Edison

apartments buildingEddie Adams, Apartment Building

Era una presenza abituale mentre andavo e tornavo in bici dal lavoro; nel mio cuore avevo cominciato a chiamarlo Geppetto, questo signore, per via dei baffi e della barba bianca e delle gote rosee e pronunciate, come nell’iconografia tradizionale del personaggio. Viveva su un marciapiede, all’incrocio tra la via Emilia e un altro viale, in uno slargo arioso ma trafficato. Ogni mattina lo vedevo affaccendato nel mettere ordine tra le sue cose (mi verrebbe da dire cianfrusaglie ma erano comunque i suoi averi): in due grossi carrelli della spesa teneva ammucchiata una quantità spropositata di oggetti i più vari e un’altra massa ingestibile di cose rotte e vecchie strabordava da un camper poco distante, che usava appunto come magazzino ma nel quale non abitava. Questa visione quotidiana di un senzatetto oppresso da carabattole e masserizie di ogni tipo mi suscitava mille riflessioni. In tempi di decluttering e magici poteri del riordino non potevo non sorridere nel notare come, se sei un accumulatore, lo sarai anche senza avere una casa, contrariamente a tutti gli stereotipi che vogliono il senzatetto libero e leggero sulla Terra.
Un pomeriggio, passando per quell’incrocio, mi sono trovata di fronte alla scena di un brutto incidente avvenuto da poco: un’automobile si era schiantata contro un palo e un’altra se ne stava accartocciata poco più in là. Geppetto, dalla sua postazione privilegiata, aveva assistito all’incidente e in quel momento era intento a spiegarne la dinamica a una ragazza che passava di lì e si era fermata ad ascoltarlo. Tutto eccitato, con ampi gesti delle mani disegnava nell’aria il tragico impatto. Quella è stata una delle ultime cose che Geppetto ha visto nella sua vita.
Il mattino dopo entravo al lavoro più tardi e passando al solito incrocio ho notato Geppetto ancora addormentato tra le coltri, supino, nel suo giaciglio a cielo aperto. Spuntava solo il suo viso placido, rilassato. Il sole era già alto, il traffico e la vita della città pulsavano tutto attorno; mi ero stupita nel vederlo ancora a letto a quell’ora ma ricordo che avevo pensato, con un pizzico di ammirazione: uno come lui non ha orari e se vuole dormire fino a tardi può farlo quanto gli pare.
Al mio ritorno, nel pomeriggio, Geppetto non c’era; al suo posto c’erano alcuni mazzi di fiori. Ho pensato fossero stati messi lì per l’incidente del giorno prima. Allora è morto qualcuno… però i fiori li hanno messi nel posto sbagliato, l’automobilista si è schiantato lì di fronte, dall’altra parte della strada…
Invece, come ho scoperto un paio di giorni dopo leggendo un quotidiano, i fiori erano per Geppetto, che però non si chiamava Geppetto bensì Edison, come lo chiamavano tutti in zona. Anzi, in realtà il suo nome era Oliviero, ma questo nella sua vita precedente, quella in cui aveva una casa, un lavoro e viveva in un’altra città.
Quella mattina non stava dormendo, era morto nella notte per un infarto (sembra avesse problemi cardiaci da tempo).
Edison era molto amato. È passata più di una settimana dalla sua dipartita ma nel suo angolo di marciapiede i fiori e le lettere scritte a mano si moltiplicano; amava i fiori bianchi e stamattina, tra i mazzi di fiori, è apparso un vaso con una bella pianta piena di fiori bianchi, un vaso probabilmente destinato a restare. Gli abitanti del quartiere hanno anche fatto una colletta per pagargli il funerale e la sepoltura. Al funerale la chiesa era piena.
Edison/Geppetto mi manca, perché ero abituata a vederlo, perché sembrava un tipo allegro, perché spesso quando gli passavo accanto in bici o sostavo al semaforo mi sorrideva.
Anche da morto, come da vivo, mi ha suscitato delle riflessioni.
Intanto ho pensato a come spesso quei senzatetto che, pur nel loro nomadismo, si radicano in un posto, risultano noti e ignoti al tempo stesso, e così ecco che vengono battezzati dalla comunità circostante. Io lo chiamavo Geppetto, per gli abitanti del quartiere era Edison; chissà quanti altri nomi gli saranno stati attribuiti.
Poi ho pensato alle tante persone che muoiono sole, tra le mura di casa o di un ospedale; mura che proteggono, mura che nascondono, mura che isolano. Decessi di cui nessuno o quasi si accorge, con funerali deserti. Invece un uomo come Edison, considerato in genere, per il suo status di senzatetto, solo, povero e di nessuno, era in realtà di tutti; il suo stare sempre all’aperto, sempre in vista, col suo modo di fare gentile, con l’ingombro buffo costituito da tutte quelle sue masserizie che non lo rendevano certo invisibile, ha fatto sì che una comunità lo sentisse come un proprio membro e gli si affezionasse. Tutto il contrario della solitudine, insomma.


13 commenti on “Edison”

  1. josephpastore ha detto:

    Buongiorno Ilaria, avrei tante riflessioni sul tuo bell’articolo, il rischio è peccare di supponenza e che non basti lo spazio.
    Per questo motivo mi limito a citare solo un argomento che sono sicuro, come ho già fatto con l’articolo sulla festa indiana a Milano, ispirerà qualcuno di nostra conoscenza…..:
    Disposofobia (disturbo da accumulo): http://www.disposofobia.org/perche-si-accumula/
    L’occasione è ghiotta per una mia riflessione introspettiva tutta personale sull’argomento.

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    • Ilaria ha detto:

      Ciao Joseph, allora mentre la nostra comune conoscenza si ispira, tu prepara la tua riflessione personale, mi interessa! Ormai sai che sono curiosa… e poi così hai un compito anche tu! 😉
      Intanto dico che l’articolo che hai linkato mi ha colpita, stasera voglio leggerlo meglio. Io sono esattamente il contrario di un accumulatore ma mia mamma tende a esserlo e un po’ la riconosco in quell’articolo… E’ faticosa psicologicamente la vita di chi accumula e concordo anch’io che sia il frutto di vulnerabilità emotive-psicologiche non sempre e non per tutti facilmente controllabili. Però davvero, che un senzatetto potesse avere questo problema non lo credevo proprio.

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      • josephpastore ha detto:

        Io credo che le motivazioni citate dal sito che ho linkato abbiano una valenza generale ma che ad un senzatetto l’accumulazione possa dare qualcosa in più: l’illusione ed il conforto di possedere qualcosa. Qualcosa a cui badare, di cui preoccuparsi ed in cui spendere energie. Una piccola ricchezza, seppur di nessun valore.

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        • Ilaria ha detto:

          Hai ragione… in effetti a volte si vedono clochard coi loro carrelli. Lui li batteva tutti… Ma in effetti la tua spiegazione mi trova d’accordo.
          Per il resto appoggio l’istanza di Grazia qui sotto… 😉

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        • recensioni53 ha detto:

          Il senzatetto a volte lo diventa per scelta e non per necessità e lascia appositamente anche gli averi . All’angolo di una strada vicino a casa mia per lunghi anni ha sostato un austriaco di famiglia molto ricca che poi quando si è ammalato è stato riportato a casa. Passava tutto il giorno leggendo per terra ed accettando quello che le persone gli lasciavano..

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          • josephpastore ha detto:

            Dici bene Grazia quando scrivi “a volte”. Io credo però che la maggior frequenza sia lo stato di bisogno spesso associata a malattia mentale più o meno grave. Ho cercato e trovato presso l’oracolo tecnologico sostegno alla mia tesi: http://www.romatoday.it/cronaca/roma-la-capitale-degli-homeless.html
            Certo, fa più comodo e conforta le nostre coscienze ridurre tutto alla tesi romantica della “scelta volontaria”.

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            • recensioni53 ha detto:

              Concordo sul fatto che siano in minoranza quelli che fanno una scelta volontaria ma non ho proposto alcuna visione romantica perchè anche quando la persona fa appunto una scelta di questo tipo il problema ed il disagio mentale non è escluso. La vita da homeless è comunque durissima.

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              • Ilaria ha detto:

                Le motivazioni possono essere molto diverse da persona a persona. Mi risulta che spesso c’è una causa scatenante, come un divorzio, la perdita del lavoro, un lutto subìto… un evento traumatico che trovando terreno “fertile” (perché normalmente non diventiamo senzatetto se subiamo un trauma) può portare a una scelta di questo tipo. Volontaria o “condizionata” di certo è sempre dolorosissima, sì.

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  2. recensioni53 ha detto:

    L’ispirazione ha bisogno prima di esaminare le vs.introspettive personali per poi procedere. Resto in attesa di resoconti e confessioni dettagliate.E’ sempre un tema di metodo…….

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  3. melchisedec ha detto:

    Che umanità bizzarra! Edison viveva solo ed era, in realtà, in compagnia di quei tanti che hanno riempito di fiori il suo angolo. Chissà se lui sapeva di riscuotere tanta simpatia! A loro volta quei tanti, che magari conducono una vita sociale piena di impegni e ricca di affetti, si scoprono soli.
    Tenerissimo quest’uomo!

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    • Ilaria ha detto:

      Dici bene, Mel: tenerezza! La tenerezza del suo sorriso e la tenerezza del suo sopraffarsi di oggetti. Credo sapesse di essere simpatico… lo spero! E sono felice che abbia avuto un bel funerale e una degna sepoltura circondato da “amici” che in vita non sapeva di avere.

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  4. ornella ha detto:

    Concordo con Melchisedec. Umanità bizzarra, ma in fondo la nostra realtà è ben curiosa, e davvero il senso di una vita a volte si spiega solo al suo termine. Che Geppetto continui a collezionare amici e riordinare carabattole anche in un incrocio fra le nuvole. Chissà?

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