Una frusta da cucina

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Quando qualcuna mi trilla entusiasta su Il magico potere del riordino, quel manuale che insegna a fare ordine in casa desertificandola, io penso sempre che, per chi ha problemi di accumulo, ben più terapeutico di qualsiasi manuale è svuotare la casa di un parente morto. Non lo penso in modo cinico; lo penso in modo dispiaciuto e infatti ovviamente non lo auguro nessuno, anche se purtroppo è una di quelle cose che prima o poi possono capitare.
Questo collegamento mi scatta automaticamente in mente a causa di una delle esperienze più choccanti (probabilmente perché non mi aspettavo proprio, prima di viverla, di restarne così turbata) sostenute negli ultimi anni e cioè liberare la casa di mia nonna e mia zia – le mie amatissime nonna e (pro)zia – dopo la loro morte. Nella mia mente ingenua, pensavo che si trattasse di un’operazione pratica e che comunque non sarebbe stata più dolorosa della perdita delle persone care. Mi sbagliavo. Gli oggetti parlano delle persone che li hanno utilizzati, accumulati, amati. Gli oggetti stanno lì, fermi, solidi, impertinenti, mentre i loro proprietari non ci sono più. In quel vuoto gli oggetti piantano un urlo nel tuo cuore: Non è giusto! Con disperazione li guardi e ti accorgi che è proprio finita.

La cosa peggiore fu ritrovare in un cassetto tutti i biglietti e le cartoline che fin da piccole io e mia sorella avevamo scritto e inviato alla nonna e alla zia; da quelli in cui le nostre calligrafie infantili risultavano ancora buffe e tremolanti a quelli in cui eravamo ormai ragazze e scrivevamo pensieri più adulti ma sempre scherzosi e strabordanti d’amore. Ritrovarmeli in mano – come se tutto quello scrivere fosse stato perfettamente inutile e vano, come fossero tornati alla casella di partenza e in mezzo non ci fosse stato niente – è stato semplicemente orribile.

Non ho voluto condividere con nessuno dei miei familiari quello stato d’animo e quell’angoscia (e la prima volta che sono riuscita a parlarne con qualcuno è stata una settimana fa, perché sapevo che quel qualcuno stava per affrontare un’esperienza analoga) ma il risultato è stato che per parecchio tempo ho smesso di comprare oggetti che non fossero strettamente indispensabili e se qualcuno mi regalava un soprammobile o un souvenir, appoggiandolo su un ripiano il mio pensiero andava a tutti i ninnoli accumulati dalla nonna (ognuno aveva una storia che conoscevo) e alla fatica di chi resta e deve sgombrare la casa. In un attimo di follia ho perfino avuto la tentazione di buttare via tutti i miei preziosi diari ma per fortuna non l’ho fatto. Poi col tempo me ne sono fatta una ragione e ho capito che è un po’ stupido e anche inutile privarsi di quelle cose belle e magari anche superflue (con buona pace di Marie Kondo) che possono impreziosire la nostra casa e la nostra vita. Se dopo la mia morte a qualcuno toccherà trovarcisi in mezzo, be’, mi dispiace per lui ma c’est la vie.

Tuttavia, quando morì anche la mia seconda nonna e i miei genitori e mia sorella mi annunciarono che quella tal domenica sarebbero andati assieme agli altri zii e cugini a svuotare la casa, io decisi serenamente di non andare e me ne restai a casa mia.
Quel pomeriggio mia sorella mi telefonò:
“Sono a casa di nonna. Ci stiamo dividendo le sue cose… C’è qualcosa in particolare che vuoi prenda per te?”.
Sì, una cosa c’era; mi balzò subito alla mente. Non gioielli, abiti o argenteria. Una frusta da cucina. Quella frusta che, quando ero piccola, usavo come fosse un microfono quando giocavo dalla nonna con mia cugina. Ero una presentatrice televisiva, ero una cantante, ero un’astronauta intervistata al ritorno da un viaggio nello Spazio: il microfono era sempre quello.
Sì, avrei voluto quella frusta ed ero stata lì lì per dirlo a mia sorella. Ma poi, no. L’idea di ritrovarmela in mano e il timore di risentire lo sgomento provato tra gli oggetti dell’altra nonna mi fecero subito desistere dalla tentazione e risposi a mia sorella che no, grazie, non desideravo niente. In cuor mio però ero molto combattuta e anche un po’ pentita.
Il giorno dopo, il campanello di casa mia ha suonato. Era mia sorella. Strano, pensavo mentre aprivo la porta, di solito non viene mai senza prima avvisare.
Mi sono trovata di fronte mia sorella, sorridente, con la frusta di mia nonna in mano.
Non dimentico l’esplosione che in quel momento ha allargato il mio cuore: un botto di sorpresa perché mia sorella all’epoca era piccola e mai avrei pensato mi osservasse e ricordasse questi miei giochi; di gratitudine perché non solo si era ricordata ma, nonostante io le avessi detto che non volevo niente, ha preso proprio quella frusta e me l’ha portata; di amore, per lei, per mia nonna, per me, per tutti i momenti belli vissuti insieme. Quell’oggetto mi parlava sì di una persona amata che non c’era più ma attraverso una persona amata che capiva e sapeva.

Quella frusta ha trovato subito posto nella mia cucina. E il mio animo ha ritrovato la pace perché ha capito che il regalo più bello che le persone amate ci fanno sono i bei momenti vissuti insieme, che poi diventano nel futuro bellissimi ricordi, di cui anche gli oggetti possono parlarci; e che se hai anche qualcuno con cui condividerli, la gioia per le relazioni che hai vissuto è più forte del dolore per ciò che hai perso. Davvero, “forte come la morte è l’amore”, e anche di più.
La morte delle persone care continua a farmi paura ma gli oggetti e i ricordi non più.


14 commenti on “Una frusta da cucina”

  1. recensioni53 ha detto:

    Il tuo post mi commuove perchè l’argomento tocca nell’anima. Tocca a tutti prima o poi di doversi occupare degli oggetti delle persone care scomparse e ci si accorge che le cose sono come vive e parlano ancora di loro anche se non ci sono più. Sembra quasi di profanarle e sembra impossibile toccarle, darle via….Si vorrebbe che il tempo si fermasse ma non si può …Bisogna caricarseli nel cuore e portarseli dentro ……per sempre ….

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  2. M.T. ha detto:

    Tanti quando capita questa situazione, pensano subito agli oggetti di valore: anelli, collane. Badano a quello che può rendere qualcosa, essere utile. Eppure quello che conta per davvero sono gli oggetti che parlano di come hanno vissuto quelle persone, parlano dei loro ricordi, come le foto, le lettere, le cartoline: è bello e triste allo stesso tempo.

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  3. ildiariodimurasaki ha detto:

    Lo ammetto: per me non è stato molto drammatico finora quando mi ci sono trovata, probabilmente perché prevale l’imperativo categorico dell’archivista che sovrintende allo SCARTO (e al riciclo), anzi provo un certo piacere nel ridistribuire pezzi e ricordi, è un po’ come seminare in giro.
    La storia della frusta però è bellissima, prima di tutto perché dice molto sul rapporto tra te e tua sorella… ma anche perché la frusta (anche come doppione) in cucina è sempre un oggetto utilissimo.

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  4. dolcezze di mamma ha detto:

    Anch’io mi sono commossa, anche se finora non ho mai dovuto partecipare a queste operazioni, a cui ha sovrinteso, e con grande dolore, mia madre. Quando, però, si è trattato di dire cosa desideravo, anch’io ho chiesto cose “poco importanti”: il rosario di una nonna, gli orecchini dell’altra, un lenzuolo antico (per non dire vecchio) di una zia e la foto di uno zio in divisa. Ma l’eredità più imprevista mi è arrivata da una zia morta l’anno scorso che al figlio aveva detto: “Non buttare le mie cose, dalle a Dolcezze” E mi è stat portata una bustona di lana, ferri e uncinetti di ogni tipo, antiche riviste di ricamo…una tradizione che continua.
    Grazie per la tua condivisione

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  5. libra63clan ha detto:

    Mi ha molto colpito quanto hai scritto. Soprattutto questa intesa senza parole con tua sorella, davvero emozionante. Io sono disordinata e soprattutto grande accumulatrice, incapace di buttare le cose vecchie, collezionista di oggetti disparati… segnalibri, sassi, conchiglie, pigne, ritagli di giornale e altri materiali cartacei… Non credo al potere del riordino, o almeno non credo che che una casa semivuota vada bene per tutti: per me di sicuro no. Nel mio caso, arrivata al livello di guardia, ciclicamente intervengo e riordino il minimo indispensabile. Sulla potenza memoriale degli oggetti hai scritto cose belle e vere. Alla morte della mia nonna centenaria, ho ereditato un po’ di attrezzi da cucina. Quando faccio il tè nella sua teiera di smalto rossa, mi sembra che sia ancora un po’ con me.
    Mi permetto di consigliarti una lettura in tema: Daniel MIller, Cose che parlano di noi, Il Mulino.

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    • Ilaria ha detto:

      Grazie per il consiglio di lettura, dato che mi pare abbiamo anche gusti simili lo cercherò sicuramente. Io di mio sono abbastanza ordinata ma non troppo, non sono un’accumulatrice ma neanche amo il deserto in casa. Ogni tanto faccio un repulisti come te, ma di base procedo serenamente con quel po’ di disordine vissuto e salutare… 😉

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  6. Simone D.L. ha detto:

    leggo raramente il tuo blog, anche se – anzi, forse perché – lo trovo sempre illuminante! Io con gli oggetti, tutti gli oggetti, ho un rapporto pessimo: vorrei non averne, per il motivo che dici, mancano di quella neutralità che ci renderebbe liberi… dai ricordi, cari ma dolorosi – dalla impossibilità di trasformarsi in altro da quello che sono, nel bene e nel male. Ingiallire al massimo, o rompersi (e se sono di plastica, è quasi sempre una benedizione, se non altro!). I ricordi non evolvono. Qualche giorno fa lo dicevo, in sogno, alla mia maestra elementare, che trovavo sinistramente affascinante, praticamente mia coetanea: “ma tu, non invecchi mai?!?”

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    • Ilaria ha detto:

      Ciao Simone, grazie per questo commento, è molto personale e si intona proprio al senso del post. L’unico modo che trovo per resistere alla “malinconia degli oggetti” e al loro potere di rattristare è quello di riempire di vita la nostra vita… e di relazioni. In sogno le persone non cambiano, anch’io ho sognato mia nonna, che mi diceva “Non piango più!”…

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