Il cimelio imbronciato
Pubblicato: 16 dicembre 2011 Archiviato in: calamità ilariesche, casa nuova, figuracce, tv 12 commentiDue anni fa, proprio nel periodo in cui sia io sia mio cugino di Milano stavamo mettendo su casa partendo da zero, mia nonna, malata da tempo, è morta. Questo ha fatto sì che, anziché doverci indebitare per arredare le rispettive case con mobili dell’Ikea (be’, parecchia Ikea in casa mia c’è lo stesso, eh?), io e mio cugino ci siamo divisi equamente i mobili e gli elettrodomestici di nostra nonna, con grande commozione perché era come se la nonna – che era una di quelle classiche nonne (e donne) che vivono tutta la loro vita nel dono inesausto di sé alla famiglia – fino alla fine e anche oltre si fosse preoccupata di farci un ultimo dono, e proprio mentre ci apprestavamo a involarci verso una fase così importante nella nostra vita: la nostra indipendenza, l’uscita dalla casa di famiglia e l’inizio di una nuova vita con le nostre ali. Per me, ritrovarmi io nella mia casa tutta nuova, attorniata dai mobili della nonna che mi trasmettevano tutti i ricordi dell’infanzia e del suo amore sicuro, è stato come sentirmi accompagnata da lei in quella mia nuova vita sconosciuta.
E fin qui, la poesia.
Venendo alla prosa, tra le cose da me ereditate c’è il vecchio televisore della nonna, un Panasonic bello grande che a casa di nonna e prozia aveva sempre svolto il suo onorato servizio ma che, poco dopo essere approdato in casa mia – cioè esattamente dopo che avevo rischiato di perdere il senno per riuscire a collegargli il decoder del malefico digitale terrestre, il lettore dvd e il videoregistratore (sì, non toglietemi il caro vecchio vhs!) lanciando anche appelli disperati da questo blog – ha deciso di manifestare la sua nostalgia per la vecchia casa e la sua ribellione verso la sua nuova proprietaria incurvando entrambi i lati dello schermo verso il centro in un broncio perenne, questo:
Dopo avere pazientato parecchi giorni per vedere se tornava normale, pur empatizzando con le ragioni della sua ostilità ho fatto quel che si deve fare di fronte alla ribellione di un elettrodomestico e cioè ho chiamato il Tecnico. Il giorno stabilito, ben due tecnici sono saliti a piedi fino al mio appartamento al terzo piano, col loro carrellino porta-tv e la faccia seria. Alla loro richiesta di accendere il televisore per verificare il problema (che avevo già descritto ampiamente a voce, sottolineando come quella fosse una condizione costante: da quando aveva messo quel broncio non lo aveva mai mai sospeso neppure per un attimo), l’ho acceso e ovviamente cosa credete che sia successo? Quello gnorri del mio televisore, sotto lo sguardo dei due tecnici, ha sfoggiato un aspetto ineccepibile, le immagini si vedevano a schermo pieno e senza l’ombra di una curvatura o un cedimento. Nonostante io abbia insistito nello spegnerlo e riaccenderlo più volte, quello è rimasto saldo nella sua imperturbabilità, mentre i tecnici cominciavano a sospettare che fossi io a non essere tanto a posto.
– Be’, signorina… dovremmo portarlo in negozio, facendo tutti questi piani di scale a piedi, aprirlo e vedere se c’è un guasto, e non sembra che ci sia… ma in ogni caso le verrebbe a costare sugli 80 euro. A questo punto, già che c’è, le converrebbe acquistare un televisore nuovo, di quelli a schermo piatto, col digitale integrato… con blablabla –
Mentre parlavano, tante rotelline frullavano nella mia testa: 80 euro è troppo per me che la tv la guardo pochissimo… comprarne uno nuovo non se ne parla proprio… e poi il mio videoregistratore dopo dove lo attacco? E poi, dopo tutta la fatica fatta per collegare il decoder, rismontare tutto… NONONO!
E così, i due tecnici se ne sono tornati in negozio col loro carrellino vuoto e, inutile dirlo, non appena ho sentito sbattere il portone del condominio dopo la loro uscita, i lati dello schermo del mio tv sono tornati curvi verso il centro e da lì non si sono più mossi.
– E va bene, vecchio testardo, l’hai avuta vinta tu! –, ho dovuto riconoscergli.
E così da un anno e mezzo, io vedo la tv con questi due bordi incurvati verso il centro, che lasciano vuoto questo spazio nero ai lati e che deformano anche un po’ le immagini sullo schermo, per es. i volti risultano allungati. Mi ci sono così abituata che l’altra sera, quando ero a cena dai miei genitori e guardavo la loro tv accesa, continuavo a pensare: Ma questa tv non funziona bene; Carlo Conti è più lungo e magro di così; c’è qualcosa che non va. Fino a che non mi sono resa conto che la loro tv funziona benissimo, è la mia che è sbagliata. Quando definitivamente morirà e arriverà il momento di cambiarla sul serio, sarà dura riabituarsi alla tv come la vedono tutti!
Tappe di una migrazione forzata, avventurosa, divertente, entusiasmante
Pubblicato: 17 novembre 2011 Archiviato in: casa nuova 8 commentiEra una tranquilla, pigra, serata di novembre – il 9, per la precisione – e io stavo facendo un giretto nel web in attesa di andare a dormire quando ricevo sulla home page di facebook un allarmante aggiornamento da parte di Lucyette, amica blogger splinderiana e amica di facebook: gira voce che Splinder stia per chiudere, probabilmente una bufala ma non sarà meglio mettere in salvo i nostri blog? La serata da noiosa diventa improvvisamente adrenalinica: con Lucyette in testa a fare da apripista e a guidare la trasmigrazione, io e altre “blogger facebookiane” cominciamo a darci da fare per salvare i nostri rispettivi blog, facendo le ore piccole, confrontandoci con scambi serrati di istruzioni, come se non ci fosse un domani benché la data dell’Apocalisse splinderiana sia prevista per il 24 novembre. Alla fine, nonostante gravi ostacoli posti dal “formato dell’ora”, riusciamo tutte in qualche modo a esportare i nostri blog su iobloggo, mettiamo un template a caso e ci diamo la buonanotte soddisfatte.
Durante la notte sogno il mio blog e al mattino comincio a mettere in allarme tramite messaggi privati gli amici blogger splinderiani; quasi tutti sono già stati allertati e quei pochi che se ne stavano tranquilli a vivere la loro vita spensierata vengono inesorabilmente raggiunti dal passaparola e cadono nel panico. La Terra Promessa resta ancora iobloggo in quanto il passaggio è comodo, anche se come piattaforma sembra traballante quasi come splinder. Elargisco comunque istruzioni ad hoc a chi ne ha bisogno tra i miei contatti e l’esodo funziona.
Ma quello stesso pomeriggio, sempre la nostra indomita Lucyette, in procinto di uscire per fare commissioni, decide invece così su due piedi di tentare il Grande Passo, quello che fino a quel momento era vagheggiato dai più ma come un’ambizione troppo difficile da realizzare: il trasferimento di tutto il blog su wordpress. Sempre supportata moralmente – ma con ben poca efficacia pratica – da noi amici di facebook (ragazzi, io non amo molto facebook, ma questa è stata forse l’unica volta in cui si è rivelato veramente utile e anche divertente) Lucyette si è lanciata in installazioni in locale, attivazioni di plugin, lettura di file illeggibili… le ore passavano e le sue sorti restavano appese a un filo, e noi con lei. Si susseguivano momenti di esaltazione e abissi di delusione; per ben due volte si è esultato per la meta raggiunta, ma la meta non era ancora stata realmente conquistata. A sbloccare la situazione e a salvare Lucyette è stato l’ormai mitico Anthony del supporto tecnico di wordpress che, contattato dalla nostra ormai esasperata blogger, è intervenuto dalla lontana America per sistemare le cose.
A quel punto la nostra Lucy, entrata nel mondo wordpress (un mondo in cui il Supporto Tecnico non è una pura entità astratta e inarrivabile ma esiste, risponde e risolve i problemi nel giro di due ore), si guarda intorno, comincia a prendere possesso del territorio e contagia col suo entusiasmo chiunque, compreso chi, come me, aveva escluso di poter mai riuscire con le sue sole forze a compiere una simile impresa. Arrivano poi le istruzioni di Viviana a facilitare il tutto, e insomma eccomi qua, ci son riuscita anch’io. Ce l’ho fatta e penso che anche voi abbiate provato la mia stessa emozione e soddisfazione nel ritrovare, dopo fatica e patemi (tutte le procedure sconosciute col pc mi mettono ansia!), il vostro blog tutto trasportato qui, su questa bella e solida piattaforma, che all’inizio sembra un po’ fredda, un po’ rigida, ma è solo questione di scoprirne tutte le funzionalità e arrivare a padroneggiarle, penso.
[Diciamo anche che dopo avere impiegato due giorni di vita a smanettare al pc come un’ossessa mi aspetto che WordPress sia una piattaforma eterna.]
Come scritto nel mio lontano, penultimo, post, avevo già in mente da tempo di emigrare qui, avevo già aperto il mio account e sperimentato un po’ in questi mesi, ma non riuscivo a ripartire da zero lasciando il mio “Ali d’argento” su splinder; e al tempo stesso non riuscivo più a scrivere lì perché mi sentivo stretta, col desiderio di cambiare aria. La mia vita è cambiata tanto in questo anno e mezzo e sentivo di dover cambiare anche casa per il mio blog. Perciò benedico questa presunta chiusura di Splinder: vera o falsa che sia, mi ha costretta comunque a spostarmi e a compiere il salto. E proprio mentre rischiavo di perdere il mio blog mi sono resa conto di quanto gli sono affezionata; tutta quella fibrillazione, giorni spesi a salvarlo e ad aiutare altri blogger a salvare il loro, mi ha sbloccata finalmente e dunque ok, ci sono, il mio volo riparte da qui ed è bello essere di nuovo tutti sulla stessa piattaforma!
Resto in trepidante attesa del 24 novembre: sono curiosa di vedere cosa succederà. Si rivelerà essere un giorno come gli altri o vedremo dissolversi nel nulla i nostri blog d’origine?
Evasore per una notte
Pubblicato: 13 settembre 2010 Archiviato in: calamità ilariesche, casa nuova, figuracce 9 commentiCerte cose non si dovrebbero fare la domenica sera quando tutti gli uffici sono chiusi e non puoi chiedere informazioni, lo so; eppure, benché mi avessero detto che la scadenza era il 20 gennaio 2011, ieri sera prima di andare a letto mi è venuto lo sghiribizzo di preparare i documenti per la tarsu (sì, la tassa dei rifiuti, siam sempre lì): sono andata sul sito del comune per scaricare l’apposito modulo con l’intenzione di compilarlo per poi inviarlo via fax al mattino dopo e togliermi il pensiero. Ma qui mi è caduto l’occhio al link delle F.A.Q., l’ho cliccato, ho letto e… mi è venuto un colpo! Da quel che ho letto si evinceva che, avendo io attivato le utenze di luce e gas nel 2009, anche se mi sono trasferita effettivamente nel 2010 avrei dovuto presentare la denuncia all’ufficio entrate entro il gennaio 2010, non 2011!
– Omioddio sono un evasore fiscale! –, ho esclamato con disperazione. Un evasore fiscale!, continuavo a ripetermi mentre maledicevo la mia idea di controllare i moduli delle tasse a mezzanotte e trangugiavo un boccetto di melissa per tentare di calmarmi. Mentre cercavo di addormentarmi nonostante mi si fosse trasferito fastidiosamente il cuore nella pancia, mi venivano in mente tutte le facce di quei brutti ceffi truffatori a vario titolo (cricca&C.) che vediamo nei vari tg e provavo un tale senso di vergogna all’idea di poter essere assimilata a loro, anche se solo per una piccola tarsu! Non vedevo l’ora che fosse mattina per chiarire la faccenda con l’ufficio entrate e nel frattempo mi sentivo come Snoopy quando, non riuscendo a dormire la notte per essere stato deferito al grande Bracchetto (temibile quanto indefinita massima autorità canina) davanti a cui avrebbe dovuto presentarsi il giorno dopo, esclama:
– Quando ti sta per succedere qualcosa di brutto, non dovrebbe esserci una notte, prima…–. Santissima verità.
Finalmente mi sono addormentata e ho dormito il sonno del colpevole, costellato di case fuori norma, poliziotti e carcere, con io che gridavo inascoltata: – Ero in buona fede! –.
Stamattina alle otto e trenta ho finalmente potuto parlare con l’ufficio delle entrate e ho spiegato il mio caso; mi è stato risposto che basterà presentare il modulo entro il 2011 come previsto ma specificando che il locale era a disposizione dal giugno 2009: per quei sei mesi “fuori legge” pagherò una semplice mora del 10%.
– Quindi io non risulto un evasore fiscale ma solo un’ignorante e una sprovveduta in buona fede? –, ho chiesto alla gentile impiegata.
– Esatto, proprio così! –, mi ha rassicurata lei.
P.S.: ciò che resta inevasa è però la seguente domanda: qual è il femminile di “evasore”?
Il mio punto debole
Pubblicato: 31 Maggio 2010 Archiviato in: calamità ilariesche, casa nuova, desperate housewife, figuracce 12 commentiAmici, li vedete questi splendidi fiori (li ho fotografati stamattina, ieri erano ancora più belli!)? Belli, vero? Sono i primi fiori che hanno allietato la mia nuova casa; che emozione ho provato quando ho aperto la porta e ho visto l’amico che aspettavo con quel mazzo di fiori in mano. E sapete come l’ho ricambiato? Con un pranzo carbonizzato! Ma procediamo con ordine: per mia mamma invitare persone in casa è sempre stato uno stress e una preoccupazione, perché anche se si tratta di amici lei deve per forza avere la casa perfetta (e basta una goccia sul pavimento per non renderla più tale), avere preparato cibi raffinati da servire in servizi preziosi e così via; la forma domina sulla sostanza (la bellezza di accogliere una persona cara) e di conseguenza in casa nostra non è mai venuto nessuno se non eccezionalmente. Ciò non toglie che io e mia sorella potessimo invitare gli amici, certo, ma a che prezzo? Il clima di “ansia da ospite” si creava lo stesso [“Devi offrire la merenda!”, “In sala c’è disordine! Poi lo vanno a raccontare in giro” (sì, sicuramente!)], e il risultato è che fin da piccola ho sempre invitato pochissime persone, e stando sempre sulle spine. Quando invece ho vissuto fuori casa, ho sempre invitato con gran piacere, e ora che ho definitivamente un nido mio – e considerando anche che stare sempre sola mi rattristerebbe – ricevo spesso amici. C’è un’unica nota dolente in tutto ciò: il mangiare. Se si invitano amici che poi restano a pranzo o a cena – e in genere è così – qualcosa da fargli mettere sotto i denti devi pur rimediarlo. Non è che non sappia cucinare, se per cucinare intendiamo la cucina-base che serve per vivere. Ma vuoi dare a un ospite una misera bistecchina o un uovo sodo? No, dai, almeno la prima volta che l’inviti, no! Finora ho biecamente ovviato al problema ricorrendo a pizzeria o rosticceria sotto casa. Ma questo amico che è venuto ieri, per come lo conosco, ho pensato che avrebbe preferito un cattivo pranzo preparato con le mie mani a un manicaretto preparato dal rosticciere. E così ho preparato una cosa che di solito mi viene bene, e invece – causa ansia da prestazione – mi è venuta male, cioè meno gustosa e saporita del solito. Ma passi anche questo. Il fatto è che, al momento del pranzo, mentre ho messo la già poco invitante pietanza nel forno per riscaldarla (l’avevo cucinata la mattina presto), mi son messa a chiacchierare con l’amico, e raccontavo, raccontavo, raccontavo… e intanto il mio pranzo si abbrustoliva, bruciava, si carbonizzava ben bene. Quando me ne sono ricordata, era tutto bello nero! Era da piangere, ma francamente anche da ridere! E l’amico? Stoicamente, se l’è mangiato lo stesso, senza neanche togliere la parte superiore carbonizzata. La vera amicizia si vede anche da queste cose… Inoltre, confusa e mortificata com’ero per il pranzo bruciato, alla fine mi son pure dimenticata di offrire il mio “pezzo forte”: il caffè! Me ne sono ricordata alle diciotto, quando ormai l’amico era già in autostrada di ritorno a Verona – la sua città – col mio pranzo carbonizzato sullo stomaco.
A parte questo “piccolo” disguido, tutto il resto è andato benissimo: chiacchiere, tour guidato del quartiere Savena con camminata salutare, e sorrisi. Se passate da Bologna e vi va di venirmi a trovare, ditemelo pure; vi prometto che finché non imparerò a cucinare, ricorrerò alla vecchia fidata rosticceria sotto casa e i vostri palati saranno salvi.
Salvatemi…
Pubblicato: 7 Maggio 2010 Archiviato in: calamità ilariesche, casa nuova, desperate housewife 16 commentiMi sono iscritta al sito della casalinga ideale… e mi piace pure… è grave? Mi sono anche un po’ entusiasmata a leggere le istruzioni della lavatrice nuova – per non parlare dell’eccitazione del primo ciclo di lavaggio…– e nei giorni scorsi, quando ancora dovevo sceglierne una e acquistarla, ero così ossessionata da questa faccenda (non essendo un’intenditrice né di lavatrici né di cose domestiche) che, entrata al bar per prendere un caffè, ho chiesto alla barista, che fortunatamente mi conosce e non si è minimamente scomposta:
– Ciao, vorrei una lavatrice –, mentre invece volevo solo un caffè.
Si parte
Pubblicato: 28 aprile 2010 Archiviato in: calamità ilariesche, casa nuova 13 commentiÈ andato tutto bene! Strano ma vero, il signore della telecom è venuto in anticipo di una settimana e funziona tutto. Questo è il primo post che scrivo da casa nuova, e ora che scrivo qui mi sto accorgendo di quanto questo appartamento è silenzioso, proprio come immaginavo quando l’ho scelto; dà su una stradina non di passaggio, tranquilla, non odo motori, l’unico rumore che sento è quello dei tasti schiacciati per scrivere, un silenzio rotto ogni tanto da alcuni uccellini che hanno qualcosa da dirsi. Ora dopo tanti mesi in cui questa casa è stata “la casaccia”, prima con parti sventrate da lavori di ristrutturazione e conseguente polvere e calcinacci e affollamento di uomini al lavoro, poi spoglia, solo piena di scatoloni di libri e mobili da ordinare e infine con tutte le varie ultime cose da sistemare (e qualcosina ancora manca, ma ci stiamo lavorando), sta finalmente diventando “la mia casina”, insomma ci siamo un po’ studiate e date vicendevolmente fastidio ma ora sembra che stiamo cominciando a collaborare, io e lei. Ancora mi sento un po’ guardinga perché devo confessare che psicologicamente ho fatto molta fatica ad abbandonare casa dei miei; non è stata la prima volta che ne sono uscita ma in fondo l’altra volta non era stato niente di troppo definitivo, tant’è che per laurearmi sono tornata. Ora invece è la fine, e un nuovo inizio. Credo che a mettermi in crisi sia stata l’impiegata dell’anagrafe quando sono andata a cambiare residenza; io la vedevo come una semplice formalità, invece lei ha detto: “Ah, non è un semplice trasferimento, tu disgreghi un nucleo familiare, quindi i tempi saranno un po’ più lunghi”. Ecco, quel linguaggio tecnico-burocratico (disgregare un nucleo familiare) mi ha colpita, mi ha fatto cadere sulla testa la responsabilità di quello che stavo facendo. Mi dispiace disgregare le cose, ecco; ma in fondo vivere è perdere pezzi, o acquistarne altri e metterli insieme magari anche un po’ storti, e così… eccomi qui. Vediamo che cosa combinerò. Se forse a volte mi sentirete un po’ strana è perché ho bisogno di assestarmi, ma comunque intanto… si parte!
Il problema del servizio inservibile
Pubblicato: 9 marzo 2010 Archiviato in: casa nuova, desperate housewife, storie di famiglia, umorismo 9 commentiMia nonna e sua sorella hanno passato tutta la vita ad accumulare oggetti preziosi di vario tipo per gli eredi. Ora che entrambe non ci sono più, gli eredi hanno provveduto a un’estenuante spartizione – estenuante a causa del tempo da devolvere alla causa per via della quantità di oggetti, ma svolta in grande armonia – e ora io mi ritrovo con vari servizi di piatti. Due interi mobili del salotto sono ormai intasati di vassoi, tazzine e piatti preziosi. Solo che mi è stata fatta una testa così sui servizi ereditati, al punto che ormai ho paura solo a guardarli.
C’è il Servizio del Castello, che risale a quando i miei vivevano appunto in un castello, che poi hanno perso dopo la guerra; questo servizio di piatti è antichissimo e in realtà non serve a niente: il suo unico scopo consiste nel venire tramandato di generazione in generazione fino alla fine dei tempi. Così quando verrà l’Apocalisse e ogni umano verrà spazzato via, il nostro servizio di piatti sarà comunque presente all’evento. Poi c’è il Servizio Prezioso: questo servizio di piatti in fine porcellana sembrerebbe un po’ più accessibile, ma è da riservare agli ospiti particolarmente di riguardo, tipo la regina d’Inghilterra (che però dubito verrà mai a casa mia; ma vallo a spiegare a mia madre), quindi anche questo lo vedo poco fruibile. Infine c’è il Servizio Bello, che è quello che usavamo per i pranzi di Natale e Pasqua, al quale sono affezionata: questo lo userò per amici e ospiti; in realtà – dato che più che Bello mi sembra Simpatico – inizialmente pensavo di usarlo anche per mangiarci io stessa tutti i giorni; alla fine chi sono io? Un cane? Anche io avrò diritto di mangiare con delle stoviglie dignitose. Ma quando en passant ho espresso questa mia intenzione, ho visto mia madre manifestare i primi sintomi di un attacco di cuore e quindi mi è venuto lo scrupolo e ho deciso che non lo userò tutti i giorni, ma la domenica (o in qualche altro giorno speciale) sì; anche se sarò da sola. Ed è così che ho realizzato che pur avendo una casa piena di piatti e piattini, non ho un piatto in cui mangiare. Mi rifiuto infatti di considerare adatti all’uopo quel po’ di piatti spaiati, sbeccati e usurati dal tempo che mia mamma mi ha passato riesumandoli tra gli scarti di casa. Onde per cui, stamattina ho inforcato la bici e mi sono recata al centro commerciale; impresa ardua perché era in corso l’ennesima bufera di neve, e per giunta, per variare un po’, oggi la neve non scendeva in verticale ma, sospinta da violente raffiche di vento, percorreva un tragitto orizzontale grazie al quale mi si ficcavano fiocchi negli occhi e nel naso. Ciononostante, ne è valsa la pena: al Conad ho trovato un bel servizietto di otto piatti, quattro fondi e quattro lisci, bianchi con una fantasia arancione e gialla sul bordo: costavano solo 6 euro (!!!) e me ne sono subito impossessata. Il colore e la fantasia mi piacciono e, in barba a tutti i servizi e servizioni che posseggo, me ne sono tornata a casa felice come una Pasqua: ora ho i miei piatti di tutti i giorni e mi sembrano bellissimi! Proprio perché mi piacciono, ci farò mangiare anche i miei amici intimi, e qui ho realizzato il paradosso: per noi stessi e per gli amici intimi (cioè quelli che sono “di casa”, e quindi i più preziosi e importanti) tendiamo a usare i servizi meno pregiati, mentre quelli pregiati vengono riservati, non so, ai parenti snob che vedi una volta ogni dieci anni e che ti sono anche antipatici, al collega importante davanti a cui non sfigurare o a persone che non si conoscono bene. Non è un grosso controsenso?
Buon Natale!
Pubblicato: 24 dicembre 2009 Archiviato in: casa nuova, felicità 15 commentiBuon Natale!
Cari amici, con questo post voglio farvi ovviamente gli auguri di Natale. Per me questo Natale è uno dei più strani della mia vita. È il primo Natale senza andare a Piacenza, perché là non c’è più nessuno con cui festeggiare. È un Natale in cui, anziché rallentare, vado più di fretta del solito, dato che sto traslocando e passo tutto il tempo indaffarata a pulire casa, inscatolare oggetti e sistemare mobili, in lotta contro il tempo (pensate che proprio oggi mi è arrivata la cucina!). È un Natale che non dimenticherò perché conclude un anno tristissimo e felicissimo al tempo stesso, in cui ho provato una vera carambola di emozioni in un altalenare continuo e tutto sommato bello. In questi giorni, poi, mi sono sentita travolta dall’affetto di amicizie autentiche: il mio migliore amico che ha passato giorni e giorni a faticare con me nella casa nuova e che oggi ha inaugurato la mia nuova buchetta delle lettere spedendomi un biglietto affettuoso; la mia amica del cuore che mi ha annunciato a notte fonda di avere perso il lavoro ma è contenta perché così potremo vederci più spesso (se non è una dichiarazione d’amicizia questa!); la telefonata di chi con pazienza aspetta il momento in cui potremo finalmente rivederci… Provo una profonda gratitudine per ciò che ho, insomma. Stamattina mentre pulivo infissi e intanto chiacchieravo con gli operai che mi montavano la tanto agognata cucina (uno dei quali compiva gli anni oggi, come me) mi sono sentita travolgere da ondate di pura gioia, non per la cucina, ma per com’è bello vivere anche quando non è tutto perfetto, perché stanotte mi attende una calda ed entusiasmante cerimonia in chiesa che mi ricorda che una grande speranza e gioia sorregge tutti noi, perché ho scambiato tanti auguri con i miei nuovi vicini,a cui credo di essere simpatica, perché ho tanti progetti in mente e voglio essere felice già ora del futuro che mi costruirò. E perché poi, a pranzo, sono stata festeggiata, ho ricevuto in regalo per il compleanno il nuovo cd di Battiato (che, ascoltandolo, ha ulteriormente amplificato la gioia che già provavo) e ho ascoltato mia mamma rievocare in tutti i minimi dettagli – come se fosse accaduto ieri – l’episodio della mia nascita e i giorni successivi. Mi ha commossa vedere che si ricorda tutto precisissimamente, ogni istante le è rimasto scolpito nella testa. Aggiungiamoci pure che – è vero – a Piacenza non ho più una nonna che mi aspetta con un piatto di anolini in brodo fatti in casa, ma due notti fa, dopo aver riletto in lacrime una sua lettera, l’ho sognata… e anche se so che è solo il mio inconscio, è stato bellissimo lo stesso, perché nel sogno era proprio lei, col suo sguardo, il suo tono di voce, il suo modo di sorridere, e quando le ho chiesto dov’era e come stava, lei mi ha preso le mani, mi ha guardata negli occhi e mi ha detto: “Non piango più, non piango più. Sono sempre felice!”. Ecco, anch’io sono felice. Non posso che augurare lo stesso anche a voi, scusate se ho scritto un post un po’ confuso, di getto, ma vorrei anche vedere che non si sia un po’ sconclusionati quando il cuore ti scoppia di gioia. Merito del Natale? Non so, ma di certo non è Natale se non ci si accorge che le cose più belle in fondo sono sempre con noi, nell’affetto di un amico, nel sorriso stanco di un genitore, nelle cose di cui abbiamo cura, nel ricordo di chi magari non c’è più ma ci ha aiutato a essere così come siamo.
Buon Natale a chi passa di qui e ai miei amici e amiche blogger!
Siamo in tanti
Pubblicato: 17 dicembre 2009 Archiviato in: casa nuova, desperate housewife, libri 10 commentiQuando l’anno scorso cercavo casa, ho dovuto rinunciare ad appartamenti troppo piccoli, per una questione molto semplice: oltre a me, in casa dovevano starci anche i miei libri. Quando, all’agente immobiliare che trovava che il tale bugigattolo per me andasse benissimo, io spiegavo che non ci avrei dovuto vivere solo io ma anche i miei libri, questa affermazione in genere suscitava una supponente ilarità o veniva presa per uno scherzo. Ma io ero serissima. In realtà, la prima cosa che facevo entrando in un appartamento era scrutare pareti e spazi disponibili per i miei libri, prima ancora di controllare impianti o infissi (diciamo che poi ne ho pagato le conseguenze e la prossima volta starò più attenta a tutto).
In seguito, parlando con amici e conoscenti, mi sono resa conto che per persone non abituate a leggere o comunque a possedere libri (magari li leggono tramite biblioteca), non è affatto facile capire che i libri – soprattutto se tanti – costituiscono una effettiva presenza fisica, che ti obbliga a prenderli in considerazione come priorità nel pensare e organizzare gli spazi. Ammetto che a volte, pur amandoli, possono perfino trasmettere una certa angoscia: li vedi espandersi motu proprio, colonizzare spazi e, in preda a una strana forma di dissociazione, ti chiedi: ma da dove vengono? Come ho potuto senza accorgermene accumularne così tanti? Cosa vogliono da me questi qui?
Se poi, oltre ai libri, hai la sventura di leggere fumetti, ti si apre il baratro: finché si tratta di graphic novel in uno o due volumi, passi; il problema è rappresentato dai fumetti seriali. Mensili o bimestrali che siano, essi sono destinati ad aumentare a ritmo esponenziale; si estendono inesorabili sugli scaffali e tu cominci a calcolare a quali serie puoi rinunciare, o quali degradare mettendole in cantina.
Insomma, è una lotta impari che ogni lettore deve condurre per tutta la vita. Ma è una battaglia nella quale perdere è piacevole.
Non so se mi provoca più invidia o più spavento (credo più spavento) avere saputo di un noto docente bolognese il quale, per sistemare tutti i libri che possiede, vive in affitto con sua moglie in un appartamento pieno di libri e ne possiede ben altri tre, comprati unicamente per contenervi libri, riviste e fumetti, che ha accumulato per anni e anni da quando era piccolo (e non sto parlando di un mero collezionista di quelli che non leggono i libri; no, lui li ha letti e riletti tutti, e ancora ne accumula, legge, memorizza, disserta, con mio sommo piacere).
Ma, tornando a me, annuncio la mia contentezza perché nei prossimi giorni Attilio il falegname verrà a montare metri e metri di mensole, scaffalature e librerie nella mia casetta nuova. Il disimpegno tra il salotto e la camera da letto sarà interamente ricoperto da libri, da terra fino al soffitto (alto tre metri). Ogni stanza conterrà almeno una libreria. Perfino la cucina ospiterà una graziosa librerietta rossa (in cui sistemare libri di cucina e i miei manuali di hobbistica e bricolage) e – che dire – temevo di non riuscire a portare subito tutti i miei libri nella casa nuova, invece sapere che potremo traslocare subito tutti insieme contemporaneamente, io e loro (anzi, loro qualche giorno prima di me), mi dà un’energia formidabile che mi sosterrà nel riempire e trasportare decine di scatoloni su per tre piani di scale. La sola idea di poter disporre i libri uno per uno sugli scaffali e sulle nuove librerie, dando loro quell’ordine (per genere e autore) che finora non ho potuto imprimergli – dato che, col loro aumentare, sono stata costretta a lasciarli vivere allo stato brado sui miei scaffali – mi euforizza. Loro sono la mia coperta di Linus, quella protezione che ti porti dietro per affrontare il Nuovo, e non potrei proprio farne a meno in un’occasione come questa. So che mi capite!
La chiave di Barbablù
Pubblicato: 6 dicembre 2009 Archiviato in: casa nuova, felicità, malanni | Tags: solitudine, spleen 9 commentiFinora andare a vivere da sola si sta rivelando solo una immensa fonte di spese, perdite di tempo, stress e seccature. La casa è come la chiave di Barbablù: non è mai pronta e a volte penso che non lo sarà mai, mentre soldi e tempo in particolare non sono più sotto il mio controllo e questa cosa mi fa impazzire (presente quel fastidioso pizzicorino al cervello?). Sono reduce da una decina di giorni intensi, durante i quali non sono riuscita ad aprire un libro. Credo che l’ultima volta che non ho aperto un libro per così tanto tempo risalga a quando ero ancora analfabeta. E mi è mancato tantissimo. Inguaribilmente ottimista, cerco di dirmi che gli aspetti positivi della vita da single arriveranno più tardi. Ma sinceramente ne dubito. Ne dubito profondamente.
Comunque la bella notizia è la seguente: dopo aver passato un’estenuante domenica a tinteggiare vanamente una casa che non vuole essere tinteggiata, il tutto a digiuno da tre giorni per un esame che dovevo fare, martedì scorso ho fatto il suddetto esame e la diagnosi è che la mia malattia è in remissione! Vi dico solo che la casa mi ha stancata così tanto, fisicamente e mentalmente, che quando martedì sono approdata sul lettino dell’endoscopista, solitamente temuto e aborrito, il mio unico pensiero è stato: “Che bello stare distesi. Adesso mi riposo un po’”. Chi se ne importava se quello intanto mi infilava tubi in organi poco simpatici del corpo: poté più la spossatezza che dieci flebo di valium! E vi assicuro che sentire la parola: remissione; leggere sul referto la parola: remissione; vedere con i miei occhi sul monitor i miei visceri risanati… vale più di cento stupide case da sistemare! Un’isola di felicità in un mare di depressione, ma pur sempre Felicità!