola mi rattristerebbe – ricevo spesso amici. C’è un’unica nota dolente in tutto ciò: il mangiare. Se si invitano amici che poi restano a pranzo o a cena – e in genere è così – qualcosa da fargli mettere sotto i denti devi pur rimediarlo. Non è che non sappia cucinare, se per cucinare intendiamo la cucina-base che serve per vivere. Ma vuoi dare a un ospite una misera bistecchina o un uovo sodo? No, dai, almeno la prima volta che l’inviti, no! Finora ho biecamente ovviato al problema ricorrendo a pizzeria o rosticceria sotto casa. Ma questo amico che è venuto ieri, per come lo conosco, ho pensato che avrebbe preferito un cattivo pranzo preparato con le mie mani a un manicaretto preparato dal rosticciere. E così ho preparato una cosa che di solito mi viene bene, e invece – causa ansia da prestazione – mi è venuta male, cioè meno gustosa e saporita del solito. Ma passi anche questo. Il fatto è che, al momento del pranzo, mentre ho messo la già poco invitante pietanza nel forno per riscaldarla (l’avevo cucinata la mattina presto), mi son messa a chiacchierare con l’amico, e raccontavo, raccontavo, raccontavo… e intanto il mio pranzo si abbrustoliva, bruciava, si carbonizzava ben bene. Quando me ne sono ricordata, era tutto bello nero! Era da piangere, ma francamente anche da ridere! E l’amico? Stoicamente, se l’è mangiato lo stesso, senza neanche togliere la parte superiore carbonizzata. La vera amicizia si vede anche da queste cose… Inoltre, confusa e mortificata com’ero per il pranzo bruciato, alla fine mi son pure dimenticata di offrire il mio “pezzo forte”: il caffè! Me ne sono ricordata alle diciotto, quando ormai l’amico era già in autostrada di ritorno a Verona – la sua città – col mio pranzo carbonizzato sullo stomaco.
A parte questo “piccolo” disguido, tutto il resto è andato benissimo: chiacchiere, tour guidato del quartiere Savena con camminata salutare, e sorrisi. Se passate da Bologna e vi va di venirmi a trovare, ditemelo pure; vi prometto che finché non imparerò a cucinare, ricorrerò alla vecchia fidata rosticceria sotto casa e i vostri palati saranno salvi.
Salvatemi…
Pubblicato: 7 Maggio 2010 Archiviato in: calamità ilariesche, casa nuova, desperate housewife 16 commentiMi sono iscritta al sito della casalinga ideale… e mi piace pure… è grave? Mi sono anche un po’ entusiasmata a leggere le istruzioni della lavatrice nuova – per non parlare dell’eccitazione del primo ciclo di lavaggio…– e nei giorni scorsi, quando ancora dovevo sceglierne una e acquistarla, ero così ossessionata da questa faccenda (non essendo un’intenditrice né di lavatrici né di cose domestiche) che, entrata al bar per prendere un caffè, ho chiesto alla barista, che fortunatamente mi conosce e non si è minimamente scomposta:
– Ciao, vorrei una lavatrice –, mentre invece volevo solo un caffè.
Il problema del servizio inservibile
Pubblicato: 9 marzo 2010 Archiviato in: casa nuova, desperate housewife, storie di famiglia, umorismo 9 commentiMia nonna e sua sorella hanno passato tutta la vita ad accumulare oggetti preziosi di vario tipo per gli eredi. Ora che entrambe non ci sono più, gli eredi hanno provveduto a un’estenuante spartizione – estenuante a causa del tempo da devolvere alla causa per via della quantità di oggetti, ma svolta in grande armonia – e ora io mi ritrovo con vari servizi di piatti. Due interi mobili del salotto sono ormai intasati di vassoi, tazzine e piatti preziosi. Solo che mi è stata fatta una testa così sui servizi ereditati, al punto che ormai ho paura solo a guardarli.
C’è il Servizio del Castello, che risale a quando i miei vivevano appunto in un castello, che poi hanno perso dopo la guerra; questo servizio di piatti è antichissimo e in realtà non serve a niente: il suo unico scopo consiste nel venire tramandato di generazione in generazione fino alla fine dei tempi. Così quando verrà l’Apocalisse e ogni umano verrà spazzato via, il nostro servizio di piatti sarà comunque presente all’evento. Poi c’è il Servizio Prezioso: questo servizio di piatti in fine porcellana sembrerebbe un po’ più accessibile, ma è da riservare agli ospiti particolarmente di riguardo, tipo la regina d’Inghilterra (che però dubito verrà mai a casa mia; ma vallo a spiegare a mia madre), quindi anche questo lo vedo poco fruibile. Infine c’è il Servizio Bello, che è quello che usavamo per i pranzi di Natale e Pasqua, al quale sono affezionata: questo lo userò per amici e ospiti; in realtà – dato che più che Bello mi sembra Simpatico – inizialmente pensavo di usarlo anche per mangiarci io stessa tutti i giorni; alla fine chi sono io? Un cane? Anche io avrò diritto di mangiare con delle stoviglie dignitose. Ma quando en passant ho espresso questa mia intenzione, ho visto mia madre manifestare i primi sintomi di un attacco di cuore e quindi mi è venuto lo scrupolo e ho deciso che non lo userò tutti i giorni, ma la domenica (o in qualche altro giorno speciale) sì; anche se sarò da sola. Ed è così che ho realizzato che pur avendo una casa piena di piatti e piattini, non ho un piatto in cui mangiare. Mi rifiuto infatti di considerare adatti all’uopo quel po’ di piatti spaiati, sbeccati e usurati dal tempo che mia mamma mi ha passato riesumandoli tra gli scarti di casa. Onde per cui, stamattina ho inforcato la bici e mi sono recata al centro commerciale; impresa ardua perché era in corso l’ennesima bufera di neve, e per giunta, per variare un po’, oggi la neve non scendeva in verticale ma, sospinta da violente raffiche di vento, percorreva un tragitto orizzontale grazie al quale mi si ficcavano fiocchi negli occhi e nel naso. Ciononostante, ne è valsa la pena: al Conad ho trovato un bel servizietto di otto piatti, quattro fondi e quattro lisci, bianchi con una fantasia arancione e gialla sul bordo: costavano solo 6 euro (!!!) e me ne sono subito impossessata. Il colore e la fantasia mi piacciono e, in barba a tutti i servizi e servizioni che posseggo, me ne sono tornata a casa felice come una Pasqua: ora ho i miei piatti di tutti i giorni e mi sembrano bellissimi! Proprio perché mi piacciono, ci farò mangiare anche i miei amici intimi, e qui ho realizzato il paradosso: per noi stessi e per gli amici intimi (cioè quelli che sono “di casa”, e quindi i più preziosi e importanti) tendiamo a usare i servizi meno pregiati, mentre quelli pregiati vengono riservati, non so, ai parenti snob che vedi una volta ogni dieci anni e che ti sono anche antipatici, al collega importante davanti a cui non sfigurare o a persone che non si conoscono bene. Non è un grosso controsenso?
NOOOOOOOOO!!!!!!!
Pubblicato: 13 febbraio 2010 Archiviato in: crudeltà, desperate housewife, tv 10 commenti
È vero che l’ultima puntata si era conclusa con la suddetta Edie che giaceva per strada fulminata da un cavo della luce in una pozza di benzina e con una contusione cranica, ma è anche vero che nella scorsa stagione si era impiccata per sbaglio e nonostante la mancanza di ossigeno e il collo torto, dopo un po’ di degenza ospedaliera era tornata più smagliante che mai; non succede sempre così, nei telefilm e nelle soap? Un po’ d’ospedale, magari anche un po’ di coma, poi esci come nuovo. E invece Edie c’è rimasta secca, e definitivamente. Le altre casalinghe hanno diligentemente cosparso le sue ceneri in tutto il quartiere: un po’ nei loro giardini, un pochino sulle rose a lato della strada, poi sulla veranda dove chiacchieravano prendendo un tè, così, per averla vicina. E poi tutto è continuato come se niente fosse. Ma a me Edie mancherà tantissimo. Uffi! Lei era uno dei motivi per cui amavo/amo le Desperate Housewives… be’, è la prima volta che mi affeziono così tanto a un personaggio di fiction, bravi gli sceneggiatori ma cattivi e crudeli. Fine dello sfogo.
Siamo in tanti
Pubblicato: 17 dicembre 2009 Archiviato in: casa nuova, desperate housewife, libri 10 commentiQuando l’anno scorso cercavo casa, ho dovuto rinunciare ad appartamenti troppo piccoli, per una questione molto semplice: oltre a me, in casa dovevano starci anche i miei libri. Quando, all’agente immobiliare che trovava che il tale bugigattolo per me andasse benissimo, io spiegavo che non ci avrei dovuto vivere solo io ma anche i miei libri, questa affermazione in genere suscitava una supponente ilarità o veniva presa per uno scherzo. Ma io ero serissima. In realtà, la prima cosa che facevo entrando in un appartamento era scrutare pareti e spazi disponibili per i miei libri, prima ancora di controllare impianti o infissi (diciamo che poi ne ho pagato le conseguenze e la prossima volta starò più attenta a tutto).
In seguito, parlando con amici e conoscenti, mi sono resa conto che per persone non abituate a leggere o comunque a possedere libri (magari li leggono tramite biblioteca), non è affatto facile capire che i libri – soprattutto se tanti – costituiscono una effettiva presenza fisica, che ti obbliga a prenderli in considerazione come priorità nel pensare e organizzare gli spazi. Ammetto che a volte, pur amandoli, possono perfino trasmettere una certa angoscia: li vedi espandersi motu proprio, colonizzare spazi e, in preda a una strana forma di dissociazione, ti chiedi: ma da dove vengono? Come ho potuto senza accorgermene accumularne così tanti? Cosa vogliono da me questi qui?
Se poi, oltre ai libri, hai la sventura di leggere fumetti, ti si apre il baratro: finché si tratta di graphic novel in uno o due volumi, passi; il problema è rappresentato dai fumetti seriali. Mensili o bimestrali che siano, essi sono destinati ad aumentare a ritmo esponenziale; si estendono inesorabili sugli scaffali e tu cominci a calcolare a quali serie puoi rinunciare, o quali degradare mettendole in cantina.
Insomma, è una lotta impari che ogni lettore deve condurre per tutta la vita. Ma è una battaglia nella quale perdere è piacevole.
Non so se mi provoca più invidia o più spavento (credo più spavento) avere saputo di un noto docente bolognese il quale, per sistemare tutti i libri che possiede, vive in affitto con sua moglie in un appartamento pieno di libri e ne possiede ben altri tre, comprati unicamente per contenervi libri, riviste e fumetti, che ha accumulato per anni e anni da quando era piccolo (e non sto parlando di un mero collezionista di quelli che non leggono i libri; no, lui li ha letti e riletti tutti, e ancora ne accumula, legge, memorizza, disserta, con mio sommo piacere).
Ma, tornando a me, annuncio la mia contentezza perché nei prossimi giorni Attilio il falegname verrà a montare metri e metri di mensole, scaffalature e librerie nella mia casetta nuova. Il disimpegno tra il salotto e la camera da letto sarà interamente ricoperto da libri, da terra fino al soffitto (alto tre metri). Ogni stanza conterrà almeno una libreria. Perfino la cucina ospiterà una graziosa librerietta rossa (in cui sistemare libri di cucina e i miei manuali di hobbistica e bricolage) e – che dire – temevo di non riuscire a portare subito tutti i miei libri nella casa nuova, invece sapere che potremo traslocare subito tutti insieme contemporaneamente, io e loro (anzi, loro qualche giorno prima di me), mi dà un’energia formidabile che mi sosterrà nel riempire e trasportare decine di scatoloni su per tre piani di scale. La sola idea di poter disporre i libri uno per uno sugli scaffali e sulle nuove librerie, dando loro quell’ordine (per genere e autore) che finora non ho potuto imprimergli – dato che, col loro aumentare, sono stata costretta a lasciarli vivere allo stato brado sui miei scaffali – mi euforizza. Loro sono la mia coperta di Linus, quella protezione che ti porti dietro per affrontare il Nuovo, e non potrei proprio farne a meno in un’occasione come questa. So che mi capite!