Il rocker che non ti aspetti
Pubblicato: 26 febbraio 2017 Archiviato in: amarcord, camminando, musica | Tags: Acme, Jon Spencer Blues Explosion, momenti clou 9 commentiCuriosando tra i miei cd mi sono imbattuta nel vecchio “Acme” dei Jon Spencer Blues Explosion, l’ho inserito nello stereo ed è partito il ricordo di un mio momento clou. Io a Reggio Emilia per il loro concerto che si sarebbe tenuto proprio quella sera; nel primo pomeriggio ero lì che camminavo per le stradine del centro ‒ deserte perché allora non si chiamava Caronte ma faceva caldo lo stesso e tutti stavano tappati in casa, stile “Mezzogiorno di fuoco” ‒, volto l’angolo e mi trovo davanti Jon Spencer in persona, solo soletto, che aveva avuto la mia stessa idea (era vestito come in questa foto, salvo per il giubbino di jeans che era più scuro). Nel cuore mi è partito un battito in più ma, quando mi è passato accanto, gli ho solo sorriso, neanche fosse un amico di quelli che incontri ogni giorno. All’epoca non c’erano smartphone né diavolerie varie (e se anche fossero esistiti non li avrei usati) ma l’immagine è rimasta nitida nella mia memoria, non tanto per l’avere incontrato il “personaggio”, che non mi cambia niente, ma così, perché il fatto di voltare l’angolo di una stradina di Reggio Emilia e incrociare Jon Spencer mi è sembrato così surreale da risultare simpaticissimo.
A tutta birra
Pubblicato: 11 febbraio 2016 Archiviato in: camminando, persone | Tags: cinquecento, fiat, multa 4 commentiA colpirmi è stato il suo sorriso: gioioso, compiaciuto e un pizzico impertinente. E poi l’automobile che guidava con tanta soddisfazione: una fiat 500 vecchio modello, ancora più minuscola a vedersi, ormai, rispetto ai macchinoni cui siamo abituati e che infatti le incombevano addosso; col suo colore rosso si stagliava nel grigio umido del mattino piovoso. Lei avrà avuto un’ottantina d’anni e anche per questo, mentre con la sua auto sfrecciava via e ancora, poi, ritrovandola poco più in là, ferma al semaforo e scalpitante, lo sguardo teso in avanti e il sorriso sempre fresco in volto, mi tornava in mente mia nonna: stesso spirito gagliardo ma dolce, stesso compiacimento nel fare ciò che le piaceva. Al pensiero di mia nonna mi s’è allargato il cuore e la simpatia verso l’allegra guidatrice è ulteriormente aumentata.
“Buona corsa”, ho augurato dentro me. Per poi ritrovarmi, dopo trecento metri, presso una rotonda, di fronte alla seguente scena: la piccola vettura ferma, affiancata da due vigili, uno dei quali redarguiva l’anziana mentre l’altro compilava un verbale: e la detentrice del sorriso, dell’automobile e dell’impertinenza era ancora lì, ritta in piedi, sempre col sorriso, solo un po’ dispiaciuto; minuta e sottile guardava dal sotto in su i due vigili, sorridenti anch’essi e chiaramente più dispiaciuti di lei.
Così carina, così sequestrabile
Pubblicato: 10 Maggio 2013 Archiviato in: calamità ilariesche, camminando, orrore, politica | Tags: clima d'odio, laura boldrini, maschilismo, strani complimenti 9 commentiIeri pomeriggio camminavo tranquilla per strada, in centro, quando un uomo, col tono affabile da complimento, mi ha apostrofata così: “Stai attenta, ché così carina rischi di essere sequestrata”. Credo di averlo guardato con aria terrorizzata, poiché la mia mente aveva completamente trascurato il “carina” per concentrarsi sul “sequestrata” e – stordita dalla dissonanza cognitiva per cui capivo che mi era stato fatto (nelle intenzioni) un complimento ma che suonava malissimo – lo fissavo chiedendomi: che cavolo ha detto ‘sto qui? Mi ha augurato di venire sequestrata (e orrendamente torturata, poiché è evidente che si riferiva a questo orrore qui)? Mi sta minacciando di sequestrarmi?
Leggendo il terrore nel mio sguardo, l’uomo si è sentito in dovere di precisare: “Era solo per dire che sei bella”.
Per non fare la parte dell’altezzosa o quella della femminista rompiscatole e pedante che non sono, l’ho ringraziato ma, ridendo, a mo’ di battuta gli ho detto: “Be’, la prossima volta è meglio se si ferma alla prima parte del complimento, però, perché la seconda fa paura. Se proprio vuole fare un complimento a una sconosciuta.” Lui si è messo a ridere, mi ha dato ragione e io sono scappata ho proseguito il mio cammino.
Ma quel “complimento” mi è rimasto sul gozzo.
Mi sembra emergere da quello stesso clima violento, sessista e pervasivo al quale appartengono anche le accuse vomitevoli rivolte alla Boldrini (e attorno alle quali è emersa una polemica assurda – tra i cosiddetti difensori della libertà di parola e i suoi presunti censori; come se fosse questo il punto! – che evita accuratamente di entrare nel merito di quegli insulti); gli insulti e le battute a sfondo sessuale che capita costantemente di sentire tra adolescenti in giro, di leggere su internet o per es. alla radio; al quale appartengono le varie uscite razziste e omofobe che leggiamo quotidianamente sui giornali, a volte provenienti anche da uomini politici (vedi certi leghisti contro il ministro Kyenge); fino ad arrivare a ciò che sta dietro a veri e propri reati come gli assassinii di donne (fidanzate, mogli, amanti).
Cosa c’è nella mente di un uomo normalissimo che ascolta al tg un tremendo fatto di cronaca e lo utilizza per fare un complimento con – ne sono sicura – le migliori intenzioni?
In realtà a me sembra (magari però mi sbaglio perché ragiono da donna?) che è quasi come se mi avesse detto: sei bella e allora meriteresti di essere sequestrata (e incatenata e violentata, come le ragazze del fatto di cronaca). Per di più in quello scambio ho avuto come l’impressione che, nelle vesti e coi toni di un gentile dottor Jeckyll, in realtà un perverso Mr. Hide mi stesse comunicando le sue odiose fantasie. Mi è anche tornata in mente una battuta che la mia migliore amica pronunciava sempre quando, da adolescenti, uscivamo tra ragazze e magari qualcuna di noi, salutando le altre e dovendo tornare a casa da sola col buio, esprimeva qualche timore:
“Ma figurati… [brutta come sei] non corri nessun rischio, se incontri un violentatore è lui che scappa”. L’idea è un po’ la stessa al contrario, se ci pensate bene. Infatti, purtroppo, le prime a usare battute sessiste e denigratorie verso le donne sono, spesso, le donne stesse. A dimostrazione che è una questione di cultura in cui siamo immersi, non di genere sessuale di appartenenza. Francamente, non so come se ne esce. L’educazione, la scuola, le iniziative di vario tipo, certo; ma a volte ho l’impressione che siano gocce in mezzo a un mare di melma. E sappiate che sono in genere una tipa molto “sportiva”, abituata a battutacce di tutti i tipi, anche a causa dell’ambiente (un po’ maschilista) che frequento, e di cui rido allegramente; non sono una femminista e tantomeno una “paranoica”… Ma mi sembra che si stia un po’ passando il segno, su tante cose (penso anche al razzismo e all’omofobia dilaganti e in modo spavaldo). Se perfino una “tranquilla” come me comincia a preoccuparsi…
Tra Weimar e il ’43
Pubblicato: 25 novembre 2012 Archiviato in: camminando, persone | Tags: cara prof., primarie pd, senilità 7 commentiPer una qualche coincidenza, tutte le volte che ci sono le Primarie del Pd, dopo avere votato incontro la mia professoressa di lettere delle medie, anche lei di ritorno dal voto. Votiamo in due seggi differenti e non ogni volta allo stesso orario ma ci incontriamo sempre. Anche stamattina è successo così. Dopo la mia mezzoretta di fila tra anziani (o, più che altro, anziane; tant’è che la signora dietro di me se n’è uscita con un: «Ma siam tutte donne! E gli uomini dove sono? Tutti a casa a cucinare?». In realtà stavano di sotto a giocare a bocce e a briscola) me ne sono uscita dal seggio con l’intenzione di godermi una passeggiata nel mio quartiere che in questa stagione dell’anno dà il meglio di sé (è tutto oro, rosso e arancione, grazie alla vegetazione che lo abita) ed ecco che, in fondo al sentiero, vedo da lontano avanzare verso me appunto la mia prof. di lettere delle medie. Rapida occhiata alla mia destra e alla mia sinistra: no way out. E non potevo più tornare indietro perché lei nel frattempo aveva cominciato a salutarmi; incredibile la vista di questa donna ormai anziana; io non ci vedo così neanche con gli occhiali!
Alle medie adoravo questa donna; era il mio modello, la Donna a cui crescendo avrei voluto somigliare, la mamma che non avevo, l’intellettuale che avrei potuto essere, l’integrità e la Virtù fatta persona, insomma sapete come si può idealizzare una persona a 13 anni. Facevo pazzie per farmi notare da lei, ne studiavo i movimenti e durante gli allenamenti di atletica, quando correvo i 100 m, immaginavo che al traguardo ci fosse lei in pericolo e che io l’avrei salvata guadagnandomi la sua eterna ammirazione e gratitudine e anche qualche titolo di giornale. Non so, arrivo a dire che forse in vita mia non ho mai più raggiunto livelli simili di innamoramento per nessun’altra persona. Livelli imbarazzanti, a ripensarci ora.
Be’, il fatto è che – come è normale – man mano che io crescevo lei si è rimpicciolita ai miei occhi. E ciò è cosa buona e giusta. Il fatto è che, però, si è rimpicciolita troppo. Già da alcuni anni, ogni volta che la incontro – e accade abbastanza spesso – mentre, come convenevoli iniziali, la ascolto elencare gli acciacchi suoi e dei suoi familiari per poi ascoltare tutte le lamentazioni sulla degenerazione della società e sull’epoca di decadenza in cui ci tocca vivere, io la scruto chiedendomi dove sia finita – e se ci sia mai stata – tutta quella intelligenza, cultura e saggezza che ammiravo in lei. Perché davvero non può essere solo la vecchiaia ad averla ridotta così: una donnetta tutta casa, supermercato e luoghi comuni (che poi, non è vecchissima; ha sui 70 anni e a vederla gliene si dà anche di meno. Nonostante le sue lamentele, è in forma, sempre in giro, attiva; non immaginatevi una vecchietta coi capelli bianchi, tutt’altro). Forse ci ho visto male fin dall’inizio? Ho dedicato tante energie emotive a una mia fantasia, a una proiezione?
Fatto sta che oggi il nostro inizio di dialogo è stato il seguente:
– Buongiorno, Prof.! Ogni volta che si vota ci incontriamo, eh? Come sta? –
– Eeeehhh… cosa vuoi, alla mia età [elenco di lamentele che vi risparmio]… mio marito [elenco di acciacchi del marito]… Mio nipote [elenco delle traversìe universitarie del nipote in questo mondo ingiusto]… E tu cara come stai? –
– Ah, io sto benissimo, grazie! Pensi che… –
– Insomma, ti difendi. –
– No, non è che mi difendo, Prof., sto proprio BENE! E come le dicevo… –
– Vuoi dire che insomma, sai sopportare gli acciacchi… –
– [Grrrr!!!] Ma quali acciacchi, Prof.! IO GODO DI OTTIMA SALUTE! –
Dopo questa mia dichiarazione di guerra di salute, il discorso si è spostato sulla politica. E anche qui, lei, che ricordavo come colei che ci spronava all’impegno, a essere “potenti ma non prepotenti“, a crederci, a lottare, se ne è partita coi soliti sproloqui che da un po’ di tempo fa sull’argomento: che poveri giovani, e che sistema schifoso, e come se ne esce, e qua distruggono tutto ciò che è istruzione e cultura… cose anche condivisibili ma che espresse coi suoi toni disperati e definitivi non portano da nessuna parte se non alla depressione irreversibile. E il peggio è che non ascolta le riposte.
– Sai, cara, attualmente siamo tra Weimar e il ’43… –
– Confidiamo di saltare al ’45, Prof. –, ho ribattuto rassegnata.
Così ci siamo salutate. E l’autunno attorno a me sembrava avere perso improvvisamente quel meraviglioso oro, vedevo solo il grigio.
Cara Prof., continuo a rispettarti e ti voglio bene; ti sono grata perché mi hai dato tanto – compreso l’amore per lo studio (anche se questo non lo devo solo a te) – sono felice di incontrarti e dell’affetto che provi per me. Ma non voglio più diventare come te. Ora sei un modello, sì, ma da evitare.
Perdermi m’è dolce in questa mappa
Pubblicato: 14 ottobre 2012 Archiviato in: camminando, esperimenti, sport | Tags: leggere cartine, orientamento, orienteering, perdersi 9 commentiLa premessa è che io sono un essere umano sprovvisto di orientamento né mi è mai interessato di migliorare tale lacuna perché vivo benissimo così, come vivevo benissimo miope e senza occhiali. Mi piace perdermi, è il mio modo di muovermi e anche il mio modo di visitare i posti, le città. Anche perché “tutte le strade portano a Roma” è il mio motto, la cui veridicità è confermata dalla mia esperienza: riesco sempre a raggiungere la mia meta anche andando un po’ a casaccio, cioè basandomi sulla direzione, come i pionieri nel vecchio West, di cui in effetti sono una fan. Il mio livello di perdizione è tale che non sono capace di orientarmi nemmeno con una cartina in mano, anzi di solito è proprio con la cartina che mi perdo di più; ho grossi problemi perfino col “Tuttocittà” e ce ne vuole a non saper leggere bene le piantine del “Tuttocittà”, lo so. Non consigliatemi il navigatore perché mi muovo in bici o a piedi e perché, appunto, perdermi e brancolare per lande sconosciute non mi dispiace affatto. Credo che tutto ciò rientri in quel lato del mio carattere che si è formato – come normalmente accade – attorno ai due anni d’età e tale mi è rimasto: il mood del Voglio Fare a Modo Mio.
Pertanto, non mi ci vedevo molto bene con bussola e cartina, a praticare Orienteering (cos’è e cosa non è – per es.non è una caccia al tesoro – lo trovate qui e nei link in rosso nella suddetta pagina). Però oltre a essere curiosa, da poco più di un anno conosco colui che, per rispettare la sua privacy, chiameremo il Capo (dell’Orienteering), una persona molto simpatica e soprattutto molto tenace (e paziente) quando si tratta di Orienteering; essendomi affezionata a lui ho cominciato a vedere di buon occhio anche il suo sport. Meno male non ho conosciuto un esperto di bungee jumping o lotta libera se no a quest’ora mi starei lanciando da un picco o medicando un occhio nero; della serie “Zelig mi fa un baffo”. Un po’ per questo ma soprattutto perché la mia amica Anto voleva provare, ecco che venerdì pomeriggio ci siamo ritrovati ai Giardini Margherita in tre amiche più lui, il Capo, e un suo collaboratore, per un giretto di prova. Io addirittura mi son trovata in mano, oltre alla cartina del Parco, non una ma ben tre bussole, e a parte un primo brividino di disagio non ho fatto una piega. Anzi, sarà che eravamo tra amici, sarà che i parchi sono il mio locus amoenus assoluto, ma dopo un po’ che sgambettavamo ho cominciato a familiarizzare coi segni della cartina (tutte le cartine di Orienteering utilizzano segni convenzionali che sono gli stessi in tutto il mondo e quelli che ho imparato per primi sono: un cerchietto verde indica un albero isolato; un cerchietto azzurro indica un oggetto particolare, per es. un cestino della spazzatura; un ovale verde scuro indica un tratto di vegetazione non attraversabile, per es. un cespuglio. Lo dico perché da allora quando cammino per strada non vedo più cestini o alberi ma solo cerchietti azzurri o verdi). Auto-osservando la mia mente nel suo essere messa al lavoro su questa esperienza nuova, mi ha sorpresa il modo in cui da un iniziale caos e disorientamento nel cercare di riscontrare una corrispondenza tra il paesaggio concreto che mi circondava e dei simboli astratti sulla carta, a poco a poco e grazie alle spiegazioni del Capo tutto ha cominciato a chiarificarsi e appunto quel cerchietto sulla carta era evidentemente quell’albero alla mia sinistra e così via. Già il giorno dopo mi veniva spontaneo leggere il paesaggio traducendo ciò che vedevo in simboli, secondo la legenda appresa il giorno prima.
Altri motivi per cui tutto sommato questo sport comincia a interessarmi si ricollegano direttamente a quel mio Voglio Fare a Modo Mio. Questo è uno sport che puoi viverti un po’ come ti pare. Hai un percorso prescritto e devi arrivare al traguardo essendo passato per tutti i punti segnati sulla mappa che ti viene consegnata alla partenza, ok: ma il tuo percorso, intanto, non è uguale a quello dei concorrenti che partono prima o dopo di te (per non condizionarsi o copiarsi lungo la gara): è il tuo e te lo devi risolvere tu; cercare di seguire o imitare gli altri può essere solo dannoso. Inoltre, sulla cartina sono segnati i traguardi intermedi (contrassegnati nel percorso dalle lanterne – degli affari bianchi e arancioni con attaccato il punzonatore che serve per marcare sulla propria mappa o cartellino il passaggio per quel punto) e la sequenza da rispettare, ma il percorso per raggiungerli lo scegli tu, leggendo la mappa e il terreno e ragionando su quale sia la via più efficace, che non sempre è quella apparentemente più breve. Non solo: puoi gareggiare con spirito di agonismo, per vincere, e allora correrai a testa bassa tra un punto e l’altro, senza fare caso al paesaggio nel quale ti trovi; ma puoi anche decidere di viverti la stessa gara in modo rilassato, soffermandoti lungo il percorso ad ammirare un panorama, a chiederti il nome di un albero o a spiare un cerbiatto nel bosco. Insomma sei libero. Ecco perché, nonostante l’iniziale diffidenza, le mie barriere hanno cominciato a cedere. Anche le mie amiche si sono entusiasmate e il 18 novembre ci iscriviamo alla gara di Bologna. Armate di mappe cercheremo di orientarci nel centro storico della nostra città, e sarà curioso esplorarlo in un modo diverso da quello con cui solitamente calpestiamo quelle strade e quei marciapiedi. Ho già comprato la mia bussola. Io, l’esperta del disorientamento, ora sono fiera detentrice di bussola…
Eccomi qui immortalata nel mio momento preferito: il punzonamento! In mano ho la mappa e quel “coso” a cui è attaccato il punzonatore è la “lanterna”.
Che questo sport mi conquisti o resti solo un passatempo cui dedicarsi ogni tanto, per l’ennesima volta devo riscontrare quanto bene faccia alla mia mente il provarsi in esperienze nuove per il semplice fatto che siano nuove, ignote, inesplorate. Siccome sono un tipo abitudinario faccio sempre una gran fatica a lanciarmi in qualcosa che non conosco… ma non mi è mai successo di tornare pentita, dopo, perché anche quando mi butto e le cose vanno male o la novità non mi convince, ne esco sempre con la soddisfazione di avere imparato qualcosa; anche dagli errori. Uno dei miei obiettivi è proprio quello di mettermi alla prova ancor più di quanto stia comunque già facendo (è da un po’ che ho iniziato a perseguirlo e realizzarlo) perché sono davvero sempre più convinta, con Antonio Scurati, che oggi “l’esperienza è la nuova forma di indigenza”. E invece fare esperienza non è niente più e niente meno che vivere. Se poi l’esperienza la fai con i tuoi amici o attraverso essa ne scopri di nuovi, il tutto è ancora più bello, la vita è ancora più vita.
Ringo girl
Pubblicato: 14 luglio 2012 Archiviato in: camminando 8 commentiSono tornata, ma fino al 18 non avrò tempo per aggiornare il blog. Dopodiché, mi piacerebbe non dico ritornare proprio come ai “vecchi tempi”, quando scrivevo in continuazione, ma sicuramente un po’ più presente. E’ da un bel po’ che non racconto più un po’ di cose per bene – sicuramente perché sono impegnatissima a viverle – e questo è un peccato perché se non le racconti le cose muoiono. E’ come se non fossero mai esistite e a poco a poco si sbiadiscono anche nei ricordi. Vedremo cosa riuscirò a combinare.
Nel frattempo, sono tornata dal mare poco abbronzata come al solito, a parte le mie classiche gambe a strisce (il mio must estivo); a strisce perché mi abbronzo principalmente andando in bici e poiché in bici indosso i pantaloncini corti ho le gambe da metà coscia in giù abbronzate e nella parte superiore belle candide. Il che è proprio un “bel vedere” quando indosso la gonna o pantaloncini più corti e giro per la città con le mie gambe bicolori. Se vedete una tipa zebrata (e non nell’abbigliamento) aggirarsi nella calda Bologna, oui, c’est moi. Magari canticchiando “Ai se eu te pego” o “Le tagliatelle di nonna Pina”, che a Riccione erano le hit del momento e mi sono rimaste in testa, come ogni tormentone che si rispetti, come la notte rosa con le sue follie, come quel mare sabbioso, quel molo di cui conosco ogni sassolino e ogni crepa, quelle strade del passeggio sempre le stesse, sempre gremite, che ogni estate mi accolgono, che fanno parte del mio cuore.
E siamo a Primavera!
Pubblicato: 22 marzo 2012 Archiviato in: camminando, libri 6 commentiRieccomi! Sono stata un attimo fagocitata da questa meravigliosa Vita che tutti noi abbiamo il privilegio di (appunto) vivere. E tra le tante cose degli ultimi giorni, come ogni anno ho passato buon tempo alla Bologna Children’s Book Fair (che poi sarebbe la solita Fiera del Libro per Ragazzi), gioendo poiché, a differenza di altre fiere parecchio disertate in questi tempi di crisi, era affollata mi sembra come gli altri anni; cioè tantissimo. Cosa dire? Per me è un po’ il mio Paese dei Balocchi. Oltre all’interesse professionale, è ogni volta entusiasmante vagare nei meandri dei vari padiglioni, curiosare tra gli stand di editori provenienti da tutto il mondo, scoprire nuovi illustratori e libri ancora non tradotti e conoscere anche qualche nuova persona, meglio se straniera. Inoltre è stato qui in Fiera che, nel lontano 2004, sostenni il colloquio per il primo lavoro bello della mia vita; ogni anno, da allora, quasi mi rivedo, seduta su un divanetto, un po’ emozionata ma soprattutto grintosa, e ancora lì a parlare e mettercela tutta senza accorgermi che avevo già convinto l’editore e potevo anche rilassarmi.
A dire il vero non c’è qualcosa che quest’anno mi sia rimasto particolarmente impresso, a parte alcuni volumi con illustrazioni eccezionali visti e sfogliati nello stand coreano e che forse in Italia non vedremo mai. Impressionante vedere la quantità di roba i cui diritti erano stati acquistati dalle case editrici francesi, senza sorpresa peraltro, e quando vedo ciò ogni volta mi chiedo perché non vado in Francia.
Per il resto, tutto come al solito:
- mi sono persa costantemente e pervicacemente; non ho senso dell’orientamento nei posti chiusi e la tragedia è che non sono intellettualmente in grado di leggere una mappa, nonostante io dovunque vada provveda sempre a procurarmi una mappa. In Fiera te la mettono direttamente in mano all’ingresso, ti ritrovi questo lenzuolone con su segnati tutti i padiglioni coi percorsi e tutte le cose importanti ma credere che io, con quel lenzuolone o anche con lenzuola più piccole, sia in grado di raggiungere un punto B partendo da un punto A, è pura illusione. Tuttavia ho dalla mia parte la cieca fiducia che “tutte le strade portano a Roma” e effettivamente, vagando a casaccio, sono riuscita comunque a raggiungere l’amica che mi aspettava al Caffè degli illustratori in tempi sufficientemente ragionevoli.
- All’ora di pranzo si creano queste file tortuose e senza fine presso ogni bar presente (e sono tanti), e devi decidere se fare la fila annoiandoti a morte e perdendo tempo o rimandare il pranzo di un’ora col rischio di collassare. Certo, la soluzione più ragionevole è mangiare prima dell’avvento della folla affamata, ma a quell’ora ero imprigionata in una peraltro piacevolissima tavola rotonda.
- Tavola rotonda, questa, moderata da un amico il quale ha rivelato che da militare aveva acquistato e letto Little Women (non esattamente una lettura da militare). Fu scoperto dal capitano dopo una sessione di smontaggio e rimontaggio fucile al termine della quale il mio amico, avendo finito per primo, non aveva resistito alla bramosia di immergersi nel romanzo che lo aveva rapito; il capitano anziché restare perplesso, giustamente pensò bene di affidargli l’incarico di traduttore dall’inglese, cosa che procurò al mio amico innegabili vantaggi.
- Infine c’è questa perla della mia prof. del liceo. Sì, io e la mia migliore amica siamo rimaste in contatto con parecchie professoresse, dalle medie al liceo, la cui funzione nella nostra vita è quella di farci da Super-Io. Nei passi importanti che facciamo, potete stare certi che una di queste entità professorali si paleserà per dirci la sua e possibilmente per farci sentire in colpa. L’ultima è che la mia amica si è fidanzata; quando lo ha detto alla nostra prof. del liceo – che abbiamo sempre considerato donna spregiudicata e anticonformista benché “altamente borghese” – costei le avrebbe intimato: “Ora devi assolutamente sposarti! Subito! Per una donna oggi il matrimonio è TUTTO!”.
E ditemi se non ho ragione io a dire che s’è aperto da qualche parte un varco temporale tra gli anni ’50 e la nostra era!
Non calpestateci
Pubblicato: 6 marzo 2012 Archiviato in: calamità ilariesche, camminando, educazione, umorismo 15 commentiStamattina la qui presente Ilaria si trovava alla cassa del suo bar di fiducia, coi suoi due euro e 20 centesimi in mano per pagarsi il bignè alla crema e il caffè appena gustati, quando, benché fosse il suo turno, ha visto apparire al di sopra della sua testolina una mano maschile e poi il susseguente braccio, il quale allungandosi giungeva a depositare sul bancone davanti a lei una banconota verde da 100 euro.
No, non si trattava di un milionario che, folgorato dalla mia beltà, desiderava offrirmi la colazione e magari rapirmi con i suoi 720 cavalli vapore; si trattava bensì di un maleducato che, forte della sua altezza e del suo lungo braccio, pretendeva letteralmente di scavalcarmi e passarmi davanti; e non perché avesse fretta o avesse appena saputo che la mamma si era rotta il femore e giaceva abbandonata a se stessa in un pronto soccorso; poiché il suo fare era tranquillissimo e pochi istanti prima, passandogli accanto, lo avevo osservato mentre, appoggiato tranquillamente con un gomito a un bancone, dava una sbirciatina distratta al quotidiano.
Io, non sapendo cosa dire, sono stata zitta. Sì, l’ho guardato con uno sguardo che nelle mie intenzioni doveva essere il classico ed eloquente sguardo inceneritore e può anche darsi che il mio sguardo fosse davvero tale; il problema è che lui non mi ha guardata né si è accorto che lo stavo fissando intenta a incenerirlo; quindi il mio corrugamento è stato del tutto inutile e forse mi procurerà pure qualche ruga permanente. Io, in questi casi, non so farmi valere a parole; invece la mia barista sì. Lei, sì. E così, esordendo con un «Certo che la cavalleria l’è morta!», esclamato con un tono di disprezzo degno della miglior Mariangela Melato, si è poi lanciata in un ardito predicozzo su quanto gli uomini di oggi siano maleducati e cafoni e «Non dico di dare la precedenza, ma almeno di rispettare il proprio turno! Siete proprio senza vergogna!». Il tipo non ha ribattuto nulla, io ho pagato ed è finita lì.
Ebbene, la barista ha detto quel che penso sempre anch’io di questi maleducati (quindi non tutti gli uomini, ma quelli maleducati, che sono una minoranza ma “rumorosa”) e cioè in poche parole: non pretendiamo cortesie particolari, ma semplicemente: non calpestateci!
Quando si sale sull’autobus e il tipo con le spalle da rugbista ti spinge di lato per entrare prima, solo perché tu sei leggera e lui è grosso; quando sei in coda da qualche parte e l’arrogante ti scavalca; quando si arriva casualmente nello stesso momento a dover passare da una porta e l’altro, pur di passare prima, anziché arretrare di quel millimetro, ti schiaccia contro lo stipite pur di entrare lui; quello che se ti cade una cosa per strada non solo non si ferma per aiutarti ma ci passa sopra (e tu ti vedi migliaia di scene romantiche di film – in cui a lei cadono i fogli, lui si china a raccoglierli e scocca l’amore – passarti davanti e farti Ciao!). E, per favore, sempre voi maleducati, non rispondete, se qualcuna osa risentirsi un attimo, che abbiamo voluto la parità. Perché, a parte che questa parità ancora non è che si veda proprio tantissimo, qui non si tratta di cavalleria bensì di educazione: non si calpesta la gente solo perché si è più grossi o più “arrivati”.
Sono così abituata a questo andazzo che sono arrivata al punto che l’altro giorno, in Salaborsa (biblioteca di Bologna), dovendo io uscire da una porta e trovandomi di fronte un uomo che doveva invece entrare, è venuto spontaneo a me farmi da parte e dirgli sorridente: «Prego» indicandogli anche col braccio di passare lui; ma lui si è tutto sconcertato e mi ha detto: «Ma ci mancherebbe altro! Ma signorina! Ma cosa fa?» e mentre io mi chiedevo: Oddio, cos’ho sbagliato stavolta?, lui mi spiegava che forse io sono giovane (eeh, magari!) e non conosco l’educazione, ma che a questo mondo le donne devono sempre avere la precedenza. Guai il contrario! E sapete qual è il colmo? Che io stavo per rispondergli: «Ma guardi che abbiamo voluto la parità!». Insomma, non se ne esce. L’unica regola valida per tutti a questo punto è: non calpestiamoci!
Eh, be’…
Pubblicato: 8 luglio 2010 Archiviato in: calamità ilariesche, camminando, umorismo | Tags: treni 10 commenti
In estate mi sento sempre un pesce fuor d’acqua perché non so dove stare; se vado a Riccione, mi manca Bologna e se torno a Bologna prendo il treno e torno a Riccione. Forse, ora che ci penso, passo in proporzione più tempo sul treno che collega le due città. Passo le vacanze su un treno regionale, ecco. Per inciso, qualcuno mi deve spiegare perché, se fuori ci sono 40 gradi, un povero viaggiatore deve comunque mettere in borsa una felpa, un maglione; se non lo fa, rischia di ritrovarsi all’ospedale con la broncopolmonite, grazie all’aria condizionata gelida che c’è di solito su questi treni. Ma non è tanto difficile regolare l’aria condizionata; perché mai a Trenitalia non sono capaci? Stesso problema, ma al contrario, in inverno, quando con cinque gradi fuori, entri in treno e se non sei celere nello svestirti rischi il colpo di calore.
Dicevo che non so dove stare; sono un’irrequieta, ecco. Ma ne sono felice, perché mi ostino a credere che questa mia irrequietezza interiore mi porterà da qualche parte. Ho tante cose da fare e non mi annoio mai. Mettiamoci pure che a luglio tendo a innamorarmi e vivo nel tripudio dei sensi, che genera ulteriore felice irrequietezza. Comunque in questi giorni sono di nuovo a Bologna, oggi ero in centro che parcheggiavo la bici meditando appunto sul perché io sia tornata a Bologna e se non era meglio ripartire immantinente per Riccione quando una coppia (uomo + donna) spagnola mi ha salutata e mi ha chiesto come poteva arrivare alla basilica di San Petronio. Ho dato loro l’informazione corretta, poi però abbiamo cercato di fare conversazione ma loro mi parlavano solo in spagnolo e io non capivo assolutamente niente, zero, nada de nada; però sorridevo tantissimo, eh? Finché, salutandoci, mi hanno detto più di una volta che sono molto bella. Ecco, questo l’ho capito benissimo. E gonfiandomi come un pavone mi sono detta che ho fatto benissimo a tornare a Bologna. Adesso posso anche ripartire felice per Riccione.
A zonzo
Pubblicato: 13 aprile 2010 Archiviato in: camminando, esperimenti, la mia città 20 commentiDa alcuni giorni ho finalmente – sempre buona ultima, eh? – una macchina fotografica digitale. Così posso farvi vedere (giusto ogni tanto, tranquilli!) i “miei” posti. Quelli dove adoro andare a zonzo, camminare per ore, e i posti che ancora non conosco ma che vedrò. L’unico problema è che secondo me non sono ancora molto abile a fare foto, cioè non come lo sono alcuni tra voi, ecco. Ma intendo esercitarmi e diventare brava! Quindi non preoccupatevi, posso solo migliorare. Ecco tre scatti dal mio piccolo “Eden” vicino a casa.
Finalmente i ghiacci si sono sciolti e sono comparsi i primi fiori a colorare il mondo:
Mi piacerebbe molto vivere in una città attraversata da un fiume; per ora mi accontento del piccolo fiume che scorre vicino casa e dà il nome al mio quartiere (Savena):
Come Alice non posso resistere; adoro perdermi tra i sentieri più o meno conosciuti:
Be’, adesso quando scrivo che ho passeggiato nel parco sapete dove immaginarmi.