Noi, orridi borghesi

Come da tradizione, ho trascorso le vacanze pasquali a Piacenza, dove risiede gran parte della mia famiglia materna, in particolare nonna e prozia.
Al mio arrivo ho l’abitudine di aggirarmi per l’appartamento in una sorta di giro di ricognizione. Fino a qualche tempo fa questo aveva un senso: c’era sempre qualcosa di nuovo da scoprire, perché mia zia vive praticamente per abbellire la casa arricchendola con oggetti sempre nuovi. Ma ora mia zia è in ospedale e a mia nonna non interessa nulla di avere un ninnolo in più o in meno.

Seduta sull’ampio divano rosso antico mi guardo attorno. Ricordate le buone cose di pessimo gusto di gozzaniana memoria? Ne sono circondata. Non a caso, durante le mie ribellioni adolescenziali quella casa rappresentava per me il peggio del peggio. L’istituzione da abbattere. Tavolini e tappetino da bridge innanzitutto.

Ma mia zia sta male, ora. Prima di peggiorare e di essere ricoverata prima all’ospedale poi in un hospice (dove tuttora si trova, in attesa di tornare a casa) mi ha fatto venire da Bologna per mostrarmi l’eredità, pur sapendo benissimo che non me ne importa niente (voglio solo le fotografie di famiglia, io). Eppure, per farle piacere, ho girato con lei tutta la casa, ispezionando ogni oggetto di valore, di cui ho ascoltato la storia; ho stilato elenchi dell’argenteria, dei quadri e di ogni altra cosa preziosa. Ho sostato di fronte ai quadri degli antenati ascoltandone per la milionesima volta l’intera biografia.

Tornata a casa mia, ho poi riguardato i vecchi filmini di famiglia, che ormai conosco a memoria: mia mamma e i miei zii erano bambini piccoli, mia nonna aveva poco più degli anni che ho io adesso. Erano gli anni’50 e ’60 e tutta la famiglia era in villeggiatura a Riccione. Uno zio riprendeva tutto con la cinepresa. Mia zia giocava a posare da diva, e le veniva benissimo.

Questi filmini quand’ero piccola venivano proiettati su un muro, poi sono stati trasferiti su videocassetta e ora su dvd.
Questo significa che sopravvivono e sopravviveranno ai loro interpreti. Purtroppo non basta trasferire le vite umane da un supporto all’altro per farle durare di più.

Mia zia (che è poi la mia prozia) ha avuto una vita avventurosa e anticonformista.
L’ho sempre sentita iniziare tante frasi con l’espressione Noi orridi borghesi; frasi in cui stigmatizzava i tanti difetti di quella grande borghesia lombardo-veneta cui in realtà è sempre stata orgogliosa di appartenere. Non mi è mai sfuggito il sottile compiacimento con cui si definiva orrida.

Anche nel letto dell’ospedale, lei si deve distinguere: sempre in ordine (benché con flebo e tubi per l’ossigeno a invaderle il corpo), con la sua camicia elegante, il foulard in testa; ha voluto che comprassimo chili di ovetti di cioccolato che poi lei stessa ha elegantemente distribuito alle infermiere che si alternano al suo letto.

A casa sono pronte delle lenzuola di raso blu. Quelle in cui vuole chiudere gli occhi per l’ultima volta.
È dalla scorsa estate che ci scherziamo tutti su (lei compresa): lo chiamiamo “il baldacchino”, quel letto in cui vuole la sua bella morte.

E se poi ci sbagliamo e mettiamo le lenzuola in anticipo, tu le vedi e muori per lo spavento?
Questa stupida battuta la fa sempre ridere. Gliel’ho ripetuta anche domenica, quando abbiamo festeggiato la pasqua tutti insieme nella sua stanzetta.
E di nuovo lo ha detto :
-Noi orridi borghesi ci teniamo alla forma, anche in punto di morte. È più forte di noi.-

Ed ecco perché ci stiamo tutti dando da fare perché possa tornare a casa sua; non può morire lontano dalla casa a cui ha dedicato gran parte della vita, lontano dalle sue cose, dalle sue lenzuola e dai suoi quadri.
Non può mancare l’ultimo appuntamento con la sua morte da splendida borghese.


26 commenti on “Noi, orridi borghesi”

  1. Ho sempre pensato che le persone che hanno saputo vivere con stile avrebbero diritto a morire in un modo bellissimo. Purtroppo non sempre così avviene. Ma spero che tua zia abbia questa opportunità.

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  2. lo_struzzo_nero ha detto:

    Hai una grande zia non c’è che dire…

    smk

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  3. nicola93 ha detto:

    …. veramente questo tuo post mi riporta indietro nel tempo, tantissimo, veramente ricorda scene di gozzaniana memoria di quanto bambino andavo a casa di nonne e zie e austere mi mostravano a mò di museo la loro casa sempre più lontana… sempre più lontana…sempre più lontana

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  4. 403 ha detto:

    È anche bella questa dimensione sociale e familiare dell’attesa della morte, ed è bello che ne parliate. Troppo spesso chi si appresta a morire viene lasciato solo, anche dalle persone più care… e magari non per mancanza di affetto ma per lo sgomento che la morte ormai suscita (e quindi anche chi resta si chiude nella solitudine, già da prima).
    La tua prozia è fortunata ad avere vicino persone come te, come voi.

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  5. ondalungablu ha detto:

    sfortunato chi non ha avuto almeno una prozia…quelle senza figli per cui i nipoti sono il loro bene più prezioso…io ne ho avuto ben due e una naturalmente eccentrica ed anticonformista… e non starò li a raccontare…ora ne ho conosciuto altre due da parte della mia compagna…che è…!? ciao

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  6. melchisedec ha detto:

    A parte l’umanità di questa donna, a venir fuori è l’amore per gli oggetti, per la loro eleganza, la storia, lo spessore insieme “economico” e affettivo che essi hanno e rappresentano. Flalia, è vero, le foto sono importanti, ma anche gli oggetti, la “roba”, non come espressione d’avidità, ma come eredità affettiva e culturale. Questo il mio parere.
    🙂

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  7. Titolare ha detto:

    Mi sembrava veramente di rileggere “L’amica di nonna Speranza”…
    Ed è bellissimo che tua zia una speranza ce l’abbia ancora…
    Massimo

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  8. flalia ha detto:

    Davide: sì, è una cosa che ho sempre pensato anch’io, e non sempre avviene. Per mia zia vorrei proprio che accadesse…

    Struzzo: è vero! Ciao, bentornato! 🙂

    Nicola: sono cose che si vanno perdendo. Io per es. non vedo né in me né nelle mie amiche o cugine questo culto per la casa. E un po’ mi dispiace…

    403: sì, anch’io lo penso spesso e mi ritengo fortunata. Nella mia famiglia, tutte le volte che ci si è trovati di fronte alla morte o alla malattia (compreso il tumore di mia mamma qualche anno fa) la reazione di tutti, a partire dai diretti interessati, è stata quella di parlarne liberamente e scherzarci molto su. Credo faccia bene sia a chi sta male e si prepara ad andarsene, sia a chi resta…

    Ondalungablu: è vero, di queste meravigliose e un po’ fatate zie ogni famiglia è ricca… ho solo paura siano una specie in via d’estinzione, però. Ciao e auguri comunque!

    Mel: hai ragione. Mi rendo conto che per lei è importante la questione dell’eredità perché desidera che gli oggetti che ha molto amato vadano nelle mani delle persone a lei veramente care e continuino a raccontare di lei anche quando lei non ci sarà più. E infatti la assecondo. E’ solo che di fronte a lei ogni mio interesse “materiale” svanisce, mentre vedo altri parenti molto “attenti”… e mi dà fastidio. Dato che questi parenti li vede anche lei, ulteriormente si preoccupa per il destino delle sue cose, perché finiscano in buone mani…

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  9. flalia ha detto:

    Massimo: esatto! Se leggi quella poesia ci ritrovi praticamente il mio ambiente familiare (compreso il bisnonno – che io ricordo bene – fedele e nostalgico dell’Impero austroungarico!). Viste con la consapevolezza che ho oggi (insomma, “invecchiare” servirà pure a qualcosa!) mi emozionano profondamente!

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  10. cappelliavolute ha detto:

    MI piacciono le storie di famiglia… =) Tra l’altro questa evoca la casa di mia notta, con la tappezzeria alle pareti, i grandi quadri ad olio che tappezzano le pareti, i ninnoli sui mobili in legno antico… una casa da “nonna” vissuta in piena epoca fascista, appartenente a una borghesia media che a lei piace considerare medio-alta. Un po’ snob, mia nonna… Ma la nonna rimane sempre e comunque le nonna! =))

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  11. PaoloFerrucci ha detto:

    Affascinante, la tua prozia.
    Ed è bello l’attaccamento alle proprie cose.

    Ciao, Ilaria. 🙂

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  12. biancac ha detto:

    OT: un rapido passaggio per un saluto perché sono sommersa dal lavoro per tutta la settimana e potrò “visitare” con meno assiduità. Ti aspetto, però…;-)

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  13. lauraetlory ha detto:

    La mia casa non somiglia per niente a quella della tua prozia ma, come lei, io ho un certo attaccamento alle mie cose. Mi piace pensare al mio appartamento come a qualcosa di vivo, qualcosa da condividere, da coccolare, da permeare di me, della mia essenza. Ogni arredo, ogni ninnolo, perfino vasellame e stoviglie, pur non essendo preziosi ( io non appartengo alla borghesia malgrado una lontana parentela con Pietro Maroncelli) li scelgo con cura, con amore… Ho delle lenzuola nere nelle quali mi piace “vivere”. Alla morte ancora non ci penso, almeno non alla scenografia che ospiterà la mia… ma la tua prozia mi sta simpatica e faccio il tifo per lei.
    Lory

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  14. estivaneve ha detto:

    le cose come testimoni del passaggio, una sorta di legame tra due dimensioni… è come cercare di rendere materiale qualcosa di misterioso, forse così lo si può vivere con serenità, se è mai possibile farlo…

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  15. ediaco ha detto:

    Mi commuovi sempre.
    Grazie anche di essere passata,
    E.

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  16. Higurashi ha detto:

    “Noi orridi borghesi ci teniamo alla forma, anche in punto di morte”.

    E’ una mentalità assai diffusa.

    Senza che entro troppo nel particolare citando la mia vita privata, questo post mi ha fatto venire in mente svariate cose.

    Grazie.

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  17. flalia ha detto:

    CaV: ehm… le affinità continuano… anche per mia nonna, il “clima” era quello…

    Ciao Paolo! E’ vero, perché le cose “parlano” di chi le ha possedute con amore. Vorrei che il “transito” di mia zia fosse dolce come nella tua immagine… speriamo.

    Ciao Bianca! Buon lavoro, allora, e grazie per i tuoi passaggi. A presto!

    Lory: grazie per il tifo! Riguardo all’attaccamento alla casa e alle cose che la rendono bella, gradevole e nostra, questo è un valore che sto cominciando a riconoscere e apprezzare solo adesso, ma che intendo coltivare… Ciao!

    Estivaneve: sì, è qualcosa de genere. Le cose, soprattutto quelle amate e curate, hanno vita più lunga delle persone e ci raccontano di loro. Sono uno degli infiniti tramiti di cui abbiamo bisogno nell’eterna lotta contro la caducità, credo… Ciao!

    Ernesto: grazie a te, davvero… 🙂

    Higurashi: grazie a te… è vero, è una mentalità diffusa, e in genere irritante, però… ci sono tanti però… Ciao! 🙂

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  18. biancac ha detto:

    Non posso fare a meno di pensare quando l’amore renda meno ORRIDA anche la morte. E lo dico da borghese…
    Sei davvero una bella persona, Flà.

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  19. flalia ha detto:

    Grazie, Bianca. E’ vero, penso che ciò che è veramente orrido sia morire da soli… Ciao 🙂

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  20. Masso57 ha detto:

    Ancora una volta si viaggia tra le tue parole e si scoprono pezzi di storie comuni, di atmosfere attraverso cui siamo passati, a volte sorridendo, altre volte disgustati. E non era l’orrido, a disgustare, ma proprio il concetto di “borghesia” appioppato non ad una forma mentale, ma ai simboli (l’argenteria, per esempio…). Quando andai ospite, secoli fa, nella casa di un ultrastraricchissimo imprenditore poi sparatosi in bocca, la persona (pseudo)borghese che mi ci portò disse “Ma come?Un uomo così non ha in casa neanche un grammo d’argento? Ci fa mangiare con le posate i volgare acciaio?”.
    Non aveva capito nulla, questa persona: a differenza di tua zia invece che ha saputo impartire una bella lezione di vita, comunque la si pensi.

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  21. acquaforte ha detto:

    Ciao Ilaria. Bentrovata. Un post di gozzaniana memoria, dici bene. O anche proustiano, perchè no. =)

    E’ tenera la tua descrizione, e sono certa che la dolcezza e l’affetto che scaturisce anche dal vostro scherzare su queste tradizioni… ha una funzione apotropaica che aiuta ciascuno di voi a vivere con serenità quello che vi porge la vita in questo momento! =)

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  22. flalia ha detto:

    Ciao Masso: grazie per l’episodio che hai raccontato; quella frase è emblematica di un certo modo orrido di pensare. E anche quel tuo accenno al sorriso e al disgusto è molto giusto… Ciao!

    Acquaforte: sì, sicuramente l’essere uniti e sereni in questa circostanza è di grande aiuto a ognuno di noi, in famiglia. Mi sto rendendo conto di quanto sia importante avere una famiglia accanto, in certi momenti… Ciao 🙂

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  23. latendarossa ha detto:

    Creo sia quel tipo di “umorismo nero” che in famiglia trova un contesto appropriato, mentre al di fuori della cerchia famigliare non verrebbe compreso. Le piccole cose ma di cattivo gusto…quando ci mancano, ci rendiamo conto di quanto fossero importanti (Gozzano docet).

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  24. flalia ha detto:

    Marcello: sì, non è un umorismo che vada bene dappertutto, ma in famiglia abbiamo tutti questo spirito e ci capiamo… Ciao 🙂

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  25. sambigliong ha detto:

    hai usato e dosato belle parole.
    uccede, quando si ha da raccontare Qualcosa.
    r.

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  26. flalia ha detto:

    Grazie Remo!

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